Blog di Marco Castellani

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Mercurio, in transito

Questa bella immagine ci mostra la esilissima silouette del pianeta Mercurio, il più vicino al Sole, durante il suo passaggio davanti alla nostra stella, avvenuto esattamente tre giorni fa.

transito di Mercurio davanti al Sole
Passaggio di Mercurio davanti al Sole.
Crediti: NASA/Bill Ingalls

Non c’è proprio niente di meglio di immagini come questa, per capire la differenza di dimensioni tra i pianeti ed il Sole. La nostra stella è veramente l’oggetto che domina lo spazio intorno a noi, e la dizione assai usata Sistema Solare mai come ora, lo vediamo bene, mantiene tutta la sua assoluta rilevanza.

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La periferia, che arriva

Questa meravigliosa immagine, dopotutto, è il frutto di un viaggio. Di un lungo, lungo viaggio. Il lancio della sonda New Horizon, infatti , risale al lontano (si può ben dire) anno 2006, mentre l’arrivo nei dintorni di Plutone è avvenuto nell’anno 2015. Dunque, un viaggio di quasi dieci anni. Un cammino paziente, per arrivare a vedere, finalmente, a fotografare (e dunque ad immaginare ancor meglio), quello che per secoli è stato appena un puntino, è stato appena territorio della fantasia.

Ed ora invece lo vediamo, lo vediamo bene. Plutone, questo pianeta nano che dista da noi più di quattro miliardi di chilometri (quando va bene, spesso anche di più), ora lo vediamo, finalmente. In termini più ampi, ci parla di una periferia che stiamo imparando a conoscere. A vivere, in un certo senso. Sì perché quello che arriva alla nostra percezione, entra di fatto nel nostro mondo, nel nostro modo di pensarci e di pensare l’Universo.

Ed ecco che entra Plutone, per tanto tempo rimasto così elusivo. Perché ora, soltanto ora, riusciamo a porre lo sguardo sulla periferia del nostro Sistema Solare. Una periferia che finalmente arriva alla nostra attenzione.

Crediti: NASAJohns Hopkins Univ./APLSouthwest Research Institute

Già da questa immagine, è possibile ricavare una notevole dose di informazioni riguardo l’atmosfera del pianeta nano. In generale si può fare molta scienza, dai dati della New Horizons. Dieci anni di viaggio sono stati un prezzo da pagare certamente congruo, per questi dati preziosissimi (e che rimarranno unici, per chissà quanto tempo).

Quello che ci preme però, in questo contesto, è capire come la percezione umana del cosmo sta mutando, sta mutando velocemente. E’ un’epoca particolare, la nostra. Decisamente particolare. E’ un’epoca in cui dobbiamo per forza rinegoziare il nostro sentirci nel cosmo, e farlo probabilmente in forma più amichevole e morbida rispetto al passato.

I dati delle infinite sonde sparse nel nostro cielo, ci parlano di un cosmo raccontabile, un cosmo che dismette i suoi veli di mistero e timore e ci parla invece di meraviglie, di avventure, di cose da scoprire, di cose di cui poter finalmente parlare, cose che entrano nell’ultimo orizzonte della nostra percezione, e ci fanno sentire un poco più a casa, in questo Universo.

Grandissimo, sconfinato: certo. Ma esplorabile.

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Quel vapore, da così lontano

Ogni tempo ha le sue specifiche domande, e questo si applica certamente anche all’astronomia. E’ proprio in questi anni, infatti, che la questione della eventuale vita extraterrestre ha acquisito una densità e una rilevanza che, per certo, non ha mai avuto in tutta la storia della scienza.

La scoperta di un numero sempre crescente di esopianeti è senz’altro ciò che ci spinge e ci incoraggia su questo specifico binario: ancora sul finire del secolo scorso per contare gli esopianeti conosciuti bastavano le dita delle mani, mentre oggi il numero, sempre in aggiornamento, supera tranquillamente il valore di quattromila. In pochissimi anni, dunque, si è innestata una vera rivoluzione in questo specifico campo, assolutamente senza precedenti. In altri termini: nell’indagine sui pianeti esterni al Sistema Solare c’è un punto di svolta, e quel punto di svolta è adesso.

Dall’angolo di vista dell’indagine scientifica, peraltro, la domanda se esista vita in ambienti extraterrestri, è necessariamente preceduta dalla domanda sul quali e quanti sono gli ambienti “adatti” alla vita.

Un grande passo avanti nell’articolare risposte a questa domanda è per certo la recente scoperta di una significativa quantità di vapor d’acqua nell’atmosfera di un pianeta piuttosto distante, chiamato K2-18b.

L’esopianeta K2-18b, e la sua stella sullo sfondo (e anche, l’altro pianetino)
Credit: ESANASAHubbleArtist: M. Kornmesser

Il pianeta si trova a circa 124 anni luce da noi, verso la costellazione del Leone. Va detto, non è proprio come la Terra, anzi è decisamente più grosso e pesante di questa. Tuttavia, è certo che orbiti ben all’interno della fascia di abitabilità della sua stella. Ah, e riguardo a quest’ultima, possiamo dire che è ben più rossa del nostro Sole (sì, è una nana rossa, per la precisione), ma per le relative distanze, brilla nel cielo del pianeta più o meno con la stessa intensità di quanto faccia la nostra cara stella per noi.

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Una notte, per la ricerca

Eh sì, anche quest’anno si celebra la Notte dei Ricercatori, un evento che ci serve, ci serve davvero, per rientrare in contatto con quell’opera quotidiana di fare scienza che ferve ogni giorno, ogni momento, intorno a noi, ma di cui solo in occasioni particolari, ne facciamo esperienza.

E’ normale, lo dico subito. Alla scienza non ci pensiamo troppo spesso. Siamo immersi in un Universo decisamente formidabile, lo sappiamo (e qui ce ne occupiamo da molti anni, mettendolo a tema tutte le volte che si può). Ma spesso risulta velato, messo a distanza, tenuto quasi lontano, dalla liturgia artificiale delle luci elettriche che ci precludono la vista di quegli evocativi bagliori, segni della presenza amica dell’infinitamente lontano. E velata anche, forse, da quella rete di comunicazione globale, così onnipresente che a forza di collegare tutto e tutti, diventa autoreferenziale, in qualche misura, e dimentica cosa esiste, cosa vive, da miliardi di anni, al di fuori di essa.

Ma poi siamo presi da mille cose, diecimila impegni, preoccupazioni, decisioni da prendere. Momenti di gioia, anche. C’è vita, dopotutto, su questo pianeta. Ed è normale (un miracolo, che ci pare normale).

Allora, ritornare a comprendere come la ricerca scientifica può entrare in qualche misura nella vita di ognuno di noi, portando quel soffio di voglia di capire, conoscere, di giocare (in fondo) ai piccoli esploratori, a caccia di indizi in un mondo grandissimo e miracolosamente conoscibile, ebbene questo assume – soprattutto oggi – una portata non solo culturale ma – io ritengo – anche esistenziale, della quale è bello fare tesoro.

E comunque, sulla Notte Europea dei Ricercatori 2019 potete trovare un mucchio di utili informazioni, a cominciare dal sito di Frascati Scienza. Se poi, in particolare, gravitate nella zona dei Castelli Romani (più famosa per il buon vino che per la scienza, probabilmente ma non del tutto giustamente…), potreste essere anche interessati alle attività con cui l’Osservatorio Astronomico di Roma (in quel di Monteporzio Catone, nello specifico), prende parte alla celebrazione della scienza, nella notte di venerdì 27 settembre. Le attività sono dettagliatamente elencate nel sito dell’Osservatorio (attenzione che comunque è necessario prenotarsi, per partecipare).

Oh, e se visitate gli stand scientifici, venite a trovarci che parliamo un po’ anche del Satellite Gaia, sul quale qui lavoriamo da un bel pezzo. Io vi aspetto in particolare, con un poster fresco fresco con i “fatti fondamentali” di questo emozionante marchingegno scientifico a spasso per la Via Lattea, di cui tante volte abbiamo scritto qui.

Buona notte… dei ricercatori, dunque! E occhi al cielo notturno, che è (sempre, sempre) pieno di stelle.

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Il Sole, e le sue mille meraviglie

Ce ne siamo accorti in varie occasioni, ce ne accorgiamo sempre: il nostro Universo presenta la mirabolante capacità di meravigliarci ad ogni fattore di scala. Conserva e custodisce sorprese che – ormai lo sappiamo – solo la nostra voglia di comprendere, di ammirare, può svelare, in un gioco sottile e sublime di domanda e risposta, che è alla fin fine quello su cui si basa la vera scienza.

Non fatevi traviare dal titolo, non si tratta di donne che non trovano compagnia…

Il Sole è una stella davvero piccola, di importanza davvero grande, per la specie umana. Con la sua presenza, con il suo afflusso di luce e calore, custodisce tenacemente la vivibilità in questa zona di Universo: senza di esso, in poche ore la temperatura scenderebbe verso un freddo insostenibile. Non avremmo ultimamente molto di che gioire, derivando verso temperature poco sopra lo zero assoluto, certamente non facili da sopportare!

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Spitzer, sedici anni di bellezza

Sono ben sedici anni che il Telescopio Spaziale Spitzer percorre pazientemente la sua orbita attorno al Sole, in prossimità del nostro pianeta, e intanto continua a monitorare il cielo in banda infrarossa.

Immagine artistica di Spitzer
(Crediti: NASA)

Questa scelta di campo, di osservare il cosmo ad una lunghezza d’onda più ampia di quanto percepiremmo con gli occhi – abbastanza peculiare, a prima impressione – si è rivelata veramente vincente man mano che le osservazioni raggiungevano Terra, e si costruiva un archivio di straordinaria potenza evocativa (oltreché, ovviamente, di grande rilevanza scientifica). Tanto che la durata prevista della missione, pari ad “appena” due anni e mezzo, è stata prolungata in diverse occasioni, estensioni che hanno permesso a Spitzer di raggiungere con successo il tempo presente. Con il tacito accordo – ormai – di passare le consegne al futuro (ed ancor più performante) James Webb Telescope.

Di fatto, Spitzer ha efficacemente affiancato in questi anni il Telescopio Spaziale Hubble, regalandoci meravigliose immagini di quelle zone di cielo – specialmente le zone di fresca formazione stellare – ove l’investigazione in banda infrarossa risulta fondamentale (come sappiamo, questa banda riesce ad attraversare molto più facilmente zone di gas e polveri, che invece smorzano drasticamente le lunghezze d’onda del visibile).

La Nebulosa Ragno, in banda infrarossa
(Crediti: NASAJPL-CaltechSpitzer Space Telescope2MASS)

Questa straordinaria immagine, fulgido esempio della capacità di Spitzer, ci mostra, sul lato sinistro, la Nebulosa Ragno (nome in codice, IC 417), sede di importantissimi processi di formazione stellare, insieme con la Nebulosa NGC 1931, sul lato destro.

La distanza approssimativa di questi spettacolari oggetti celesti si aggira sui diecimila anni luce (tutto sommato, siamo nell’Universo vicino). L’immagine che ammirate è in realtà una composizione – scientificamente rigorosa – di dati provenienti, appunto, da Spitzer, e dati delle celebre Two Micron All Sky Survey (2MASS, in breve).

Una elaborata composizione di dati infrarossi traslati in banda ottica, per restituirci uno spettacolo degno di essere guardato ed ammirato, prima ancora che compiutamente analizzato. Per celebrare degnamente questi sedici anni di onorato servizio, da parte di uno dei più importanti telescopi con base nello spazio, al quale siamo grati per il preziosissimo scrigno di conoscenza e di bellezza che, nel tempo, è stato capace di dischiuderci.

Ed al quale, dovremo e vorremo certamente tornare con piacere e curiosità, per molti e molti anni a venire.

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Centodiciotto anni più tardi…

Oggi è così, ma non è sempre stato così. Oggi certo, siamo abituati a catturare immagini facilmente, di qualsiasi cosa. Abbiamo sempre con noi uno smartphone che dispone ormai di un apparato fotografico di soddisfacente qualità, in modo che non ci stupisce più il fatto di andare in giro catturando immagini di mondo, di quel mondo che i nostri nonni si accontentavano – quasi sempre – di vedere con gli occhi, e basta.

Tra l’altro, è ben noto che i telefoni cellulari – e le moderne macchine fotografiche – siano equipaggiate con quelle CCD (nome che sta per Charge Coupled Device, ovvero Dispositivo ad accoppiamento di carica) che sono state ideate e sviluppate proprio in ambito astronomico.

Tutto questo, lo sappiamo, è storia di oggi. Ed appunto, non è sempre stato così. E non parlo della preistoria tecnologica, tutt’altro. Quando il sottoscritto iniziava a muovere i primi suo passi nel mondo dell’astronomia, per dire, le immagini dal cielo venivano ordinariamente registrate su lastre fotografiche. Con tutti i problemi di linearità, saturazione, rumore, che ogni buon astrofilo potrebbe spiegarvi (e spiegarci, anzi).

E’ utile allora tornare un attimo indietro, fare storia, capire la strada fatta, ed anche le meraviglie che già si potevano realizzare tanti anni fa, attrezzati di entusiasmo e dedizione.

Eccone certamente una, di autentica meraviglia.

Crediti: George Ritchey, Yerkes Observatory – Digitization Project: W. Cerny, 
R. Kron, Y. Liang, J. Lin, M. Martinez, E. Medina, B. Moss, B. Ogonor, M. Ransom, J. Sanchez (Univ. of Chicago)

E’ una fotografia della Nebulosa di Orione, realizzata appunto sopra una lastra fotografica. Eravamo all’alba del secolo che si è concluso, nel 1901. Sono passati ben centodiciotto anni, due guerre mondiali e tante altre cose (anche meno drammatiche, grazie al cielo), ma l’immagine conserva tutta la sua carica di meraviglia. Per la cronaca, l’autore fu un certo George Ritchey, astronomo e costruttore di telescopi.

Il bello, è che abbiamo ancora tantissimo materiale in lastre fotografiche (spesso a largo campo) che risultano molto utili per le ricerche attuali: esse naturalmente vengono digitalizzate con grande cura per poi poter esplorarne il contenuto informativo – a volte preziosissimo.

Perché in fondo, ogni vero futuro inizia così: con i piedi ben piantanti nel passato.

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Ventuno chilometri, dopo

Questa splendida immagine (che quasi non ci si crede, sia un altro pianeta, visto il grado di dettaglio), è un mosaico fotografico prodotto dal rover Curiosity di stanza su Marte, e risale appena ad un paio di mesi fa, quando noi qui a Terra si iniziava (chi può) a pensare alle vacanze.

E’ presa dalla posizione attuale del rover, una zona – per la cronaca – chiamata Teal Ridge. Al momento dell’acquisizione, il 18 giugno, correva il giorno 2440 per la permanenza di Curiosity sulla superficie del pianeta rosso.

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