Blog di Marco Castellani

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Un quadro, del settantatré

Domenica pomeriggio, mettiamo su i quadri. Sono appoggiati in camera da letto da una vita, ormai. Su quel carrello ormai vecchio e rovinato, che dobbiamo buttare. Scomoda, come sistemazione. Anche perché c’è il fatto che se ti alzi di notte per andare in bagno ci puoi sbattere contro (succede, succede…).   A dire la verità, niente come l’iPod Touch – o roba simile –  per muoversi a mò di felino a notte alta con un minimo di luce (se poi non ti riviene sonno, puoi leggere qualcosa o controllare la posta… anche se, chi ti scrive a quell’ora di notte?)
Ma sto divagando…Torniamo ai quadri. E’ incredibile come cambia l’aspetto della casa mettendo due o tre quadri appena. Io e Paola li prendiamo uno alla volta, li puliamo, cerchiamo di capire dove stanno meglio. Ne giro uno, fatto da mio nonno materno (dipingeva per hobby, ma dipingeva bene, secondo me). Vedo la firma e la data. Aldo Poli. Settembre 1973. 

Faccio un rapido conto, e mi colpisce una coincidenza. Mio nonno lo dipinse quando io avevo l’età di Agnese, la nostra bimba più piccola. Quante ne ha viste passare quel quadro! E ancora è lì, ancora svolge la sua funzione. E’ ancora bello. Ancora mi trasporta indietro, mi fa pensare all’infanzia, al nonno. E’ un bel quadro. Ma anche se non lo fosse, sarebbe lo stesso importante, per me. Per la mia famiglia.
Dipingere
Il fatto di creare ha qualcosa dentro, un mistero che non puoi esaurire, comprendere. Spesso ragiono – nel giudicare i miei tentativi letterari-  per categorie semplificate; o una cosa è pienamente riuscita, è un’opera d’arte, diciamo, o non lo è. E se non lo è quasi non si capisce perché uno abbia perso tempo, magari molto tempo, per realizzarla. 
Però questo ragionamento semplificato manca diversi punti. Uno è che creare di per sè è un’attività terapeutica d’eccellenza. Seguendo la spinta interiore a creare capisco meglio il mondo e me stesso, mi muovo verso un equilibrio, affermo la positività ultima del reale (anche se scrivo una tragedia… se sto scrivendo di per sè è come se dicessi vale la pena). Reprimere un impulso a creare non fa mai bene alla salute. A prescindere dal “valore” di quello che riesci a creare. Il secondo punto è che – sappiamo bene – tra il capolavoro e il tentativo da buttare esiste uno spettro larghissimo di possibilità; il mondo è sempre più vario e sorprendente di come riusciamo ad immaginarlo. 
Inoltre dimentichiamo spesso che dietro tantissimo capolavori c’è il lavoro paziente e tenace, ci sono tanti tentativi parzialmente riusciti, che dunque acquistano un loro specifico valore, come può essere la strada che conduce (in un tempo e in un modo non deciso da noi) alla realizzazione di sè.
Assecondare la propria vocazione, mi sembra analogo ad accettare di stare su una strada, di rimanere in un cammino, di cui magari vedi appena pochi metri avanti. Ci sono tante curve, non vedi oltre la prima. A volte ci può essere nebbia. O ti trovi a percorrere una selva oscura, magari. Sei inquieto o triste o insoddisfatto, forse non sai nemmeno perché. Non per questo, devi smettere di camminare: “Guarda che dopo splende il sole; sei dentro l’onda, ma poi sbuchi fuori e c’è il sole” (Luigi Giussani). 
Non per le difficoltà, il tuo diventa meno ragionevole. 

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Dal parco, guardando le case

Stamattina siamo andati io e Agnese. Oggi pomeriggio siamo tornati, e c’era anche Simone. Tutti al parco sotto casa, a prendere un pò d’aria fresca, e a esplorare lo spazio dell’allenamento ginnico, con i nuovi attrezzi che – mossa molto oculata, una volta tanto – una qualche amministrazione ha fatto istallare nell’aera del parco stesso.
In due posti diversi del parco ci sono questi attrezzi belli nuovi, una sorta di palestra all’aperto, accessibile a chi voglia fare un pò di allenamento nell’atmosfera rilassata del parco. Bello. Aiuta a rendere il parco stesso un luogo di uso del tempo libero più completo, diversificato. Bello vedere un altro papà che spiega al figlio i vari esercizi possibili, lo introduce e lo guida alla verifica di se stesso, lo controlla, vigile.
Nel pomeriggio ci tratteniamo all’area attrezzata più vicina alla nostra casa. Il parco corre vicino ai palazzi, in questa zona. Sta pian piano arrivando il buio, noi siamo pronti a rientrare verso casa, ma ci fermiamo un pò. I bimbi apprezzano la compagnia del papà, parlano e chiedono intanto che provano a fare la loro ginnastica (graduale, come necessario).
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Dal parco, al tramonto…

Nella tonalità azzurrina sempre più scura, spiccano come contrasto, come ideale complemento, le luci calde che provengono dalle finestre e dai balconi. Il papà adesso muove lo sguardo sull’ampio palazzo. Miriadi di ambienti che lasciano immaginare di sé. Immagina famiglie, segnali di vita, percorsi, traiettorie di esistenze. Come un immenso mosaico che si compone ordinato, ora, decorando la dominante l’azzurro-verde che prevale nel parco, con le sue tonalità calde. Come dire, c’è un riparo. Guarda che c’è un riparo. Puoi andare fuori ad esplorare, puoi vedere il mondo, andare nel parco, correre, e c’è un riparo. Anzi, tu – bambino, adulto – vai a imparare il mondo, perché sai, o senti, che c’è un riparo. 
E se sei nella tempesta, se non senti qual è il tuo riparo, sai che un riparo c’è. Sei autorizzato a credere che c’è un porto. Che devi passare la tempesta, ma poi “sbuchi fuori, e c’è il sole” (Giussani).
Ora mi è più chiaro di un tempo. La capacità del percorso, della lenta costruzione, si deve appoggiare a qualcosa. Anche nella tempesta, c’è la prospettiva, per tutti, di sbucare fuori, infine vedere il sole. 
Allora sì, si può costruire. Finalmente si può.

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La bellezza e la gabbia…

Era così. Senza dirlo, senza dirmelo esplicitamente, era così. Da più giovane avevo come tutti, le mie brave idee. Come essere un buon fidanzato, un buon marito, un padre affidabile, presente. Come vivere in famiglia, come vivere sul lavoro. Come affrontare le varie cose. Con le mie idee, i miei valori. Le mie priorità.
Pensavo (e a volte penso ancora) di dover essere, in questo modo, in quest’altro. Dover essere. E di comportarmi in maniera conseguente. Essere percepito dagli altri, in modo coerente con questo, anche. 
E così mi costruivo da me stesso, con le mie migliori energie, una bella gabbia dove rinchiudermi. Una gabbia dove, tristemente (e nonostante potessi dire il contrario) c’era sempre meno spazio per le sorprese, per le sorprese vere.
Qualcosa sta succedendo, in questo periodo. Qualcosa che mi costringe a lavorare per uscire dalla mia gabbia dorata. Anche qualcosa che, sul momento, punge e fa male. Piccole e grandi frustrazioni; poi il toccare con mano concretamente le mie miserie, che stridono con la pretesa di autosufficienza. Le incoerenze cocenti. Che indicano qualcosa di altro, di diverso. Rimandano ad una prospettiva più ampia.
“la prima condizione per capire la risposta all’umano che Cristo pretende di essere è di sentire fino alla sofferenza la propria domanda umana inevasa” (Luigi Giussani)
Oggi pomeriggio ho portato la piccola Agnese al parco. La natura rivestita dei colori di primavera, mi ha allargato il cuore, ha placato un poco le inquietudini, addolcito il misterioso e doloroso senso di  insoddisfazione. Agnese era semplicemente deliziosa, una deliziosa piccola bimba in un parco delizioso. Una bimba bellissima che vuol bene al suo papà, così com’è:  le basta un mio sorriso. Allora un pò ho capito. Vedevo succedere delle cose. Ora, in questo momento. Succedono delle cose.
Una foto presa al parco, oggi pomeriggio…
Io capisco questo. Qualcuno mi vuol bene, conosce il punto specifico del mio cammino, i sui lati belli e le sue fatiche e i dubbi,  e mi parla anche attraverso cose piccole e meno piccole, cose che mi capita di vedere, di attraversare, ogni giorno.
Ce ne ho messo di tempo, per capire. Se non vedo succedere delle cose, davanti a me, in fronte al mio naso, non duro. Se non vedo succedere delle cose, ogni giorno, non posso far nulla di quanto pretenderei, non posso fare un passo verso quei cambiamenti che penso necessari. Per quanta dedizione ci metta, non posso. Ho bisogno di veder succedere delle cose, continuamente. Un amico che si fa sentire, una nuova saggia amica che mi scrive, la natura bella, il suono delle campane che dice (come diceva oggi pomeriggio, l’avrei giurato) “siate felici, siate felici!”

“l’entusiasmo della dedizione è imparagonabile all’entusiasmo della bellezza”
 (Luigi Giussani, citato qui)

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