Blog di Marco Castellani

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Venere e il Sole… all’ultravioletto

Un tipo di eclisse tutto particolare, non c’è che dire. Di solito, infatti, è la Luna a schermare il Sole, quando si frappone tra la Tera ed il nostro astro, causando il ben noto fenomeno dell’eclisse. Ma di cose in cielo… ce ne stanno tante, anche e soprattutto nel nostro Sistema Solare. Può accadere – come in questo  caso – che sia il pianeta Venere che si trovi a passare (ogni tanto capita) davanti al disco solare: realizzando così una piccola – e tutta particolare – eclisse…

Venere davanti al Sole

Credit: NASA/SDO & the AIA, EVE, and HMI teams; Digital Composition: Peter L. Dove

Questa deliziosa immagine è del 2012, anno in cui è avvenuto il fenomeno (il prossimo avrà luogo nel 2117, un po’ troppo avanti, probabilmente, per molti di noi… ). L’immagine è straordinaria ed affascinante, anche perché non è presa in luce visibile, bensì nelle bande ultraviolette del Solar Dinamic Observatory della NASA. I colori che si ammirano corrispondono pertanto alle diverse lunghezze d’onda nelle bande ultraviolette.

Oltre allo spot nero di Venere, colto proprio nel suo passaggio, si può godere di una vista decisamente articolata (molto più che nel visibile), segno già questo molto convincente della complessità dei fenomeni che avvengono sulla superficie del Sole. Fenomeni così articolati che, come abbiamo specificato più volte, ancora attendono una compiuta interpretazione scientifica. Ma che già adesso si possono fare ammirare, solo a saperli vedere con l’occhio (o lo strumento) più adatto…!

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Caldo, e ancor più caldo…

L’astronomia è decisamente una scienza strana. Eh sì, perché contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è vero che gli oggetti a noi più vicini siano sempre i più esplorati. Prendiamo il Sole, ad esempio. Ad appena otto minuti luce da noi, potremmo supporre che ormai sia completamente conosciuto. E invece no: di fatto, la nostra stessa stella è ancora contornata – potremmo dire – da una serie di piccoli e grandi misteri scientifici, che attendono ancora compiuta articolazione, e convincente soluzione.

Crediti: NASA/GSFC/Solar Dynamics Observatory

Osservate questa sequenza di immagini del nostro amato Sole. Tutte le istantanee sono state acquisite nella stessa giornata, il giorno 27 del mese di ottobre, per la precisione. Ma mentre la prima “fettina” di Sole ci viene restituita in luce “bianca” (ovvero, nel modo in cui lo vedrebbe un occhio umano), tutte le altre sono acquisite in bande ultraviolette estreme, ovvero nella regione più energetica dello spettro, rispetto alla banda ottica. Sono anche disposte in bell’ordine secondo una scala di temperatura, crescente verso destra : la prima è su una temperatura di circa 6000 gradi, mentre l’ultima arriva a ben 10 milioni di gradi.

Una prima cosa che si può notare, ad un esame abbastanza puntuale, è che ogni immagine ci regala in realtà dei particolari diversi. Possiamo dire che ogni intervallo in lunghezza d’onda trasporta e rivela informazioni relative a diversi processi che stanno avvenendo sulla superficie solare (e al di sotto). E’ appena un accenno in scala ridotta dell’astronomia cosiddetta multi-messenger che si sta rivelando come approccio estremamente fecondo nella comprensione “a tutto campo” dei fenomeni celesti. Potremmo dire, in parole semplici, che occorre avere “occhi” per ogni specifica radiazione, sensori per ogni specifico “segnale”, per sperare di ricostruire un quadro completo e compiuto, di quanto stiamo osservando.

L’altra cosa, naturalmente, è l’ampio intervallo di temperatura in cui è capace di “splendere” il Sole. Arriviamo a dieci milioni di gradi, come abbiamo visto. E questo, per di più, accade nell’alta atmosfera solare, dunque molto più calda dei circa seimila gradi della base della fotosfera (da dove si originano i fotoni che arrivano fino a noi). Sì, avete letto bene: da seimila a dieci milioni di gradi, procedendo dalla “superficie” all’atmosfera solare! E’ una faccenda che ha dato ben più di qualche grattacapo ai fisici solari, per diversi anni, ma forse proprio adesso – grazie anche a dati precisi e dettagliati come questi – sta arrivando verso una sua piena comprensione.

Pubblicato originariamente su EDU INAF

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Quel Sole, invisibile

Il bello delle playlist moderne è che ci metti un attimo, davvero un attimo. Prima era questione di realizzarti la tua compilation su cassetta. Piccolo inciso: si parla delle musicassette, quelle nate nel mio stesso anno e ora praticamente defunte — mentre io ancora me la cavo, grazie al cielo.
Ma la compilation su cassetta era una cosa lunga. Dovevi raccogliere tutti i dischi, mettere su un pezzo dopo l’altro, registrare, mettere in pausa, cambiare disco, ricominciare. Stare magari attento a combinare i brani in modo di avvicinarti abbastanza alla fine del lato A della cassetta, altrimenti ti toccava poi avvolgere fino in fondo il nastro residuo prima di andare al lato B, in fase di riproduzione.
Vabbè. Tipicamente accadeva che l’ultimo brano del lato A andava esattamente cinque secondi oltre la fine del nastro. Cosa che rendeva il compilatore relativamente nervoso e perfino intrattabile, per un certo numero di minuti (variabili a seconda dell’indole e dello stato psicofisico del soggetto).
In ogni modo. La cassetta poi così faticosamente prodotta, era finalmente adeguata all’ascolto in automobile, o da amici, o dappertutto.
Eh? No, niente cellulare con cuffiette bluetooth, da indossare mentre corri al parco (maglietta e pantaloncini tecnici antisudore). Il cellulare non esisteva. E il bluetooth esisteva nella stessa misura del cellulare, peraltro. E la maglietta e i pantaloncini non erano poi, anche nel migliore dei casi, così tecnici come adesso.
Correre sì, potevi sempre correre. Ma la musica la facevi scorrere mentalmente nella testa, era l’unico modo.
Ora ci si mette davvero un attimo. Ogni sito di streaming musicale ha il suo sistema, ma è sempre abbastanza semplice. Io mi sono affezionato a Play Music, il servizio musicale di Google (dopo l’abbandono forzato di Rdio e un passaggio di alcuni mesi su Deezer). E quando trovo un brano che mi piace particolarmente (o quando lo ritrovo, ripescando antiche cose dalla memoria e andandole a cercare) lo flaggo con il pollice in sù. Ed entra nella playlist automatica di tutti i brani che ho gradito.
Ah, ho preventivamente istruito l’app di Play Music a scaricare sul telefono (quando trova il wireless) i brani di questa playlist. Così me li trovo tutti pronti per l’ascolto, vi sia o non vi sia connessione.
Vabbè, ma questi sono dettagli tecnici.
L’essenziale è che posso aggiungere togliere brani dalla mia playlist in maniera estremamente veloce. Così che mi è venuta voglia di andare a caccia di alcune antiche canzoni che mi piacevano, e poi sono state magari piano piano ricoperte dalla polvere del tempo, dal cambiamento delle mode e degli stili. Dal nuovo che avanza e che a volte non sarà migliore, ma è più scintillante, questo sì.
Nella mia rivisitazione mnemonica degli anni ottanta, mi sono imbattuto ad un certo punto in un disco dei Police, che non ho mai amato troppo (l’ho comprato sulla fiducia, Ghost in the Machine era il disco del mese della mia amata StereoPlay, e io i suoi dischi del mese li prendevo molto sul serio), ma che conteneva comunque un paio di canzoni folgoranti (almeno per l’epoca).
Una è proprio Invisible Sun.

Ora, la prima cosa che mi colpisce oggi, è che io per anni e anni ho ignorato bellamente l’argomento reale della canzone. Totalmente. Non immaginavo assolutamente che parlasse delle tensioni dell’Irlanda del Nord. Probabilmente, non ho nemmeno mai visto il video prima di oggi.
Però mi piaceva da matti. Era diversa dalle altre canzoni. Fin dalle prime note aveva quest’aria potente e decisa, che imponeva da subito un ascolto attento. Lo sentivi subito. Si sente ancora adesso. Una serietà che esorbitava largamente dalla spensieratezza melodica e un po’ oziosa di tante canzonette (anche di quello stesso disco, ahimé).
Ed era come se un messaggio passasse, comunque. Anche se quel ragazzo non capiva bene il testo, questo messaggio passava. Ugualmente.
E mi colpisce adesso. Come il quadro di riferimento delle nostre preoccupazioni sociali sia cambiato del tutto. Il focus non è sul terrorismo in Irlanda, di matrice politica, ma sul terrorismo internazionale di matrice (diciamo così) religiosa.
Ma le cose non sono poi così diverse. Non sono diverse come ci fa credere il sistema di telecomunicazioni, per cui il nuovo è sempre il criterio di riferimento, in una perpetua fuga dal presente. Non sono così diverse.
Il cuore dell’uomo, per esempio (cosa alla quale puntano direttamente le canzoni), è sempre quello. E rimane così attuale, attualissimo, lo sbocco in positivo della canzone, un vero colpo di genio che risolve nella speranza la tensione palpabile che attraversa il testo e la musica.

There has to be an invisible sun
It gives its heat to everyone
There has to be an invisible sun
That gives us hope when the whole day’s done

Ci deve essere un sole invisibile, che dona calore ad ognuno (attenzione, non dice genericamente everybody, ma l’accento — e non solo per questioni di metrica — è esattamente su everyone, ognuno).
Ci deve essere un sole che ora (magari) non vedo, una stella che mi dà speranza quando il giorno si chiude.

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Non ci sarebbe molto da dire. Oppure la verità è che ci sarebbe pure, ma scrivere con un iPhone 5 un testo esteso è qualcosa che fa venire un forte desiderio di mordere dei sassi, che alla fine può, come si dice, nuocere gravemente alla salute.

Una stella in discesa sulla marina di Caprioli (SA )

L’unica cosa che vorrei scrivervi in questa cartolina dalla provincia di Salerno, è che anche qui la nostra stella regala davvero degli spettacoli maestosi.

Come quello che ho provato a fotografare con i miei modesti mezzi (quelli con cui scrivo, appunto).

Una piccola stella in fase di sequenza principale, come ce ne sono tante. Eppure unica, per noi. E se penso a quante montagne di idrogeno il Sole inghiotte ogni secondo per mandare avanti questo spettacolo  beh… Vedete un po’ voi, per me c’è qualcosa di cosmico, di colossale, che sta accadendo sotto i nostri occhi.

Ma non voglio virare sul filosofico ora, questa è appena una cartolina.

Però, non so se ho fatto bene a studiare astrofisica, ma sapere abbastanza cosa succede in quella grande palla di fuoco – sapete – a pensarci mi piace.

E mi rincresce per il gran consumo di idrogeno. Ma non troppo. Direi anzi che è ben speso.

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Dalle stelle agli atomi…

Un momento! Ma cosa è successo al nostro Sole? uno si potrebbe (legittimamente) domandare, osservando la meravigliosa immagine qui sotto. In realtà non è niente di troppo inusuale, ha semplicemente “eruttato” un filamento. I filamenti solari sono regioni piuttosto estese di gas denso e molto caldo, tenuti insieme fondamentalmente dai forti campi magnetici sulla superficie.

Eravamo a metà del 2012, circa, e appunto – inaspettatamente – uno di questi filamenti è stato proiettato nello spazio producendo una eiezione coronale di massa. Benché il momento esatto di questa drammatica eruzione sia risultato assolutamente imprevisto, si è potuto osservare scrupolosamente per mezzo del Solar Dynamics Observatory, una sonda lanciata nel febbraio del 2010 e posta in orbita attorno alla nostra stella (e prendetevi un attimo di tempo per indugiare nei meravigliosi dettagli di questa immagine, come di altre…).

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La spettacolare eruzione di un filamento solare dell’agosto 2012 (Crediti: NASA‘s GSFCSDO AIA Team).

L’immagine è apparsa su APOD del  20 luglio.

Lo so, lo so… Siamo abituati a pensare al nostro Sole come una stella quieta e immutabile, e certo in buona parte – e soprattutto   ad una debita distanza – questo è ancora  vero. Dopotutto è così, è una stella di piccola massa in fase di sequenza principale, e ha davanti a sé – per nostra immensa fortuna – ancora miliardi di anni di quieta (diciamo) combustione. Idrogeno convertito in elio, roba di vera fusione nucleare. E tutta l’energia che ne deriva viene portata in superficie ed irradiata (anche) sotto forma di fotoni. Se però l’interno del sole procede al suo ritmo furibondo ma costante, la parte esterna è sede di fenomeni tanto complessi che ancora attendono una compiuta comprensione. 

Se consideriamo come il Sole sia tutto sommato una stella abbastanza “semplice” da interpretare, comunque ci troviamo di fronte all’evidenza di come tante cose ancora non sono state del tutto comprese. Eh sì, dobbiamo arrenderci al fatto che il fenomeno stella ci riserva ancora degli aspetti enigmatici ed affascinanti, tutti da capire. Siamo fatti di stelle, letteralmente: comprendere come funzionano è risalire nel profondo della storia dei nostri atomi – proprio, degli atomi di cui siamo costituti. E’ uno studio della storia nel senso più pieno e profondo del termine.

Un’avventura affascinante, che può ancora riservare molte sorprese.

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E gira gira… il Sole

La Terra gira su se stessa, lo sappiamo bene. Quello a cui spesso non pensiamo, però, è che anche le stelle sono soggette ad un analogo moto di rotazione su se stesse. Come è ovvio, delle stelle lontane non possiamo ancora dire molto della loro rotazione, dal punto di vista osservativo. Sono comunque ormai molteplici gli indizi teorici che indicano come gli effetti delle rotazione influenzino l’evoluzione e la vita delle stelle, anche in maniera importante – tanto che la rotazione è ormai tenuta in debito conto nei modelli più recenti di evoluzione stellare

Del Sole però possiamo avere un quadro osservativo molto definito – ed anche abbastanza suggestivo – del suo moto di rotazione. Guardate ad esempio il video qui sotto, realizzato con dati dalla missione Solar Dynamic Observatory, lanciata nel 2010 con lo scopo di osservare la nostra stella per cinque anni almeno. I dati sono molto recenti, perché il montaggio si riferisce all’intero mese di gennaio 2014.

Video Credit: SDO, NASA; Digital Composition: Kevin Gill (Apoapsys)

L’immagine più grande a sinistra riguarda la cromosfera (in luce ultravioletta), mentre la prima delle più piccole, in alto a sinistra nel gruppo di sei, è proprio il Sole… come lo conosciamo, ovvero la fotosfera in banda visibile. Il resto delle immagini sono probabilmente meno familiari (ma non per questo meno interessanti) perché si riferiscono tutte ad emissione in banda X, ad opera di rari ioni di ferro presenti nella corona (in falsi colori, per evidenziare le peculiarità).

Forse quello che colpisce di più, osservando il video, è il fatto che il sole cambia in maniera vistosa durante la rotazione. Le macchie solari sono lo spettacolo principale, ma evidentemente tutta la superficie è in “subbuglio” continuo.

Le stelle  sono tutt’altro che quiete, insomma. Come tutto il nostro universo, a pensarci bene.

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Un giorno sul Sole…

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Crediti: TRACE Project, NASA. Sorgente: APOD 26.1.2014

Va così, sul Sole. Anche nei giorni apparentemente più quieti, l’attività è febbrile. Non c’è pace. Se guardate un dettaglio della superficie solare come ce lo restituiscono i moderni strumenti investigativi ve ne potete rendere conto.

Questa immagine, per esempio.

Acquisita in banda ultravioletta. Le regione più scure hanno temperature dell’ordine delle migliaia di gradi. Ed è già molto. Ma le regioni più chiare hanno temperatura che raggiungono (e superano) il milione di gradi… 

La cosa interessante è che da molti, molti anni, si studia il motivo che deve esserci dietro questo incredibile innalzamento di temperatura superficiale (è il cosiddetto “problema del riscaldamento” della corona solare), eppure non si è ancora capito esattamente perché avvenga questo passaggio dalle migliaia ai milioni di gradi. Certo, si pensa che possa essere legato ai fortissimi campi magnetici che vi sono sulla superficie, campi magnetici che sono anche rapidamente variabili. Ma è corretto dire che non disponiamo ancora di una comprensione completa del fenomeno.

A pensarci bene, è incredibile che perfino il Sole, la stella che indubbiamente conosciamo meglio, abbia ancora tanti segreti da rivelarci. Chissà quando saremo pronti a comprenderli.

La regione più chiara è il gruppo di macchie chiamato AR 9169.

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Un po’ di sole, ogni settimana…

Nel novembre dello scorso anno l’Immagine della settimana per il Solar and Heliospheric Observatory (brevemente, SOHO) ha raggiunto un traguardo notevole, come ci specifica il sito della NASA: la sua cinquecentesima edizione. L’immagine settimanale da SOHO gode ormai di una popolarità più che ottima. La formula è molto semplice: ogni settimana il team sceglie una immagine, o un video, particolarmente significativa, e la pubblica in una apposita pagina web, insieme ad un breve commento.

La serie di immagini “della settimana” (o del “giorno”) è un accadimento ormai non troppo infrequente per i siti di divulgazione astronomica; probabilmente il più famoso è l’incontrastato APOD, Astronomical Picture of the Day. Tuttavia diversi altri siti presentano immagini scelte periodicamente come più rappresentative, e seguirle è un buon modo per imparare e per familiarizzarsi con un pezzetto di universo, giorno per giorno. Se volete c’è anche l’ammasso globulare del giorno, che guadagna volta per volta la prima pagina del Galactic Globular Clusters Database (per trasparenza, va forse detto che lo cura il sottoscritto… va beh, mica potevo non citarlo…!)

Uno "sbaffo" dal sole così, non poteva non guadagnarsi il titolo di "Immagine della settimana" per SOHO/STEREO !!

Il progetto SOHO è una collaborazione tra ESA (cioè l’agenzia spaziale europea) e NASA. La sonda SOHO è stata ideata allo scopo di studiare la struttura interna del Sole, la sua estesa “atmosfera” ed anche l’origine del vento solare, il flusso di particelle altamente ionizzate che fuoriescono in continuazione dal Sistema Solare verso gli spazi esterni.

L’immagine della settimana, partita soltanto con SOHO, ha poi potuto inaugurare una fruttuosa sinergia: dal 2006 anche i dati provenienti dalla sonda STEREO (Solar Terrestrial Relation Observatory) sono stati inclusi nelle edizioni settimanali: da allora la ribalta è concessa allo strumento i cui dati, volta per volta, sembrano poter guadagnare l’attenzione più vasta.

E tutti insieme, ci aiutano a capire che il nostro sole è molto più complesso ed esuberante di quanto avremmo forse pensato.

Le stelle stanno a guardare, magari sì. Ma non sono tanto immobili!

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