Blog di Marco Castellani

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L’opera della nostra guarigione

C’è sempre da stupirsi, di quanto un’opera di poesia, che sembra (a primo pensiero) quanto di più personale possa esserci, si possa rivelare inaspettatamente corale, posa dispiegare una sua potenzialità relazionale. Che certo all’inizio, non avresti detto.
No, affatto. Tu avresti pensato magari a lasciare questi tuoi versi in un cassetto, in un angolino di un hard disk, di un server di qualche grande azienda, in qualche Silicon Valley molto linda e molto all’avanguardia, dove tu incidi per un pezzettino, un pezzettino appena. Dove ci stanno le tue parole, riposano e respirano.
Poi la strada, sai. La strada. C’è la strada. Fatta di occasioni, di incontri. Quello con Marco Guzzi, intanto. Indubbiamente importante, per i tuoi anni recenti. Tanto che tu, vincendo la timidezza, avresti poi chiesto proprio a lui la prefazione per Imparare a guarire, il volume di poesie. E questa prefazione che c’è, ora c’è, c’è da tempo, ed è bella e solida e impreziosisce davvero queste pagine, le radicano più decisamente in un cammino di possibile guarigione, le restituiscono un accordo armonico di terapia, personale e forse anche un po’ comune. Che è poi quello che desideravi, quello che speravi.

Poi le cose ti sorpassano, e questa in effetti è (sempre) la tua unica speranza, che le cose appunto ti sorpassino, ti sorprendano e ti superino alla grande, e tu con tutte le immagini che hai di te, appesantito da tanti inutili pensieri, ecco, tu stesso rimani indietro. Ma sei felicemente indietro, perché se loro vanno avanti, va bene, lo sai che va bene. Va molto bene. Che diciamocelo pure, ormai è parecchio evidente, è chiaro, certo non sarai salvato per una tua abilità, per qualche tua guittezza, semmai, ma per una sovrabbondanza che arriva gratis (in allegra spudorata violazione di ogni regola di mercato) e che appunto ti sorpassa. E di molto.
Così dopo la lettura di Fabio Fedrigo di una poesia del volume, di cui hai già scritto, ora c’è questo altro regalo, la lettura che fa Pasqualino Casaburi di una particella dell’introduzione di Guzzi, e di alcune tue poesie (bella scelta, mi viene da dire).
Così mi scrive lui stesso,

Un filo sottile unisce le cose e tutte le creature. L’arte poi ha un suo particolare privilegio. Quello di lasciare dove passa una scia invisibile agli occhi, un’ armonia che RI-suona vibrando nel cuore. Quando le passi accanto succede anche questo. 

Pur non conoscendo Marco Castellani di persona (e poi, voglio dire, in questo periodo sarebbe stato oltremodo difficile che ciò fosse avvenuto) mi sono incontrato con il suo scrivere, ed è stato un colpo di fulmine. Il gancio è stato la sua vicinanza ai gruppi Darsi Pace, laboratori creati da Marco Guzzi, una persona alla quale mi sento molto legato per le affinità di pensiero. 

Dai testi poetici del filosofo e poeta Marco Guzzi è stato appena un passo per ritrovarmi dentro l’atmosfera dei versi di Marco Castellani. Ho apprezzato così il suo lavoro di astrofisico, lo studio della fisica dell’Universo, come territorio infinitamente esplorabile come del resto quello della sua poesia che mi si è presentata davanti un giorno, grazie ad una piccola raccolta dal titolo accattivante, Imparare a guarire

Ho trovato in quelle parole uno spiccato senso di profondità dell’essere ed allo stesso tempo la semplicità e la gratitudine di esserlo.

Questo mi ha portato a provare a far RI-suonare quelle parole con la mia voce per vedere le emozioni di ritorno. 

Dapprima ho fatto e riascoltato gli audio. Poi avendo saputo, tramite Elena, una mia amica di Roma, dell’iniziativa culturale ideata da Happening Cult ho provato anche io a fare un piccolo video con alcune poesie di Marco ed inviarlo alla redazione. 

Happening-cult in questo periodo di chiusura in casa ha creato questa vetrina di poeti in erba e non, ma anche di semplici lettori, che prestano la loro voce e diffondono ancora di più la bellezza della poesia. 

È stato un’esperienza nuova per me dovermi cimentare con la dizione (le pause soprattutto) ma soprattutto dover citare espressioni e parole che comunque fanno parte di un universo intimo. È per questo che non finirò mai di ringraziare Marco Castellani.

Vorrei correggere il tiro, solo per l’ultima frase, un po’ eccessiva magari. In realtà sono io a ringraziare Pasqualino, per la sua dedizione appassionata a questa piccola opera. Che nella misura in cui è la guarigione nostra, sorpassa e lascia indietro anche ogni valutazione sulla capacità poetica, essendo questi testi “a servizio” per un cammino.
Così che anche in questi periodi di chiusura, la realtà ti viene a trovare e ti stimola, ti porta ad una apertura inattesa. A uscire dalle tue private lamentazioni, e tornare a fare i conti con il noi. L’opera della guarigione è comune, è sociale, è politica.

E’ insieme, prima di tutto.

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Adesso

Capita che una poesia, nel tempo, si scavi un suo sentiero. Si provi a vivere anche in altre forme, esplori altre modalità comunicative. Capita che una poesia sia così, rappresenti una occasione di relazione e dialogo, un pretesto per stabilire ponti, rinsaldare connessioni. Esplorarne di nuove, anche.
La poesia che si è data da fare, che si è scavata il suo sentiero, è stata Adesso, che compare nel volume Imparare a guarire (Di Felice Edizioni, 2018).

Un amico, è stato il tramite. Perché le cose vanno in questo modo, corrono lungo il filo di amicizie, su binari invisibili e forti, di reciproca stima. Usano questi canali, questi ponti meravigliosi e lucenti tra le nostre interiorità. Quelle nostre parti interne così spesso avvertite come chiuse, come ambienti senza finestre, senza comunicazione.
Il pensiero creativo è fatto così, è relazionale, direi coniugale per eccellenza. Tende sempre a mettere insieme, mai ad isolare. A far baciare le cose tra loro, non a metterle di schiena. Parlo di creatività e non specificamente di arte, per riposare su un termine che non spaventa (o spaventa di meno), e perché non mi sto riferendo tanto al risultato quanto alla attitudine.
Porsi in attitudine creativa è come iniziare a cucire. A cucire dei ponti. Primo, tra le parti interne di me stesso, lenendo ed unificando, ammorbidendo le asprezze, realizzando connessioni tra l’inconscio e la parte razionale, tra le varie parti di me che normalmente non vogliono parlarsi, non desiderano veramente coniugarsi, appunto, e ordinariamente si voltano di schiena. Secondo, tra me e gli altri. Ma è un movimento inevitabile: nella misura in cui sono più unificato, mi relaziono più naturalmente con l’altro, lo vedo meglio, e mi faccio vedere allo stesso tempo, in modo più autentico. Sono un pelo più tranquillo, abbasso le difese, permetto all’altro di entrare in me (se lo desidera), lasciando uno spazio più largo di accoglienza. E’ come dire, vieni, non ti verrà fatto del male. Frase che ci fa sempre bene ascoltare, che fa bene al cuore, alla pelle, al sorriso, agli organi interni. Rimette a posto un sacco di cose, dentro e fuori di noi. E lo fa (appunto) adesso, lo fa nel momento presente, nell’attimo preziosissimo che stiamo vivendo.
Fabio Fedrigo, che ho sempre ammirato moltissimo per la sua abilità con cui “interpreta” alcuni testi del poeta e filosofo Marco Guzzi, si è reso disponibile a questa avventura. Di Fabio, mi rapiscono totalmente le sue letture, della poesia L’ora della ricreazione, ad esempio. Ma soprattutto, quella. Se c’è una poesia dove sento l’interpretazione di Fabio come parte integrante del processo creativo, come componente imprescindibile della riuscita, è certamente L’ultima lezione. Estrae dal testo, ogni significato più nascosto, lo porta in evidenza in modo brillante, perentorio. Così perentorio che mi lascia senza fiato, alla fine. Il suo lavoro di scavo nelle parole mi arriva, come un dono.
Questa ampiezza timbrica ed espressiva di Fabio la sento presente anche nella mia piccola poesia. Aggiunge quel qualcosa che già legittima, a mio avviso, il passaggio della poesia dal testo al video, al multimediale. Non è più solo mia (se mai lo fosse stata), ormai è frutto di una collaborazione, è un’opera comune.
Un’altra amica, Antonietta Valentini, si è resa disponibile e ha messo a servizio la sua perizia nella gestione e montaggio video, accostando in modo elegante la voce di Fabio ad alcune immagini che ho scattato nel parco sotto casa, in tempi diversi.
Vi risparmio considerazioni riguardo il significato della poesia. Mi appare supponente ogni atteggiamento che voglia indirizzare la comprensione della propria (piccola, piccola) opera, privando così il fruitore di una libertà essenziale – quella dell’interpretazione personale – attraverso la quale partecipa come protagonista nella dinamica del processo creativo.
Spero che vi piaccia!

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Un’onda nuova

Siamo abituati così, a lasciar scorrere la scienza così, appena accanto alle cose che ci interessano, di cui ci occupiamo giornalmente. Forse non una presenza scomoda, certo no. Però spesso ininfluente, nella vita quotidiana. Ci sono però momenti nei quali anche l’ambito solitamente ristretto ed impermeabile della ricerca, così usualmente ben confinato, deborda. E accade che improvvisamente i media si accorgano della quantità di persone e di risorse impiegate cercando di comprendere come funziona l’universo, nell’investigarne i meccanismi segreti, le dinamiche più riposte. Un anelito antichissimo, un tempo territorio del mito, oggi campo di indagine squisitamente razionale.

Dopo anni e anni impiegati nella affannosa caccia, nel pomeriggio del giorno 11 febbraio 2016 è stata finalmente annunciata la detezione delle famose onde gravitazionali. C’è un segnale, e sembra concreto.

Evidente che per noi astronomi sia un momento di esaltazione: in casi come questo avverto, lo confesso, il privilegio di sentire in modo palpabile l’eccitazione, percepirne l’onda affascinante ed elettrica, anche nei semplici dialoghi con i colleghi. E la confortante evidenza, a infrangere milioni di freddi universi di nonsenso (che l’anima troppe volte si trova a percorrere): può ancora succedere qualcosa, possiamo ancora stupirci. E’ indubbiamente confortante che il lavoro che faccio arrivi improvvisamente a trovare spazio in ambiti assolutamente inconsueti, come un telegiornale della sera. Ben vengano queste notizie, dunque. Ben vengano, se ci aiutano a pensare ai cieli sopra di noi.

Però forse c’è anche altro. Dietro questa scoperta si muovono anche cose più profonde, diverse e complementari rispetto alla mera registrazione dell’ennesimo progresso della ricerca scientifica, alla frettolosa celebrazione di un successo (anche) tecnologico.

Ma andiamo con ordine. Ovvero, stiamo al dato, così come ci si presenta.

E’ necessario infatti, per cogliere il punto che vorrei illustrare, percepire innanzitutto l’importanza propriamente scientifica di quanto è stato annunciato ieri.

E questa importanza scientifica c’è, c’è davvero tutta. Di cosa si tratta, in poche parole? Perché è importante aver trovato queste onde? Ebbene, si tratta di una corroborante conferma del fatto che il nostro modello interpretativo dell’universo, quello accettato dalla grandissima parte dei cosmologi e percolato ormai profondamente nel senso comune, funziona. Spiega bene la realtà.

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A ricevere conferma sperimentale (non certo la prima, ma una delle più eclatanti) è la stessa teoria della relatività generale di Albert Einstein, formulata esattamente un secolo fa. Difficile sopravvalutare l’importanza di tale formulazione teorica, davvero una cattedrale del pensiero dell’età moderna. L’ultima anche, ad essere stata edificata da un solo uomo: i grandi risultati successivi, come la meccanica quantistica – altra teoria epocale che ancora attende di essere compiutamente recepita – sono marcatamente risultati “di squadra”, impianti teorici elaborati dalla stretta collaborazione di molte persone.

Qui no. Questa cattedrale è stata costruita da un uomo solo. Un uomo, per giunta, completamente umano, non esente da grandi difetti e da limiti anche nell’ambito privato (come molte biografie ci hanno impietosamente indicato).

Ebbene, la teoria della relatività di Einstein prevede che si creino – in determinate circostanze – delle deformazioni del tessuto dello spazio tempo, capaci di propagarsi a grandissime distanze, proprio come onde. E’ una sorta di “radiazione gravitazionale”, che però genera episodi di particolare ampiezza (gli unici, del resto, che possiamo realisticamente sperare di rilevare empiricamente) solo in casi in cui delle ingenti masse modifichino in modo rapido la loro distribuzione. Tipico esempio, è quello della coalescenza di due buchi neri, che poi è proprio l’evento la cui rilevazione è stata annunciata il pomeriggio di giovedì 11 febbraio dal gruppo del rivelatore “Advanced LIGO” (per maggiori particolari vi rimando ad un post molto informativo su GruppoLocale.it).

Qui vorrei però esplorare alcuni aspetti che riguardano la nostra stessa concezione del mondo. Come interpretare allora questa notizia? Abbiamo appena ricevuto una conferma del fatto che non viviamo assolutamente in uno spazio cartesiano, in un universo imperturbabile o in un contenitore asettico, come ci viene sovente da pensare. Non siamo buttati dentro qualcosa che non si “piega” alla nostra mera presenza. Tutt’altro. Gli apparecchi più moderni questo indicano, che la semplice presenza di materia modifica la struttura dello spazio-tempo, lo fa vibrare come un’onda.

In altre parole, abbiamo una ulteriore preziosa conferma del fatto che l’universo, lungi dall’essere un asettico ed inossidabile contenitore di eventi, è invece una entità “viva” che interagisce e si modifica a seconda di quello che ospita, e di cosa avviene al suo interno. No, il cosmo non è affatto imperturbabile, il cosmo è tutt’uno con quanto avviene nel suo grembo. Vibra e si modifica per quanto avviene dentro di lui, ora ne siamo proprio certi. Potremmo vederlo come un universo “simpatetico”, che reagisce con quanto accade in lui, che vibra di quanto succede, nel modo in cui succede. In ultima analisi (così mi piace pensarlo, andando al senso etimologico della parola), che ha com-passione di quello che accade.

Estrapolazioni poetiche, se volete. Speculazioni metafisiche, davanti alle quali forse storcete il naso. No lo so. Quel che è certo è che non possiamo più pensare allo spazio e alle cose che vi accadono dentro, come entità distinte. Lo spazio, il tempo, gli eventi, la presenza stessa dell’uomo… ogni evidenza empirica non fa che sottolineare sempre più come queste entità che – per pigrizia e bassa energia mentale – ancora pensiamo separate, sono invece profondamente e misteriosamente interlacciate tra loro. Collegate, in modo inestricabile. Relazionate, in maniera inestirpabile.

Non se ne abbia a male Cartesio, ma la sua visione cosmologica è ormai sorpassata. Anzi, defunta. Con tutto quanto ne consegue anche sul lato culturale, e perfino spirituale. Aver aperto una nuova “finestra” di indagine sul cosmo, come sta avvenendo con la neonata astrofisica gravitazionale, non è senza conseguenze. Del resto, è sempre stato così: l’universo ci mostra volta per volta solo quello che siamo in grado di capire. La risposta è modulata, da sempre, sulla sapienza delladomanda.

Abbiamo appena aperto lo scrigno di un universo in cui è tutto davvero intimamente collegato, è tutto davvero in relazione. Ci stiamo lasciando alle spalle – grazie al cielo! – una concezione di corpi separati, divisi, ultimamente contrapposti (azione e reazione, forze uguali e contrarie), lascito fecondo ma drammatico della fisica e della cultura classica, nel suo massimo positivistico splendore. Dobbiamo però ancora capire cosa vuol dire entrare davvero in questo universo relazionale, anche in ambito umano. Dobbiamo lavorare per questo, superando resistenze fortissime.

Il vecchio universo (fuori e dentro di noi) infatti resiste accanitamente, ma è ogni giorno più rigido, più teso ed arrabbiato. Perché si sente il fiato sul collo, perché sta esaurendo il suo stesso spaziotempo, perché il suo gioco egoico è sempre più scoperto.

Per legare insieme le cose, per trovare un senso, non serve più la mutua collisione dei corpi, la ben nota dinamica che ne esaspera la distanza ed esprime, definendo (anche formalmente) ogni contatto ultimamente solo come un urto. L’energia che ne viene è energia malata, corrotta. Ci vuole qualcosa, Qualcuno, che leghi tutto insieme, che regali speranza.

Ci vuole un’onda, un’onda nuova.

Intervento pubblicato in data 15/2/2016 sul sito dell’associazione Darsi Pace.

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Tutto GAIA, in due minuti e dieci

Il satellite GAIA, lo sappiamo, è arrivato al suo punto di operazione, ad un milione e mezzo di chilometri da terra, e ora è occupato a predisporre tutto quanto per poi iniziare le vere e proprie osservazioni. Le possiamo seguire quasi in “tempo reale” dall’account Twitter di GAIA, che conta già quasi cinquemila iscritti (al momento di scrivere, sono 4944 per la precisione).

Tutto procede bene, come si può leggere in un recente status…

Nell’attesa dei dati scientifici, vale la pena rivedersi in poco più di due minuti un delizioso riassunto della storia di GAIA, dall’inizio della costruzione (in realtà la vera storia parte molti anni prima, ma di questo ne potremo parlare in seguito) fino allo spettacolare lancio. Il video è apparso qualche giorno fa nel blog di GAIA, e si può vedere qui sotto

Aggiungo una sola cosa… dite quello che volete, ma io sono contento di lavorare su un progetto con un logo così bello… la bimba che si protende alle stelle che si vede nel video… è emozionante vederla partire per il cosmo…!

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La nostra casa nello spazio

Per quanto sia bello e suggestivo indagare anche le più remote zone dell’universo, non dobbiamo dimenticare mail che la nostra casa nello spazio, confortevole e davvero adatta a noi, è il Sistema Solare.

Abbiamo più volte parlato delle scoperte che vengono fatte ormai quotidianamente sui diversi pianeti e le rispettive lune: la quantità di sonde sparse “per casa” è ormai rilevante e ogni istante flussi ingenti di dati raggiungono la Terra e si mettono in coda per essere analizzati e digeriti dagli studiosi, come pure gustati subito dal pubblico dei non addetti ai lavori grazie alla diffusione dei siti scientifici, istituzionali (NASA, ESO, ESA, INAF… ) e non. Decisamente un quadro molto più intrigante e variegato di quello che poteva essere soltanto pochi anni fa!

Ecco che allora giunge gradito un bel video che con tecniche di “infografica” ci accompagna in una istruttiva passeggiata tra le varie ‘stanze’ della nostra ‘casa cosmica’. Iniziamo il viaggio dalla Via Lattea e subito precipitiamo nella nostra zona,  iniziando così il vero viaggio, passando in rassegna i diversi pianeti e (ri)scoprendone le caratteristiche principali.

Il video ha il commento in lingua inglese, ma per come è costruito a mio avviso risulta interessante e ben fruibile (perlomeno in diverse parti) anche per chi si limitasse ad osservare le animazioni, dunque lo consiglio senz’altro.

Quello che colpisce inizialmente, passando in rassegna i diversi pianeti, è l’evidenza di quanto le condizioni sulla superficie (ad iniziare dalla temperatura e dalle sue escursioni) siano quasi sempre decisamente “ostiche” per una eventuale colonizzazione umana.  Insomma la nostra casa nello spazio presenta diverse stanze che nessuno sano di mente avrebbe desiderio di andare ad abitare.

La nostra Terra è veramente quella che ci garantisce una condizione di vita migliore possibile: conviene dunque trattarla bene, per garantire a noi e alle generazioni future una vita migliore possibile, sul pianeta (per quel che ne sappiamo) migliore possibile…

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Viaggio nell’Universo conosciuto

L’astronomia è affascinante – si capisce – perchè è l’Universo stesso ad essere pieno di fascino. A parere di noi di GruppoLocale, più l’Universo viene indagato e più dischiude meraviglie; dunque la ricerca, lungi dal costituire un “pericolo” per la contemplazione affascinata del cosmo (prerogativa dell’uomo praticamente da sempre) invece si associa all’immaginazione e la supporta per spingerla, se possibile, ancora più avanti. D’altra parte, come forse anche gli articoli di questo sito possono aiutare a comprendere, vi sono davvero più cose nel cielo che in tutti i nostri ragionamenti.

L’American Museum of Natural History propone in un video (del quale sono venuto a conoscenza in un bel post di un blog)  una suggestiva traversata attraverso l’universo conosciuto: si parte da scenari consueti ma, come vedrete, si arriva molto lontano. Unitevi a noi nel viaggio, ne vale la pena 😉


The Known Universe by AMNH

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Kate Bush,Youtube e l’acchiappanuvole

D’accordo, lo devo ammettere. Con un… certo ritardo, rispetto alla gran parte dei navigatori del web, finalmente pure il sottoscritto ha “scoperto” youtube.
Anzi, per la verità me lo ha fatto scoprire mia figlia, che qualche giorno fa mi ha fatto vedere alcuni video musicali trovati sul famoso sito. E ha attivato un poco il mio interesse.
Poi al congresso, chiaccherando con M.S. (con il quale condivido da vecchia data una “insana” passione per i Pink Floyd), venivo a sapere (e mi sembrava di esser quello che classicamente cade dalle nuvole) che un sacco di video e performance “live” sono appunto visibili su (ancora) questo Youtube… e dunque la mia vecchia obiezione (“ma che mi interessa di vedere filmati, a me?”) ha cominciato a vacillare: potenza della musica…
Poi quando ho realizzato che potevo trovare praticamente tutti i video musicali con i quali sono cresciuto (eh che volete, un pizzico di nostalgia..!), a questo punto sono diventato anch’io “addicted” al sito, senza possibilità di scampo 😉
Ho rivisto con piacere ad esempio, insieme a mia figlia (piace anche a lei), la canzone “favola” romantica e dolce dell’acchiappanuovle, da un disco di Kate Bush di diversi anni fa. E poi tante altre…
Poi ieri ho scoperto che ci sono le “mitiche” puntate dell’antico ineguagliabile “Spazio 1999”.. beh a questo punto… 😉

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