Blog di Marco Castellani

Mese: Maggio 2005 Page 1 of 2

Andromeda, tre volte più grande di quanto si pensasse…!

Conosciuta anche dagli antichi, la galassia Andromeda fornisce tuttora preziose opportunità per avanzare nella comprensione dell’Universo… Da questo punto di vista, la galassia a noi più vicina continua a riservarci interessanti sorprese!

Scott Chapman, del California Institute of Technology, e Rodrigo Ibata, dell’ Observatoire Astronomique de Strasbourg in Francia, hanno guidato un team di astronomi in una ricerca dedicata a mappare i moti dettagliati di una miriade di stelle nelle parti esterne della galassia Andromeda. Le loro osservazioni più recenti con il telescopio Keck mostrano come la rarefatta popolazione di stelle che si estendono al di fuori (cosi’ si pensava…) della galassia, fanno in realta’ parte dello stesso disco principale. Ciò significa che il disco di Andromeda e’ ben tre volte pi? grande di quanto stimato in precedenza!

Di fatto, le ricerche mostrano come vi sia un esteso disco stellare che rende la galassia estesa circa 220.000 anni luce in diametro, mentre prima si riteneva che l’ampiezza della galassia fosse inferiore agli 80.000 anni luce…

Ricordiamo che Andromeda dista circa 2 milioni di anni luce dalla Terra.

Le nuove stime della grandezza della galassia sono basate sulle accurate misure del moto di circa 3000 stelle, che si pensava facessero parte della zona di “alone” di Andromeda, mentre proprio il risultato delle misure delle velocita’ radiali ha permesso di comprendere come facciano parte del disco stesso…


http://pr.caltech.edu/media/Press_Releases/PR12703.html

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Vita microbica in bacini salini

Un gruppo di scienziati europei, cui partecipa anche personale dell?universit? di Milano [1], hanno scoperto una comunit? di microrganismi in uno degli ambienti pi? salati della Terra, i bacini di sale ultra-saturi nel Mar Mediterraneo….

Il progetto BIODEEP si propone lo studio dei profondi bacini anossici ultra salini (deep-sea hypersaline anoxic basins o DHABs) presenti nel Mediterraneo orientale (i bacini di sale dell’Atalante, di Bannock, di Discovery e di Urania), situati a oltre 500 metri sotto la superficie del mare. Lo studio fa parte del progetto BioDeep, una collaborazione fra diversi gruppi di ricerca europei.
Le rilevazioni sono state condotte con il veicolo sottomarino MODUS (MObile Docker for Underwater Sciences) per recuperare campioni d’acqua e di sedimenti dai siti individuati. Una volta analizzati, i campioni hanno rivelato la presenza di DNA, dimostrando la presenza di forme di vita in particolare di microrganismi del tipo barofilo, alofilo ed anaerobbico. Dal sequenziamento dei frammenti di DNA ritrovati, gli autori hanno scoperto circa 50 specie di batteri finora sconosciuti, oltre a 20 nuove specie di microbi primitivi (archeobatteri).
“Sembra che, finch? sia presente acqua in un ambiente, ci siano pochi limiti alla vita microbica”, ha commentato Kevin Purdy dell’Universit? di Reading, esperto di organismi amanti del sale. Lo studio ? stato pubblicato sulla rivista Science [2].
La costituzione di questi bacini ultra-alcalini ? iniziata, nell?area dell?attuale Mediterraneo, circa sei milioni di anni fa. Il vasto mare chiuso formatosi con la chiusura dello stretto di Gibilterra si era pian piano prosciugato. Con il tempo, i sedimenti che andavano a depositarsi all?interno di questa ?pozza? aumentavano la concentrazione e la salinit?. La riapertura del varco di comunicazione con l?oceano Atlantico aveva formato l?attuale bacino del Mediterraneo, ma con un residuo salino molto maggiore rispetto a quello degli invasi e degli oceani circostanti. I luoghi dove questi depositi sottomarini si trovano risultano ulteriormente alcalini, con un contenuto fino a 476 grammi di cloruro di magnesio per litro. Si pensava che in simili condizioni la vita non potesse esistere: l’acqua salmastra densa e viscosa, risucchierebbe inesorabilmente le molecole d’acqua fuori da qualsiasi cellula. Ma anche in queste condizioni alcune forme di vita primitive (?) riescono a vivere e prosperare.
I risultati provenienti dai carotaggi e dai prelievi saranno poi analizzati in 7 differenti laboratori europei per assicurare qualit? e riferibilit? dei risultati stessi. Lo scopo principale ? la costituzione di un data base in grado di poter essere utilizzato in vari campi di ricerca come ad es. quello microbiologico, genetico, alimentare o tecnologico e per un confronto con eventuali forme di vita scoperte fuori da nostro pianeta.

[1] www.geo.unimib.it/BioDeep/Project.html
[2] www.scienceonline.org

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Voyager 1: spazio, ultima frontiera…!

La sonda della NASA Voyager 1 sta per attraversare l’ultima frontiera del sistema solare… sta per entrare ormai in uno spazio vastissimo, dove l’influenza del Sole termina, ed i venti solari si infrangono nel gas rarefatto che si allarga nello spazio interstellare…
Gia’ nel novembre del 2003, il team di Voyager aveva annunciato che la sonda stava rilevando “eventi” mai incontrati durante i 26 anni di vita della missione. Tutto faceva pensare che la sonda fosse arrivata in una “strana” regione dello spazio, probabilmente l’inizio di una “nuova frontiera” chiamata termination shock region. Ci fu anzi un acceso dibattito per capire se la sonda fosse entrata davvero in tale regione o ne fosse solamente vicina…
Tale regione indica il luogo ove i venti solari, un fascio esile di particelle elettricamente cariche che fuoriescono dalla nostra stella, è rallentato in maniera significativa dalla pressione del gas interstellare. Alla fine, la prova più convincente che Voyager 1 fosse penetrata nella termination shock region è stata la rilevazione di un forte incremento del campo magnetico portato dai venti solari, combinato con una decisa diminuzione della velocita’ degli stessi, entrambi i fenomeni previsti teoricamente come caratteristici di tale regione.
voyager Crediti: NASA


Nel tempo, comunque, si e’ compreso come la natura di tale regione ai confini del sistema solare sia assai più complessa di quanto si ritenesse prima che vi passasse Voyager. I risultati di tali ricerche sono presentati in conferenza stampa proprio in questi giorni…

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Astrofili alla caccia di pianeti extrasolari…!

Una collaborazione internazionale ha scoperto un pianeta in un “sistema solare” che, con una distanza pari a circa 15000 anni luce dalla terra, rappresenta sicuramente uno dei pi? lontani oggetti di tale categoria, mai rintracciati…

In un’epoca in cui la tecnologia sta iniziando a rendere tali scoperte meno difficili, questo “nuovo” pianeta, che ? grande circa tre volte Giove, ? in ogni caso speciale per diverse ragione, ha detto Adrew Gould, professore di astronomia all’Universita’ dell’Ohio.

La tecnica che gli astronomi hanno utilizzato infatti per trovare il pianeta (chiamata “microlensing gravitazionale”) pare funzionare cosi’ bene che a suo avviso, potrebbe essere utilizzata per trovare anche pianeti piu’ piccoli, magari della grandezza della Terra, anche molto distanti.

Un’altro lato interessante della faccenda, ? che due astrofili della Nuova Zelanda hanno aiutato a individuare il lontano pianeta, utilizzando solo la loro strumentazione… la qual cosa suggerisce che non serve poi una strumentazione estremamente sofisticata per poter diventare “cacciatori di pianeti”…!


http://researchnews.osu.edu/archive/nuplanet.htm

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Immagini di Hubble dell’ammasso globulare M80

Questo enorme addensamento di stelle “vecchie” ? l'ammasso globulare M80 (NGC6093), uno dei pi? densi dei quasi 150 ammassi globulari che popolano la nostra Via Lattea…

Localizzato a circa 28.000 anni luce dalla Terra, l'ammasso globulare M80 contiene centinaia di migliaia di stelle, tutte tenute insieme dalla mutua attrazione gravitazionale. Gli ammassi globulari sono particolarmente utili per studiare l'evoluzione stellare, poiche' tutte le loro stelle hanno approssimativamente la stessa eta' (paragonabile all'eta' dell'Universo), pur avendo diversi valori della massa.

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MOST gioca a nascondino con un pianeta extrasolare…

MOST, il primo telescopio spaziale canadese, ha raggiunto un importante risultato riguardo l'atmosfera e le nubi di un 'misterioso' pianeta extrasolare, giocando ad una sorta di 'nascondino' allorche' il pianeta transita dietro la sua stella durante l'orbita…

Il pianetino, chiamato HD209458b, non puo' essere visto direttamente nelle immagini, sicche' gli scienziati del team del satellite MOST (Microvariability and Oscillation of STars) hanno pensato di usare il loro telescopio spaziale per monitorare le variazioni di luce provenienti dalla stella, mentre il pianeta le ruota intorno…

“Possiamo affermare che questo intrigante pianeta riflette la luce in misura inferiore a quanto accade per il gigante gassoso Giove nel nostro sistema solare”, ha detto il Dr. Jaymie Matthews al meeting annuale della Canadian Astronomical Society a Montreal. “Cio' ci dice molto sulla natura dell'atmosfera di questo esopianeta, e sulla eventuale presenza di nubi”.

http://www.astro.umontreal.ca/~casca/PR/Casca2005_Matthews.html

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Cassini indaga sullla composizione dell’atmosfera di Titano…

Nuove osservazioni effettuate dalla sonda Cassini gettano luce sulla composizione dell'atmosfera di Titano…

La spessa atmosfera della luna gigante di Saturno risulta ricca di composti organici, la cui composizione chimica potrebbe essere simile a quella dell'atmosfera terrestre prima della comparsa di forme di vita….

“Titano non e' solo un punto nello spazio; queste nuove osservazioni mostrano che Titano e' un mondo ricco e complesso, in qualche modo assai simile alla Terra”, ha detto il Dr. Michael Flasar del Goddard Space Flight Center della NASA…

http://www.nasa.gov/centers/goddard/news/topstory/2005/Titan_Ozone_Hole.html

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La Terra trattiene il calore del Sole.

La Terra, secondo un recente studio, starebbe trattenendo pi? energia solare di quanta non ne riemetta nello spazio…

Il modello di simulazione tiene conto delle variabili forzanti del clima come le concentrazioni dei gas-serra, gli aerosol, lo sfruttamento della terra, la riflessione della superficie e calcola le temperature globali ed altri valori del clima per l'atmosfera e gli oceani. Una decina d'anni di osservazioni del calore degli oceani confermano queste scoperte. James Hansen della NASA ed il suo staff hanno elaborato un modello per simulare i mutamenti climatici fra il 1880 ed il 2003. I risultati indicano che il nostro pianeta sta assorbendo un ammontare netto di energia di circa 0.85 watt per metro quadro. Senza innesti aggiuntivi questo surplus potrebbe causare un aumento di temperatura di 0.6 gradi per fine secolo, poich? gli oceani mostrano maggiore inerzia ad adeguarsi ai mutamenti energetici di quanto non faccia l'atmosfera. Cos? un altro rapporto, pubblicato su Nature, dimostra che anche se le emissioni di di gas-serra fossero cessate 5 anni fa le temperature crescerebbero di circa mezzo grado per fine secolo. Il gruppo di studio ha anche analizzato i dati raccolti da piattaforme sparse in giro per il globo, da navi in transito e da sofisticate misure satellitari del livello degli oceani. “Acque pi? calde incrementano la probabilit? di un accelerato scioglimento dei ghiacci e di conseguente aumento del livello dei mari in questo secolo” sostiene Hansen. Il ritardo nel riscaldamento degli oceani ci fornisce una opportunit? per ridurre la dimensione del mutamento climatico a condizione di adottare le appropriate azioni correttive che sono : il miglioramento dell'efficienza energetica, l'impiego di energie rinnovabili, la riduzione degli agenti inquinanti dell'aria come ad esempio il metano volatile, gli attivatori dell'ozono ed il carbone.

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