Blog di Marco Castellani

Svelato un mistero sulle macchie solari?

Immagine di una macchia solare con la sovrapposizione di un campo di velocità di penombra che mostra il redshift (o spostamento verso il rosso, dato dal colore rosso) e il blueshift (lo spostamento verso il blu, dato dal colore blu). Il blu implica che il gas si sta muovendo verso di noi – questo corrisponde al moto verso l’alto sulla superficie solare), mentre il rosso implica che il gas si sta muovendo lontano da noi – questo corrisponde a un moto verso il basso sulla superficie solare).

L’assimmetria nelle immagini in rosso/blu è dovuta all’angolo sotto cui viene osservata la macchia solare. Il flusso Evershed diretto verso l’esterno mostra un redshift sul lato della macchia solare che è si sta allontanando dall’osservatore e uno spostamento verso il blu sul lato opposto, ossia verso il centro del Sole, a sinistra nell’immagine.

Cliccare sull’immagine per vedere l’effetto.
Cortesia: The Royal Swedish Academy of Sciences, G.B. Scharmer, V.M.J. Henriques, D. Kiselman, J. de la Cruz Rodríguez.


Grazie al Telescopio Solare svedese di un metro di diametro (Swedish 1-meter Solar Telescope) a La Palma, nelle Isole Canarie, è stato possibile osservare per la prima volta la presenza di flussi che penetrano nella regione della penombra in una macchia solare sulla superficie del nostro Sole. I risultati sono stati pubblicati da Göran B. Scharmer, Vasco M.J. Henriques, Dan Kiselman, (tutti dell’Institute for Solar Physics of the Royal Swedish Academy of Sciences e del Department of Astronomy dell’Università di Stoccolma) e da Jaime de la Cruz Rodríguez (University of Oslo) sulla rivista Science Express (http://www.sciencemag.org/content/early/recent) dopo oltre un anno di lavoro.

Una macchia solare è una chiazza che si forma sulla fotosfera solare e che appare scura a causa della più bassa temperatura (fino a 4000 K) rispetto al resto della fotosfera, che raggiunge, invece, i 6700 K circa. La formazione di una macchia solare è associata ad un intenso campo magnetico. La parte centrale della macchia è chiamata ombra scura, circondata da una zona di penombra che risulta più chiara della zona centrale e che è formata da una struttura a filamenti simile ai petali di un fiore.

Le macchie solari appaiono più scure del contorno dato che il campo magnetico inibisce i moti convettivi sotto la superficie (che trasportano energia sottoforma di calore). Queste macchie non sono tuttavia completamente scure e fredde.  Sembra incredibile, ma capire come mai le macchie risultano brillanti è sempre stato uno dei più grandi grattacapi nella fisica solare. Dopotutto, la penombra ha una luminosità pari al 75% dell’emissione solare standard.

Il fenomeno della convezione, che ha luogo appena sotto la cosiddetta superficie solare, dà luogo alla granulazione solare dove il gas caldo luminoso sale e il gas scuro freddo scende. Se tali processi sono importanti nella zona di penombra, dovrebbe esserci analoghi moti  sali-scendi nel gas. Questo è quantoè stato osservato per la prima volta.

 

Una macchia solare confrontata con la dimensione della Terra. Cliccare per ingrandire. Cortesia: The Royal Swedish Academy of Sciences, V.M.J. Henriques, Dan Kiselman, and NASA (Earth image).


I flussi discendenti (downflows) identificati in questo studio sono sistematicamente associati con le regioni più scure e devono perciò avere una natura convettiva. In conclusione, la penombra è alimentata da un flusso convettivo dal basso. Il risultato, supportato anche da recenti simulazioni, potrebbe chiudere finalmente un dibattito durato molto a lungo.

I flussi convettivi discendenti e ascendenti (convective downflows and upflows) sono associati a  potenti getti orizzontali (alti parecchi chilometri) che sono diretti dal centro della macchia in modo radiale verso l’esterno. Questi flussi orizzontali costituiscono il famoso e misterioso effetto Evershed (Evershed effect). L’identificazione di flussi di penombra che sono di natura convettiva in origine,  è dunque in grado di spiegare questo misterioso effetto, scoperto per la prima volta nel 1909 da John Evershed presso il Kodaikanal Observatory in India.

Fonte: The Institute For Solar Physics, The Royal Swedish Academy of Sciences: http://www.solarphysics.kva.se/
e Nature: http://www.sciencemag.org/content/early/recent

The Swedish 1-m Solar Telescope: http://www.solarphysics.kva.se/NatureNov2002/telescope_eng.html

Sabrina

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2 Comments

  1. Anzitutto complimenti per l’articolo  e complimenti ai ricercatori che ogni giorno mettono un nuovo tassello nella comprensione di tutto ciò che ci circonda.
    Poi complimenti per l’immagine…. mi ricorda l’occhio di Sauron (il signore degli anelli)! Eheheh

    • Grazie Andrea, il merito è tutto dei ricercatori… Io mi sono limitata a capire e mi auguro di averci azzeccato! 🙂

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