Blog di Marco Castellani

Giorno: 19 Gennaio 2011

Il cielo è per tutti: le meraviglie dell’Osservatorio Virtuale

“L’osservatorio virtuale (“Virtual Observatory” in inglese, ndt) rappresenta uno sforzo internazionale per raccogliere dati astronomici (immagini, simulazioni, logs di missioni, etc) organizzarli e sviluppare degli strumenti che permettano agli astronomi di accedere a tale enorme mole di informazioni. Il VO non solo semplifica il lavoro degli astronomi professionisti, ma rappresenta anche uno strumento di valore per l’educazione e la divulgazione. Per insegnanti ed astronomi impegnati a promuovere attivamente l’astronomia presso il pubblico, il VO è una grande opportunità per accedere  a dati astronomici reali, usarli e poter sperimentare il gusto di un giorno di lavoro da astronomo”

E’ solo un estratto di un articolo appena apparso in rete in forma di preprint, di indubbio interesse per le persone impegnate nella divulgazione astronomica (e che si è meritato la vetrina di NASA Hack Space). Bisogna dire che già da alcuni anni il Virtual Observatory è una realtà consolidata a livello internazionale, con una serie notevole di iniziative e di attività, come agilmente verificabile consultando ad esempio siti di riferimento quali quello dell’International Virtual Observatory Alliance oppure quello di Euro-VO.

E’ del resto facilmente intuibile, come al crescere della mole dei dati disponibili per l’astronomo professionista, – conseguenza diretta del progresso tecnologico – divenga sempre più importante, o addirittura cruciale, sviluppare strumenti che consentano di sfruttare in maniera efficace tale ingente mare di informazioni. Semplificando un pò, tutto ciò ha a che vedere con l’arte di estrarre informazioni significative da una gran mole dei dati, procedura che prende anche il nome di data mining.

Uno dei tanti strumenti di analisi dati messi a disposizione dal Virtual Observatory

Sotto il “cappello” del VO, sono stati già sviluppati degli eccellenti tool, che consentono all’astronomo di lavorare meglio e soprattutto di poter effettuare correlazioni tra sorgenti di dati diverse, pratica sempre più importante e feconda per la moderna ricerca. Non solo, ma sono stati definiti degli appositi “standard” informatici che permettono a diversi archivi astronomici di potersi “parlare”, e agli applicativi software, di mettere facilmente in correlazioni tali fonti di informazioni eterogenee, a tutto vantaggio della velocità e dell’efficacia della ricerca medesima. Questo è di importanza fondamentale, se appena pensiamo alla facile analogia del web, dove soltanto la definizione di uno standard condiviso per la fruizione di dati remoti ha permesso l’incredibile sviluppo di una miriade di siti e servizi online, dal giornale locale fino a Facebook o Twitter… per non dimenticare GruppoLocale! 😉

Come da aspettarsi, una quantità di progetti sono potuti crescere proprio basandosi su tale “infrastruttura comune”; in Italia mi piace menzionare il progetto DAME, una collaborazione tra l’Università Federico II di Napoli e diverse altre realtà scientifiche, italiane e non (chi scrive ha il piacere e l’onore di figurare nel team DAME, per lo specifico compito della realizzazione di una web application per gli ammassi globulari).

La cosa interessante dell’articolo, al di là degli aspetti “professionali” del VO, è l’evidenza di come i benefici del Virtual Observatory si stiano allargando ad un ambito molto più vasto della cerchia di esperti, portando benefiche ricadute anche sull’importantissimo e delicato tema della divulgazione e dell’insegnamento. Contribuendo così ad abbassare le barriere tra la ricerca “professionale” e l’attività amatoriale e divulgativa, un aspetto benefico ed una ricaduta indiscutibile della tecnologia più attuale.

Il cielo dunque sta tornando ad essere “per tutti”. Se ci pensiamo, un pò come era all’inizio dell’avventura scientifica, quando bastava la passione, unita eventualmente a mezzi tecnici disponibili a tutti, per essere potenzialmente in grado di fare fare all’astronomia importanti passi avanti…

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La vecchia e la nuova M51

La galassia a spirale M51. Cortesia NASA:  http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_1577.html

Questa immagine ottenuta dall’Advanced Camera for Surveys a bordo dell’Hubble Space Telescope nel 2005 mostra la galassia a spirale M51 (o NGC5194), costituita da due galassie interagenti (NGC5194A la maggiore e NGC5194B la minore) che viene anche chiamata Galassia Vortice distante 37 milioni di anni luce dalla Terra.
Fu la prima galassia di cui si osservò la struttura a spirale (William Parsons, 1845), che probabilmente è prodotta dall’interazione gravitazionale della galassia compagna. M51 appare molto luminosa per i numerosi ammassi stellari giovani che popolano i suoi bracci.

Questa seconda immagine presentata pochi giorni fa al 217° meeting dell’American Astronomical Society è stata ottenuta dal Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS) a bordo dell’Hubble Space Telescope in luce infrarossa: la maggior parte delle stelle più brillanti non ci sono più permettendo di rivelare la struttura a spirale lungo la quale si distribuisce la polvere. Le innumerevoli piccole macchie luminose nella foto sono piccoli gruppi di stelle in formazione che non erano mai state osservate perchè la loro luce nel visibile viene assorbita dalla polvere circostante.
Sorprendentemente, non si ossevano nubi di polvere più grandi in M51, cosa che si sarebbe dovuta osservare sulla base delle immagini ottiche.
Questa foto è la più strabiliante e meravigliosa che abbiamo della densa polvere in M51 e permetterà di aiutare i ricercatori a capire come e dove il gas e la polvere nella galassia collassano in nuove stelle.

Il confronto fra M51 ottenuta dalla ACS nel 2005 e da NICMOS nel 2010. Cortesia NASA.

Fonte NASA: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_1843.html ;
Science – AAAS: http://news.sciencemag.org/sciencenow/2011/01/scienceshot-the-dusty-swirls-of.html .
Sabrina

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