Blog di Marco Castellani

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Dopo lo scoppio…

Lo sappiamo bene, le stelle piccole sono le uniche che durano davvero. Quelle grandi bruciano così furiosamente il loro combustibile (tecnicamente, con potenza superiore alla massa) che possono durare niente più che pochi milioni di anni. Niente, se pensiamo che una stella come il Sole, piccolina tutto sommato, di miliardi di anni di vita ne ha a sua disposizione (per nostra somma fortuna) circa dieci.

Tutta l’esistenza di una stella – soprattutto quelle massicce – può essere interpretata come una dinamica di produzione di elementi complessi: a partire infatti da idrogeno ed elio, messi a disposizione dal Big Bang, la stella riesce a produrre, per fusione nucleare, gli altri elementi che poi disperderà nello spazio, provvidenzialmente, con il meccanismo dello scoppio di supernova.

Crediti immagine: NASA/CXC/SAO

Davvero, le stelle sono le fabbriche degli elementi senza le quali, niente di quello che vedere attorno a voi, potrebbe esistere. Anche noi, anche i nostri atomi, sono stati prodotti all’interno delle stelle!

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Il primo rover su Marte

Era il 4 luglio di ormai molti anni fa. Per la precisione, correva l’anno 1997, quando il rover Sojourner si appoggiava finalmente sulla superficie di Marte, portato fin là dal Mars Pathfinder. L’immagine che vediamo è stata presa appena il giorno successivo.

La prima immagine del rover Sojourner, pioniere su Marte. Crediti: NASA/JPL

Per la precisione, questa immagine a colori è stata presa come “assicurazione” in caso di danneggiamenti della camera stessa, in concomitanza alla sua messa in funzione. Procedura che fu invece realizzata – grazie al cielo – con pieno successo.

Alquanto curioso, a ripensarci oggi, che questa immagine meramente di sicurezza contenga in realtà preziosissimi dati di alta qualità, perché realizzata con le lenti ancora in perfette condizioni e prive di polvere, nonché senza effettuare alcuna compressione dei dati. Questa prima storica foto (in realtà un mosaico di otto diverse inquadrature) venne scaricata a Terra alcune settimane dopo essere stata acquisita.

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Un magnetismo… galattico

Esistono vari livelli di bellezza “invisibile” nel nostro Universo, potremmo dire. Ci sono cioè segni di simmetrie, di complessità di variazioni, gradazioni, progressivi disvelamenti, armonie e consonanze, che non sono semplicemente, ordinariamente visibili. Che cioè avvengono totalmente fuori dalla portata dei nostri sensi (ma avvengono, avvengono).

L’astrofisica moderna, nel mentre che ci indica e ci descrive vari ambiti fuori dalla classica “astronomia ottica” – sempre più appena una tra le tante modalità di approccio alla complessità del cosmo – ci fornisce gli strumenti per poter iniziare anche a percepire segni di bellezza e simmetria fuori appunto dalle frequenze e pertinenze che potremmo registrare con i nostri sensi.

Per esempio, è indiscutibile la delicata bellezza di questa immagine.

Il “centro magnetico” della Via Lattea
Crediti: NASASOFIAHubble

Questo è il cuore magnetico della nostra Galassia. Come spieghiamo questa bellezza? Ebbene, dobbiamo pensare ad un flusso di particelle che, ruotando in concordanza con il campo magnetico galattico, emettono fiotti di luce polarizzata in banda infrarossa. Questo segnale ci viene restituito e deliziosamente rimappato nel visibile, dagli strumenti a bordo di SOFIA, che è attualmente l’osservatorio “aerotrasportato” più grande del mondo.

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Plutone psichedelico

Il mondo, in fondo, è come lo si guarda. L’esperienza che abbiamo di questo universo, è fortemente dettata dai nostri stessi sensi, e da come li usiamo. E’ il modo di guardare tutto, che fa la differenza.

Ce lo dice anche un pianeta nano come Plutone. Siamo abituati a pensarlo in tanti modi, più o meno tutti grigi. Non siamo certo abituati a pensarlo… così.

Crediti immagine: NASA/JHUAPL/SwRI

Eppure è lui, è Plutone. Tutto vero. Certo, è un Plutone decisamente psichedelico, potremmo dire. Gli scienziati della sonda New Horizons – alla quale dobbiamo le migliori immagini di questo corpo celeste, da qui sicuramente a moltissimi anni – hanno applicato una tecnica detta di analisi delle componenti principali (una faccenda matematica che, detto di passaggio, usiamo anche noi per lavorare sui dati del satellite Gaia), al fine di generare una mappa di colori capace di porre in risalto, per l’occhio umano, anche i più piccoli particolari, enfatizzando la diversità di ambienti che si trova anche e perfino in questo quasi-pianeta, sicuramente molto più ampia di quanto ci saremmo mai aspettati.

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Una nuova fisica alle porte?

E’ una immagine molto suggestiva, e questo è innegabile. Ma potrebbe essere anche decisamente di più. Nessuna sorpresa, in questo. Spesso la bellezza e l’importanza scientifica si fanno compagnia, del resto. Una frase attribuita a Platone recita che la bellezza è lo splendore del vero.

Sia di chi sia, ci piace farla nostra, almeno in questo caso.

Ma vediamo un po’. Si tratta della regione di formazione stellare chiamata N11 ed è senza dubbio la parte più “viva” ed esuberante della Grande Nube di Magellano, uno delle galassie vicine alla nostra più importanti ed ingombranti, con riguardo alla massa totale.

Crediti: NASAESARiconoscimenti: Josh Lake

Questa immagine poi è stata acquisita con il Telescopio Spaziale Hubble, e dietro alla sua bellezza – possiamo dirlo – c’è anche un buon lavoro artistico, una sorta di paziente cesellamento digitale che è valso all’utore un premio, chiamato significativamente Hubble’s Hidden Treasures (appunto, i tesori nascosti di Hubble).

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Un granchio per Hubble

A circa settemila anni luce da noi, c’è la bellissima Nebulosa del Granchio Meridionale (da non confondere con la ben più famosa Nebulosa del Granchio, di cui diverse volte ci siamo occupati).

Crediti immagine:NASAESASTScI

A rendere conto della peculiare forma “a clessidra” ci pensa il sistema stellare al centro di tutta la faccenda: si tratta di una stella in fase di nana bianca, molto piccola e compatta, e una compagna in fase di gigante rossa, molto più grande ma assai meno densa, che per attrazione gravitazionale riversa sulla prima stella parte del materiale che compone i suoi strati più esterni.

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Per Giove, una domanda umile

Questa immagine di Giove, che ci restituisce la sonda Juno, è veramente presa da vicino, almeno per lei. E si vede bene, si vede dal grado straordinario di dettaglio che la impreziosisce. Si può ammirare la curiosa conformazione delle nubi che potrebbe suggerire l’immagine di un delfino, anche.

Visto da Juno (Crediti: NASAJunoSwRIMSSSProcessing: G. Eichstädt & A. Solomon)

Certo, anche su altri pianeti – Terra inclusa – non è raro che le nubi in perenne movimento si possano sistemare in modo da suggerire forme conosciute, e dunque (scientificamente parlando) non è una cosa granché significativa. Però contribuisce ad arricchire di fascino e bellezza l’immagine, già sorprendente di suo.

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Prima immagine di un buco nero

Ormai l’avrete già vista dappertutto. In due giorni appena è diventata una delle immagini più onnipresenti nel web. E questa volta è una immagina scientifica. E molto, moltissimo umana.

E’ una immagine che parla di un grande risultato della scienza – la prima volta che si ottiene una immagine di un buco nero – e di un grande risultato dell’uomo. Direi questo, soprattutto.

Cerchiamo di capire perché. Bene, la cosa in sé la sapete, inutile aggiungere altre descrizioni, oltre a quelle già molto accurate che si sono affacciate in rete: quella che già viene chiamata la foto del secolo è una immagine del buco nero supermassiccio nella galassia M87, acquisita tramite l’Event Horizon Telescope (Eht, in breve). Vediamo qualcosa che non si era mai visto. Riusciamo ad avere una immagine di un oggetto enorme, smisurato e lontanissimo. Un oggetto che appartiene ad una classe, quella dei buchi neri, che quando ero ragazzo era trascritta nei libri di testo con la doverosa specifica di ipotetica.

Già, fino a non molti anni fa i buchi neri erano ipotesi di lavoro, appena.

E ora, invece, vediamo questo.

Crediti: The Event Horizon Telescope

Cerchiamo di allargare lo sguardo. Cosa sta accadendo in questi anni? Sta acquisendo una dignità di esistenza nel nostro linguaggio comune una teoria, una immagine di cielo, che fino a ieri pareva fuori dalla nostra portata. La rilevazione delle onde gravitazionali, e ora l’immagine del buco nero, sono gli eventi che suggellano questo cambiamento, questo turning point.

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