Io di politica non ci capisco nulla, questa va acquisita come tacita premessa ad ogni considerazione che azzardo sul tema. Ciò detto, mi sembra di assistere, in questi giorni, al consueto teatrino elettorale di sempre, in uno scenario dove quello che colpisce per la sua mancanza, è una sostanziale novità.

Viviamo un tempo accelerato – del cosmo e della storia – ma certe macchine e certe procedure paiono splendidamente inossidabili, in spregio dell’Universo che si muove, che si mostra in modi inediti proprio in questi tempi, che ci chiama ad un nuovo modo di esistere, di pensare, di soffrire ed amare.

In tutto questo, quali sono i temi “forti” di questa campagna elettorale? Se da una parte si pone l’accento su lavoro ed ambiente e diritti (come esattamente nell’ultima tornata elettorale, nel 2018), dall’altra si ritorna a mettere in circolo le consuete parole d’ordina sulla sicurezza, sulla “minaccia” dei migranti, sulla difesa del territorio e dei confini, eccetera. Insomma, niente di veramente nuovo, niente di diverso da prima. Tutto elegantemente svincolato da una seria analisi empirica di quel che si è fatto o non fatto.

L’Universo è ancora statico, per la politica mainstream. Che la cosa sia falsa ormai da diversi decenni, non pare un problema per nessuno. O quasi.

Credo che i politici vadano incanzati, sollecitati su questioni specifiche. I grandi quadri, i grandi scenari, hanno fatto il loro tempo, ora sono appena framework buoni per tutte le stagioni, con poco appiglio alla gestione pratica e quotidiana della cosa pubblica.

I politici vanno incalzati su questioni specifiche. Come quella della politica estera, ad esempio. Questioni spinose come quella della decisione di inviare armi o non farlo. Questioni vere, insomma. Iniziative come quella del recente Protocollo sul ripudio della guerra e la difesa dell’integrità della Terra vanno esattamente in questa direzione, di chiudere con i discorsi di propaganda e prendere posizione su questioni molto concrete.

La relazione tra politico e base elettorale rischia di essere una relazione uno a molti con un soggetto attivo (o supposto tale) e l’altro televisivamente inoperoso occupato solo in una scelta essenzialmente dialettica.

Non può più andare così.

Il messaggio deve veicolarsi in forma bidirezionale e in forma molti a molti, le istanze della società civile (per esempio dei movimenti, di qualsiasi tipo e natura) devono arrivare alle segreterie dei partiti e informarne le scelte.

In questo senso mi pare importante l’editoriale di Giorgio Vittadini (presidente della Compagnia delle Opere), apparso sul Corriere della Sera di ieri, che significativamente si titola Le nostre domande alla politica, proprio perché vogliamo e dobbiamo fare domande non fermarci a scegliere il meno peggio, meno che mai a turarci il naso, perché se ci fosse cattivo odore nell’ambiente, sarebbe comunque anche colpa nostra.

Mi piace l’idea che i politici che arriveranno al Meeting di Rimini vengano accolti non solo con applausi ma soprattutto con domande. Riporto quelle dell’articolo di Vittadini, perché mi paiono di grande importanza e molto concrete.

Condividete la necessità di valorizzare il ruolo delle realtà sociali e di ripensare ai partiti così come abbiamo suggerito?

Su quale tipo di sistema educativo volete investire, a fronte della sua attuale incapacità a garantire qualità ed equità?

Quale tipo di lavoro volete promuovere dopo i cedimenti degli ultimi decenni al neoliberismo e all’assistenzialismo?

Domande concrete per le quali si auspicano risposte concrete.

In questo Universo in espansione, pieno di nuove cose, i giochetti di parole, la demonizzazione degli avversari, risuonano come insopportabili. Come cose vecchie, tremendamente vecchie. Eppure stiamo assistendo alla esatta messa in scena di questo abusato repertorio.

E proprio qui sorgono le domande più forti, più profonde, quelle che spesso non ci facciamo più esplicitamente, asserviti ad un tacito cinismo, ma che vale la pena di rispolverare, per lasciar respirare la nostra inesausta fame di giustizia, di equità, di equilibrio. La esprime bene il poeta e filosofo Marco Guzzi in un post di ieri,

Se poi volessimo valutare la devastazione morale, culturale, e spirituale, che abbiamo sofferto negli ultimi 40 anni, allora dovremmo aprire un altro capitolo, e chiederci come sia stato possibile che un’intera generazione di politici, per giunta, e colmo del paradosso, quasi sempre e quasi tutti di cultura e di professata fede cattolica, abbiano potuto portare un paese, come l’Italia, in questa funesta notte di contagi, di veleni, di ignoranza colossale, e di malumori micidiali.

La politica deve urgentemente riformare sé stessa o verrà travolta, in modi che ancora non conosciamo. L’Universo non aspetta: l’occasione è adesso.

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