Blog di Marco Castellani

Mese: Novembre 2019

Mondo sommerso

La grossa sorpresa, quella che ci aspettiamo da tempo, alla fine potrebbe essere questa. Vita nel Sistema Solare, ma non sulla superficie di un pianeta. Piuttosto, sotto la superficie di una luna, in un ambiente protetto, custodito, nascosto.

Tra le lune di Giove, ce ne è una che si chiama proprio come il nostro continente, Europa. E così come il sogno europeo così bistrattato in questi anni, potrebbe riservarci delle sorprese, delle belle sorprese. Se ci crediamo, se ci andiamo a vedere, se ci poniamo attenzione.

Crediti: NASAJPL-CaltechSETI InstituteCynthia Phillips, Marty Valenti

Magari, andando sotto la sottile superficie delle cose, guardando in profondità. Mondo Sommerso si chiamava una rivista mensile di genere (ovviamente) subacqueo, che si è chiusa qualche anno fa. Avendo il papà e lo zio che facevano immersioni, sono abbastanza certo di aver sfogliato qualche numero della rivista, quando ero bambino. Quello che non pensavo, io e forse nemmeno mio zio (magari mio papà, da astrofisico, forse sì) è che dopo qualche anno avremmo guardato con interesse ad altri mondi sommersi. Come questo di Europa.

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Le stelle sono qui

Verrebbe davvero da commentare in questo modo, osservando il meraviglioso dipinto di Vincent Van Gogh, Notte stellata. Le stelle sono qui, il cielo è qui, è qui con noi. Non siamo separati, la separazione è appena illusione. Distorsione ottica. Il cielo infatti è qui.

Crediti: van GoghDigital Rendering: MoMAGoogle Arts & Culture, via Wikipedia

Le stelle, le galassie, non sono puntini distanti, ma appaiono sotto l’impressione più gioiosa e libera – potremmo dire- della loro vera rilevanza. Nel dipinto, sono insolitamente grandi e coinvolgono vastissime zone di cielo. La raffigurazione è tecnicamente inesatta, sotto il profilo scientifico, certo. Eppure ci pare più precisa e aderente al vero, che nemmeno fosse una rappresentazione fedele di un paesaggio sotto la volta celeste.

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Arp 273, ovvero la bellezza nella battaglia

A dispetto dell’innegabile bellezza di questa immagine, dovete sapere che qui c’è una immensa battaglia galattica in corso. Una battaglia che lascia ben poche speranze alla galassia più piccolina (in basso), ma che è destinata a durare ancora diverso tempo.

Crediti: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

Vediamo di capire qualcosa di più. La galassia più in alto, da sola prende il nome di UGC 1810 e, con la compagna (per la cronaca, si tratta di UGC 1813) , fanno parte del sistema chiamato Arp 273. Già la forma stessa di UGC 1810 ci dice qualcosa (ed in particolare il suo anello esterno, blu), ci racconta in particolare di una storia complessa di varie interazioni gravitazionali con altre galassie.

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Mercurio, in transito

Questa bella immagine ci mostra la esilissima silouette del pianeta Mercurio, il più vicino al Sole, durante il suo passaggio davanti alla nostra stella, avvenuto esattamente tre giorni fa.

transito di Mercurio davanti al Sole
Passaggio di Mercurio davanti al Sole.
Crediti: NASA/Bill Ingalls

Non c’è proprio niente di meglio di immagini come questa, per capire la differenza di dimensioni tra i pianeti ed il Sole. La nostra stella è veramente l’oggetto che domina lo spazio intorno a noi, e la dizione assai usata Sistema Solare mai come ora, lo vediamo bene, mantiene tutta la sua assoluta rilevanza.

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Le cose semplici

Non è un libro che si legge in un fine settimana, questo di Luca Doninelli. Ci vuole di più, parecchio di più, per attraversare da capo a piedi Le cose semplici. E’ un libro che richiama potentemente il valore della lettura. E non potrebbe essere altrimenti, con le sue 836 pagine (io non me ne sono troppo accorto, perché ho affrontato la versione Kindle, ma tant’è). 
E attenzione, vi avverto che non azzarderò una recensione vera e propria, ne sarei assolutamente intimidito. Ce ne sono, di recensioni, e a quelle senz’altro rimando. Io voglio annotare solo qualche impressione, soggettiva, umbratile, provvisoria. Però, sincera. 
Non è troppo facile, perché questo è un libro che esonda da tutte le parti. Del resto, ogni opera propriamente artistica ha questo di bello, non si lascia facilmente incasellare, definire. Ci si trova infatti davanti ad una sostanziale, salutare impotenza, visto che il linguaggio ordinario non è in grado di scavare a fondo, esaurire il materiale, definire con precisione. Perché il linguaggio ordinario, i principi ordinari di comprensione, di non contraddizione, di logica e perimetrica delimitazione, non funzionano più, vanno del tutto fuori giri. E questo è un bene, vuol dire che ci troviamo di fronte a qualcosa che merita. La mediocrità, infatti, è sempre facilmente definibile dal linguaggio normale, perché lei stessa non ha quel di più che trascende tale linguaggio. Qui è diverso, sostanzialmente diverso. 
Che poi la trama già è difficile, da definire in poche parole. E’ in sostanza la storia di una ricostruzione, potremmo dire. Sì, una lenta e fiduciosa opera di ricostruzione del tessuto sociale, di costruzione nuova di una possibilità di futuro, di una rinnovata architettura di speranza. 
Si ricostruisce, dopo il quasi azzeramento di una civiltà che non crede, non spera, non rischia, e perciò si rattrappisce, si ritira, si dissecca. Lascia il campo al nulla, nella misura in cui non ama, non palpita d’amore, non mette al centro l’innamoramento, la domanda inesausta del cuore di essere compiuto, felice. 
E difatti, non per caso, l’opera di (ri)costruzione viene di pari passo con lo sviluppo di una storia d’amore, di una storia che attraversa il tempo come ogni vera storia d’amore è chiamata a fare, che stende un tessuto connettivo di comprensibilità sulla devastazione sociale nella quale si snoda, che si impasta degli umori e delle debolezze dei protagonisti. Così è la storia di Chantal con Dodò, una storia intorno alla cui irresistibile verità anche le circostanze più avverse si arrendono, si aprono e si armonizzano, naturalmente senza elidere quella chiamata alla pazienza e al sacrificio che è così tipica – ci piaccia o no – delle cose semplici, delle cose vere. 
Fatemelo dire. Già leggerlo, è una avventura. Al giorno d’oggi, abituati al frazionamento di gesti, pensieri, azioni e decisioni, in un microcosmo sottile e mutevole di piccolissimi universi da consumare nell’istante, affrontare i tempi lunghi di un libro così, è una sfida. Un libro così è una lotta. Non si domina, infatti, ma si viene di fatto (piano piano) dominati. Non si racconta, ma si viene raccontati. Se però ci si arrende: questa resa è necessaria per entrare nell’opera. Solo con questa resa è possibile entrarvi. Un libro così, ti dice io ti devo raccontare, devo anche raccontarti, ma tu devi fare silenzio prima di tutto. Ed è una lotta, una vera lotta perché tu no, d’impulso tu non vorresti affatto fare silenzio, infatti tu sei pieno di cose da fare e di tante opinioni e giudizi da elargire, di situazioni da sistemare e sei normalmente pieno di fretta di far tutto questo, ma un libro così ti dice intanto ed innanzitutto, siediti e aspetta. 

Dunque l’avventura è aprirsi, fare silenzio, ascoltare. E la voce del narratore è solida, consistente. Mantiene quello che promette (e un libro di più di ottocento pagine promette molto, ed è impegnativo poi mantenere). Ci sono momenti che vai avanti a fatica, momenti in cui proprio lasceresti perdere, ti chiedi anche perché hai iniziato un libro così. Io mi sono anche fermato e ho letto altri libri, per non posticiparli troppo, cosa che forse non si dovrebbe fare. Ma poi ho ripreso. E ho trovato momenti assolutamente puri, limpidi, momenti di dialoghi fulminanti e frasi che ti stordiscono, proprio ti stordiscono, per quell’accento alla struttura luminosa del reale, che non lo capisci a fondo ma quando lo trovi, se lo trovi, ti ci attacchi tanto è bello, importante, definitivo. 
E in fondo questo libro parla soltanto d’amore. Ma è ovvio. Non sarebbe tollerabile un viaggio per centinaia di pagine, se non parlassero d’amore. Nessuno sano di mente, potrebbe sopportarlo. E di Parigi. Il racconto dell’innamoramento tra Dodò e Chantal è anche il racconto di una dolcissima Parigi, narrata con morbidissima precisione, fino ai crocicchi delle strade, fino al dettaglio più minuto, importante perché investito di una storia d’amore, che dona a tutto una dignità incredibile, che restituisce a tutto la sua specifica dignità d’esistenza. Nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa avvenimento nel suo ambito diceva Romano Guardini
Che poi, una storia d’amore che non contempli Parigi, in qualche modo anche remoto anche celato anche indiretto, non è credibile, non è vera. Ma questo libro mi richiama e mi ricorda, in una fitta trama di rimandi anche sottesi, lievissimi ma tenaci, un grande capolavoro come I promessi sposi. Che infatti, non a caso, vengono citati nel romanzo. Il manoscritto manzoniano è sostituito da una serie di quaderni. E la peste qui è, in chiave moderna, questo disfacimento nichilista della trama del reale. Identica è la chiamata all’opera di ricostruzione, in fondo. Identica l’urgenza, morale nel senso opposto a moralistico, ovvero nel richiamo alla necessità della gioia. 
In fondo questo libro parla solo d’amore, appunto. E di Parigi. E di Dio. Sì perché è anche una lunga e articolata lotta (nel senso di Giobbe) con Dio, con l’urgenza di capire come e perché Lui incontra la nostra storia, di cedere alla prospettiva pazza e sconvolgente di un Amore, totale. 
Dunque alla fin fine il libro parla di una cosa soltanto. Per questo in fondo le cose sono semplici, anche in una articolazione così lunga. Perché parla di quello che coinvolge il cuore, di quello che lo definisce e prende sul serio la trama profonda dei suoi bisogni, dei suoi desideri. 
Prendere sul serio un bisogno, prendere sul serio la sete di verità e compimento, che risiede nella parte più sacra del cuore umano. Questo distingue l’arte dalla chiacchiera, dal fatuo riempimento di tempo. Da questo, come nel libro, possiamo partire per ricostruire l’umano, in noi e tra di noi. 
Così che le cose tornino semplici, davvero. 

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La periferia, che arriva

Questa meravigliosa immagine, dopotutto, è il frutto di un viaggio. Di un lungo, lungo viaggio. Il lancio della sonda New Horizon, infatti , risale al lontano (si può ben dire) anno 2006, mentre l’arrivo nei dintorni di Plutone è avvenuto nell’anno 2015. Dunque, un viaggio di quasi dieci anni. Un cammino paziente, per arrivare a vedere, finalmente, a fotografare (e dunque ad immaginare ancor meglio), quello che per secoli è stato appena un puntino, è stato appena territorio della fantasia.

Ed ora invece lo vediamo, lo vediamo bene. Plutone, questo pianeta nano che dista da noi più di quattro miliardi di chilometri (quando va bene, spesso anche di più), ora lo vediamo, finalmente. In termini più ampi, ci parla di una periferia che stiamo imparando a conoscere. A vivere, in un certo senso. Sì perché quello che arriva alla nostra percezione, entra di fatto nel nostro mondo, nel nostro modo di pensarci e di pensare l’Universo.

Ed ecco che entra Plutone, per tanto tempo rimasto così elusivo. Perché ora, soltanto ora, riusciamo a porre lo sguardo sulla periferia del nostro Sistema Solare. Una periferia che finalmente arriva alla nostra attenzione.

Crediti: NASAJohns Hopkins Univ./APLSouthwest Research Institute

Già da questa immagine, è possibile ricavare una notevole dose di informazioni riguardo l’atmosfera del pianeta nano. In generale si può fare molta scienza, dai dati della New Horizons. Dieci anni di viaggio sono stati un prezzo da pagare certamente congruo, per questi dati preziosissimi (e che rimarranno unici, per chissà quanto tempo).

Quello che ci preme però, in questo contesto, è capire come la percezione umana del cosmo sta mutando, sta mutando velocemente. E’ un’epoca particolare, la nostra. Decisamente particolare. E’ un’epoca in cui dobbiamo per forza rinegoziare il nostro sentirci nel cosmo, e farlo probabilmente in forma più amichevole e morbida rispetto al passato.

I dati delle infinite sonde sparse nel nostro cielo, ci parlano di un cosmo raccontabile, un cosmo che dismette i suoi veli di mistero e timore e ci parla invece di meraviglie, di avventure, di cose da scoprire, di cose di cui poter finalmente parlare, cose che entrano nell’ultimo orizzonte della nostra percezione, e ci fanno sentire un poco più a casa, in questo Universo.

Grandissimo, sconfinato: certo. Ma esplorabile.

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