Blog di Marco Castellani

Mese: Marzo 2012 Page 1 of 3

Qualcosa di nuovo

Il meteo diceva che avrebbe fatto al massimo una spruzzatina di pioggia,  nel pomeriggio. Del resto, la mattina il sole era così invitante e le sue lusinghe così piacevoli, che la cosa più opportuna sembrò proprio dare corso al piano messo a punto nella giornata di sabato. Andremo al picnic, sì. 

La mattina scendo a sistemare le biciclette, con un umore misto e tendente sul dark; recenti contatti di pelle e squarci, lame di luce, di gioia poi aperture e chiusure e impacci eppoi la sensazione di complicazione che a volte prende i rapporti, anche quelli amorosi, e tutte le cose quando ci scordiamo che sono semplici. 

Insomma, le biciclette sono a posto, si può partire. La mamma ci segue con la macchina portando le vivande. Simone e Agnese vengono con me, in bicicletta. Dò le indicazioni, i bimbi seguono. In bicicletta obbediscono più volentieri. Mi sembra tornarmi addosso un po’ di piacevole autorevolezza che nella vita familiare ordinaria sento di aver perso. Arriviamo al parco e c’è un bel sole.

Poco prima della fuga per la pioggia…

Alla fine siamo soltanto noi, non abbiamo chiamato nessun altro. Improvvisamente mi sento stretto. I piccoli si litigano per un niente e mi viene istintivo un moto di sconforto. Ancora questo, ancora questa sensazione che la vera vita sia altrove. E non ci sono argomentazioni razionali, devi scendere fino al profondo delle cose che vivi e capire perché le stai vivendo. Appena vai avanti per inerzia devi fermarti e ragionare. Devi scegliere di nuovo ciò che fai, capire ciò che sei. Altrimenti “tutto diventa pesante, uno sforzo titanico per fare qualcosa che non c’entra più niente con il nostro desiderio” (Julian Carron).

Non siamo fatti per andare avanti in automatico. Grazie al cielo. Quando scegli di nuovo (e basta un istante di coscienza) tutto ritorna più umano, vivibile, pieno di senso. Le stesse identiche cose, viste da fuori. Completamente diverse, viste da dentro. Vuol dire essere avventurieri ancora. A qualsiasi età (ri)parte l’avventura, senza precondizioni. A volte riparte proprio quanto ti senti più poveretto, con le mani vuote. Perché finalmente ti arrendi, molli le pretese tue. «La vita quotidiana è la più romantica delle avventure e soltanto l’avventuriero lo scopre» (G.B. Chesterton)


Rientriamo a casa di corsa per la pioggia. Con Agnese decidiamo, usciremo ancora con le bici. La primavera è iniziata. Ed è vero,“in qualsiasi momento inizia qualcosa di nuovo” (Luigi Giussani). Questa è la cosa su cui voglio scommettere. Su cui giocare la fatica. Su cui far impattare gli scoramenti, le depressioni, le delusioni.

Anche con una bicicletta e un parco e un ritorno frettoloso per la pioggia. E una vita da riempire, ogni momento, di significato.

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Quasi nulle le probabilità di impatto con l’asteroide 2011 AG5

L’orbita dell’asteroide 2011 AG5 va oltre l’orbita di Marte e nel punto più vicino al Sole si trova a metà strada tra Venere e la Terra. Crediti: NASA/JPL:Caltech/NEOPO.

In questi giorni si è diffusa la notizia che un asteroide ha 1 probabilità su 625 di colpire la Terra il 5 febbraio 2040.

Ma l’asteroide 2011 AG5 colpirà davvero il nostro pianeta?

La risposta è: molto probabilmente NO. I ricercatori ovviamente necessitano di maggiori informazioni e dati sulla sua orbita e sulle sue future variazioni per una risposta definitiva.

2011 AG5 fa parte della categoria dei Near-Earth Asteroid (NEA), ossia asteroidi la cui orbita interseca quella terrestre. “A causa dell’estrema rarità di un impatto di un Near-Earth Asteroid di tali dimensioni con la Terra mi aspetto che saremo in grado di ridurre in modo significativo o di escludere in modo definito qualsiasi rischio di impatto per il prossimo futuro” ha affermato Donald Yeomans, responsabile del Programma Near-Earth Object Observations della NASA al Jet Propulsion Laboratory (JPL).

Yeomans ha classificato la probabilità di impatto come “improbabile”. Vediamo qui di seguito alcune degli aspetti più interessanti e curiosi di questo oggetto.

Secondo la scalda Torino Impact Hazard la probabilità di un impatto con questo asteroide è pari a 1. Tenendo conto che tale scala va da 1 a 10, questo valore implica che l’asteroide passerà vicino alla Terra senza porre alcun rischio per la Terra. I calcoli attuali mostrano che la probabilità di collisione è estremamente improbabile, senza motivo di preoccupazione per la popolazione mondiale. Molto probabilmente le future osservazioni telescopiche porteranno alla riassegnazione del livello zero. 1 possibilità su 625 è quello che al momento la NASA ha in base ai dati attuali. Ulteriori osservazioni probabilmente saranno in grado di diminuire la probabilità anche al valore nullo.

Le dimensioni di 2011 AG5 sono di 140 metri di larghezza; la composizione al momento non è ancora conosciuta, anche se è probabilmente di tipo roccioso con una crosta di ghiaccio o di ferro.

2011 AG5 fa parte di una famiglia molto numerosa di NEO: al momento le stime sono pari a 8 744 oggetti scoperti (dato stimato all’1 marzo 2012). I NEO sono oggetti che si trovano in una regione compresa entro le 1,3 UA dal Sole (dove 1 UA è pari alla distanza Terra-Sole, ossia 150 milioni di chilometri). 1 305 di questi NEO sono classificati come Potentially Hazardous Asteroids (PHA), ossia asteroidi potenzialmente pericolosi con dimensioni maggiori di 150 metri con un avvicinamento all’orbita terrestre fino a circa 0,05 UA. 2011 AG5 si trova al limite di questa classificazione.

L’asteroide 2011 AG5 è stato scoperto l’8 gennaio 2011 dagli astronomi utilizzando un Telescopio Riflettore Cassegrain di 60 pollici situato sulla sommità del Monte Lemmon, nelle Catalina Mountains a nord di Tucson, Arizona. Attualmente 2011 AG5 si trova molto vicino al Sole e questa sua vicinanza, dal nostro punto di osservazione sulla Terra e quindi dalla nostra posizione, comporta la non possibilità di fare osservazioni.

“Nel settembre 2013 avremo la possibilità di fare ulteriori osservazioni di 2011 AG5 quando arriverà a soli 147 milioni di chilometri di distanza dalla Terra” ha affermato Yeomans. “Avremo l’opportunità di osservare questa roccia spaziale e di perfezionare i calcoli della sua orbita”. Yeomans ha aggiunto che osservazioni ancora migliori saranno possibili sul finire del 2015.

2011 AG5 si avvicinerà nuovamente alla Terra nel febbraio 2023, quando passerà a non più di 1,9 milioni di chilometri. Nel 2028 l’asteroide sarà ancora vicino alla Terra, a circa 20,6 milioni di chilometri. L’ufficio del Near-Earth Program afferma che l’influenza gravitazionale terrestre sull’asteroide durante questi avvicinamenti ha potenzialmente la possibilità di posizionare l’oggetto su un orbita di impatto con Terra per il 5 febbraio 2040, ma questo è molto improbabile, dato che siamo su valori di 1-625.

“Ancora una volta, è importante notale che con le ulteriori osservazioni nel prossimo anno, le stranezze cambieranno e ci aspettiamo che cambieranno a favore della Terra” ha detto Yeomans.

Se 2011 AG5 dovesse impattare la Terra, in base ai calcoli dal sito Impact Earth, un oggetto di tali dimensioni dovrebbe frammentarsi all’interno dell’atmosfera terrestre ad un’altitudine di circa 65 500 metri. Alcuni frammenti maggiori arriverebbero a terra, con velocità pari a 2,64 km/s. L’energia sprigionata durante l’impatta sarebbe di 7.52 x 10^15 Joule, o di 1.8 megatoni.

Questo non dovrebbe causare alcun problema serio a livello globale, dato che il pianeta, inteso come un tutt’uno, non verrebbe fortemente perturbato dall’impatto. I frammenti del proiettile dovrebbero colpire il suolo lungo un’ellisse di circa 1,17 chilometri per 0,824 chilometri di diametro, e il risultato dell’impatto sarebbe una zona di crateri, non un singolo cratere. Il più grande dovrebbe avere dimensioni di circa 400 metri di diametro. L’impatto dovrebbe causare un terremoto di magnitudo 4,8 della scala Richter.

Se ci dovessimo trovare nella zona dell’impatto tra 1 e 10 chilometri sentiremmo una sensazione simile a un autocarro pesante che che impatta contro un edificio. Le auto nelle vicinanze verrebbero scosse in modo violento, mentre all’interno degli edifici i piatti, le finestre ed i muri verrebbero sicuramente toccati dalla scossa con vibrazioni importanti. Una potente raffica di vento si dovrebbe registrare dopo pochi secondi l’impatto ad una velocità di circa 26,3 m/s.
Se l’oggetto che impatta cadesse nell’oceano l’impatto verrebbe a produrre uno tsunami dopo circa 6,18 minuti dalll’impatto. A 10 chilometri di distanza l’ampiezza dell’onda sarebbe compresa tra 4,78 e i 9,55 metri.

Yeomans afferma che ogni giorno la Terra viene colpita da più di 100 tonnellate di materiale perduto da asteroidi e comete. Fortunatamente la stragrande maggioranza di questa perdita è sottoforma di polvere e di piccole particelle. “Occasionalmente osserviamo queste particelle di dimensioni dei granelli di sabbia brillare nel cielo, creando meteore, o stelle cadenti, dato che bruciano mentre penetrano nell’atmosfera terrestre” ha raccontato Yeomans nell’articolo su Top Ten Asteroid Factoids. “Circa una volta al giorno, oggetti delle dimensioni dei palloni da basket colpiscono l’atmosfera e bruciano a contatto con essa. Poche volte all’anno un frammento delle dimensioni di una piccola automobile penetra nell’atmosfera terrestre. Questi frammenti più grandi causano delle palle di fuoco impressionanti mentre attraversano l’atmosfera. Molto raramente frammenti consistenti sopravvivono al passaggio nell’atmosfera della Terra e colpiscono la superficie diventando meteoriti”.

Per ulteriori informazioni:
Near Earth Object Program (NASA): http://neo.jpl.nasa.gov/

JPL-NASA: Asteroid 2011 AG5 A Reality Check: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2012-051
La scala di pericolosità di impatto: The Torino Impact Hazard Scale- http://neo.jpl.nasa.gov/torino_scale.html
Impact Earth Website: http://www.purdue.edu/impactearth

Top Ten Asteroid Factoids: articolo-intervista a Don Yeomans: http://www.jpl.nasa.gov/asteroidwatch/facts.cfm

Immagine tratta da Daily Mail: http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2107654/Nasa-identifies-new-asteroid-threat-hit-Earth-2040–UN-begun-discussing-divert-it.html

Sabrina 

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Molecole di ossigeno intorno a Dione, satellite di Saturno

Cassini ha rivelato ioni di molecole di ossigeno intorno alla luna ghiacciata Dione. Crediti: NASA/JPL/SSI.

Vi è ossigeno intorno a Dione, uno dei 62 satelliti conosicuti di Saturno. Questo è l’annuncio che è stato dato da un gruppo di ricercatori del Los Alamos National Laboratory di New Mexico. La presenza di ossigeno molecolare intorno a Dione crea una possibilità estremamente intrigante per i componenti organici – i mattoni della vita – di poter esistere su satelliti di altri pianeti diversi dalla Terra.

La luna Dione ha un diametro di 1 123 chilometri e orbita intorno a Saturno ad una distanza che è la stessa della nostra Luna dalla Terra. Fortemente craterizzata e solcata da lunghe scarpate luminose, Dione è fatta principalmente di ghiaccio d’acqua e roccia. Compie un’orbita completa intorno a Saturno ogni 2,7 giorni.

I dati acquisiti durante un passaggio ravvicinato della sonda Cassini dalla luna nel 2010 sono stati utilizzati dai ricercatori di Los Alamos per confermare la presenza di ossigeno molecolare nell’alta atmosfera estremamente rarefatta di Dione, così sottile che si preferisce chiamarla esosfera. Anche se non sarebbe possibile tirare un respiro profondo su Dione, la presenza di O2 indica un processo dinamico in atto.

“La concentrazione di ossigeno nell’atmosfera di Dione è abbastanza simile a quella che si potrebbe trovare nell’atmosfera terrestre ad un’altitudine di circa 180-200 chilometri” ha affermato Robert Tokar, ricercatore presso il Laboratorio di Los Alamos e primo autore dell’articolo pubblicato su Geophysical Research Letters. “Non è sufficiente per permettere la vita ma, insiene alle osservazioni su altre lune intorno a Saturno e Giove, questi sono esempi definitivi di un processo attraverso il quale un sacco di ossigeno può essere prodotto in gelidi corpi celesti che sono bombardati da particelle cariche di fotoni provenienti dal Sole o da qualsiasi sorgenti di luce nelle vicinanze”.

Dione ripreso dalla sonda Cassini durante uno dei suoi fly by. Crediti: NASA/JPL/SSI

Su Dione la sorgente di energia è il potente campo magnetico di Saturno. Mentre la luna orbita attorno al gigantesco pianeta, gli ioni carichi nella magnetosfera di Saturno collidono sulla superficie di Dione, strappando ossigeno dal ghiaccio sulla superficie e sulla crosta. Questa molecola di ossigeno (O2) viene catturata dall’esosfera di Dione, dove viene ancora una volta soffiata via nello spazio, dal campo magnetico di Saturno.

Gli strumenti di Cassini hanno rilevato l’ossigeno in una scia su Dione durante un fly by nell’aprile 2010.
La molecola di ossigeno, se presente su altre lune, come su Europa o su Encelado, potrebbe potenzialmente legare con il carbonio nell’acqua del sottosuolo per formare i mattoni della vita. Dal momento che c’è un sacco di ghiaccio d’acqua sulle lune dei giganti gassosi così come alcuni campi magnetici molto potenti originati soprattutto da Giove e Saturno, c’è motivo di pensare che via sia ancora ossigeno che potenzialmente possa essere trovato su altri pianeti o lune del nostro sistema solare.

Per le leggere il comunicato stampa sul Los Alamos National Laboratory si visiti “Oxygen detected in atmosphere of Saturn’s Moon Dione”: http://www.lanl.gov/news/releases/oxygen_detected_in_atmosphere_of_saturns_moon_dione.html

Aritcolo disponibile su Geophysical Research Letters, “Detection of exospheric O2+ at Saturn’s moon Dione” VOL. 39, L03105, 7 PP., 2012, R. L. Tokar, R. E. Johnson, M. F. Thomsen, E. C. Sittler, A. J. Coates, R. J. Wilson, F. J. Crary, D. T. Young e G. H. Jones, doi:10.1029/2011GL050452 su: http://www.agu.org/pubs/crossref/2012/2011GL050452.shtml

Sabrina

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Il Sole distrugge un’altra cometa

La cometa SWAN. Crediti: SOHO/NASA. Disponibile su: http://sohowww.nascom.nasa.gov/pickoftheweek/Comet_swan_C2.jpg .

 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=00cOo2Hea8Q

In questa animazione realizzata dalle osservazioni del Solar and Heliospheric Observatory (SOHO) della NASA, guardate come la cometa SWAN, scoperta solo qualche giorno fa, arriva in basso a sinistra e si avvicina al Sole… E non riesce a sopravvivere come la cometa Lovejoy, arrivata in prossimità del Sole ed emersa dall’altra parte nel periodo di Natale 2011. E’ il 14 marzo 2012.

Riguardiamo ancora la stessa scena ad una velocità metà della precedente. Mentre la cometa entra nel campo di vista, si osserva un Coronal Mass Ejection, un’espulsione di massa coronale dal Sole.

La cometa Lovejoy era un po’ più grande e l’unica cometa finora osservata da SOHO in grado di sopravvivere nel suo passaggio molto ravvicinato con il Sole. Il CME che emerge dalla parte nord occidentale verso la fine del filmato non è stato causato dall’impatto di questa minuscola cometa. E’ solamente un’altra eruzione nella regione attiva 1429.

Crediti: NASA/SOHO, musica: Heavy Interlude di Kevin MacLeod; http://www.incompetech.com, Phil Plait, BadAstronomy.com.

La cometa Lovejoy, denominata C/2011 W3, venne osservata da SOHO nel suo sedicesimo anniversario del lancio, il 2 dicembre 2011. Fece sorprendere tutti i ricercatori dato che fu in grado di sopravvivere dopo essere precipitata nella corona solare a diversi milioni di gradi.

Il 15 e il 16 dicembre scorsi, che corrispondono al giorno precedente e posteriore al passaggio al perielio della cometa, il solo server web di SOHO fu in grado di registrare due giorni di record di visite: 2 878 750 e 3 037 971 rispettivamente. I due strumenti a bordo di SOHO, LASCO e UVCS compirono osservazioni molto particolari ed estremamente dettagliate di questo eventi. Le misurazioni dovrebbero fornire i tassi di degassamento e la dimensione del nucleo.

Molte sono ancora le domande aperte: che cosa causò a Lovejoy la perdita della coda all’interno dell’atmosfera del Sole per poi la sua ricomparsa in un secondo momento? Come fece a sopravvivere?

Per ulteriori informazioni sulla cometa Lovejoy: La cometa Lovejoy diretta sul Sole: http://tuttidentro.wordpress.com/2011/12/15/la-cometa-lovejoy-diretta-sul-sole/

La cometa Lovejoy è sopravvissuta all’incontro con il Sole: http://tuttidentro.wordpress.com/2011/12/16/la-cometa-lovejoy-e-sopravvissuta-allincontro-con-il-sole/

Lovejoy, un incontro col Sole memorabile: http://tuttidentro.wordpress.com/2011/12/17/lovejoy-un-incontro-col-sole-memorabile/

La cometa Lovejoy. Crediti: SOHO/NASA.

Sito SOHO NASA: http://sohowww.nascom.nasa.gov/

Sabrina 

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Open source e ricerca: il caso di GaiaOpen source and research: the case of GAIA

Traduzione e adattamento in inglese di un post già apparso sul sito

How important is the open-source software as part of the scientific research nowadays? Since I am an astronomical researcher, a lover and a user of open-source software, I’m very interested in trying to deepen this topic.

Well, an opportunity to talk about it now comes from the observation of software tools that are utilized in a big project to which I am also taking part, that is the definition of procedures for processing and analyzing the photometric data that will be generated by the ESA (European Space Agency) probe called GAIA (curiously, one of the first articles appeared on my italian blog was just about GAIA, in 2002). The probe will be launched in 2013, but the work for the definition of the appropriate procedures is already running at full capacity.

An artistic image of GAIA (Credit: ESA/Medialab)

In my opinion, even a simple, brief list of software tools used by the different teams of Gaia – coordinated through a European network of scientific institutes – would probably be enough to understand that the open-source software is doing great or – to put it in a more technical way – that it now can count on its own defined space essential for applications and fields, at least in scientific research.

To proof this, I’ve written down a list (incomplete) of the open source software currently used in the development of the Gaia data reduction procedures, made by simply thinking about the tools that are used, by me or my colleagues, for the daily work within the project itself…

So, this is the catalog:

  • Java: is the language of analysis software and data reduction. Following a decision of ESA, all procedures need to be written in Java. This involves a series of remarkable benefits in terms of independence from the hardware, portability, modularity, etc. … too long to be fully explained here.
  • Eclipse: is the highly recommended development environment  (which is to say, do what you like, but you don’t expect support with other environments…)
  • SVN: all the code is put under revision control, using subversion
  • MediaWiki: there is a wiki with restricted access, very large, in which is shown all the project documentation, the meetings and seminars for the various teams, the documentation. Briefly, a sort of mini thematic Wikipedia, devoted to people working on the project.
  • Hudson: a tool to automatically test the codes, at scheduled intervals, and submit reports on webpage
  • Cobertura: this tool is able to calculate the percentage of the code accessible to the test procedures
  • Mantis: is the chosen tool for controlling and managing bugs in the project
  • Grace: a useful tool to create graphics
  • Topcat: an interactive browser of tables and data editor
  • ant: a useful compilation tool in Java
  • Plastic (Platform for Astronomical Tool Interconnection) is a protocol of communication among different tools utilized mainly in astronomy (now is going replaced by SAMP)
  • And probably there’s something more that I cannot recall right now… 🙂

 The interesting thing is that all this software is released under the GPL (General Public License) or similar, which makes it much easier to spread and use the software itself: there is no need to obtain proprietary and restrictive licenses (or to make our own institutes acquire them…): you can download the software and begin to use it immediately. That’s it. It’s not bad, I’d say, both for the “personal scientific productivity” and for the undoubted advantage that this has as part of the real project. Can you imagine how much of the researcher’s time and of the taxpayer’s money should be spent if they had to obtain licenses (renewals, software keys…) for all these things?

(Kindly translated by Claudia Castellani from italian).

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Sul primato della geografia

A volte ci metto un po’ per capire delle cose. Capirne il significato vero, oltre le parole.

“…non perché siamo bravi, ma perché accettiamo di essere all’interno di un luogo dove Lui ci fa capire, sperimentare, gustare Chi è e quindi, cosa è la vita, cosa può essere la vita”
(Julian Carron, “L’inesorabile positività del reale“)

Meditavo su questo passaggio stamattina, uscendo dalla palestra. E’ qualcosa che fa una differenza radicale, completa; di quelle differenze capaci di cambiare la vita. Mi sono visto alla luce di questa frase e improvvisamente ho capito qualcosa di me. Ho sempre cercato la “prestazione” e mi sono giudicato, severamente, su questa. Essere capaci di raggiungere un certo “standard”, spirituale, morale, etico, familiare, lavorativo, etc… Raggiungerlo, tenerlo, nel tentativo di porre argine all’insicurezza, al dubbio, alle occasionali derive di mancanza di senso.
Ma che bello spreco di energia, a pensarci.
Si perché invece è una cosa tutta diversa. Non è una questione di standard etici (“non perché siamo bravi”), ma di semplice geografia. Scegliere dove stare e non tormentarsi più sul come si è. Stare nel luogo dove Lui ci fa capire, ecco. Stare. Tutto qua, tutto qua! La vita è semplicissima. Stare in questo luogo, e non preoccuparsi più di niente. Stiamo, e lasciamo fare. Sarà Lui a preoccuparsi di noi.

1096 Paris-Montmartre Early Morning
Guardare, prima di tutto… !
Quanto mai vero per Parigi, non vi pare?

Il bello è che riesco a sorprendere questa cosa “in atto”. E’ una cosa di ogni momento, di ogni più piccolo attimo. Se non accetto di essere all’interno di questo luogo, mi attacco immediatamente, per sentire la consistenza di me, ad uno standard, ad una “prestazione”: mi giudico. Non lo dico, ma pongo la salvezza in un mio cambiamento. Mi costringo in gabbia da solo. Guardo me e non guardo fuori. Non guardo davvero i posti, la realtà.
C’è aria stantìa, c’è proprio bisogno di cambiare: ci vuole geografia, non moralismo. La bellezza di un luogo, non la costrizione di un ragionamento, la pericolosa sterilità di un nefasto perfezionismo.

Lo ammetto: non mi piaceva la geografia da giovane studente. Agricoltura, industrie, terziario. La lista di cose da memorizzare per ogni regione, ogni più piccola nazione. Dopo tanti anni, mi devo ricredere. Un bel posto è un bel posto, non si discute. E si stratta prima di tutto di guardare, che di pensare a come comportarsi. Stare in un luogo e scoprirne pian piano la bellezza.

E la vita, infatti, diventa più bella. Da subito.

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Venti fortissimi da un buco nero stellare

Questa rappresentazione artistica mostra un sistema binario formato da una buco nero chiamato IGR J17091-3624, o IGR J17091 in forma abbreviata. La forte gravità del buco nero, sulla sinistra, sta trasferendo del gas lontano da una stella compagna, posta sulla destra. Questo gas forma un disco di gas caldo attorno al buco nero; il vento lo spinge fuori dal disco. Crediti: NASA/CXC/M.Weiss.

Ricercatori astronomi, utilizzando il Chandra X Ray Observatory della NASA, hanno registrato il vento più forte che spira su un disco stellare attorno ad un buco nero di massa stellare. Questo risultato ha importanti implicazioni per conoscere come un buco nero di massa stellari si comporti.

Il record di velocità del vento è di circa 20 milioni di chilometri orari, ossia pari al 3% della velocità della luce, 10 volte più veloce di quanto non fosse mai stato rilevato su un buco nero di massa stellare.

Buchi neri stellari  si formano dal collasso di stelle molto massicce, circa 5-10 volte la massa del nostro Sole.
La sigla che è stata assegnata a questo oggetto è IGR J17091-3624, o IGR J17091 in forma abbreviata.

“Questo vento è l’equivalente cosmico dei venti provenienti da un uragano di categoria cinque” ha affermato Ashley King dell’Università del Michigan, autore capo dello studio pubblicato il 20 febbraio su The Astrophysical Journal Letters. “Non ci saspettavamo di vedere venti di tale potenza da un tale buco nero “.

Il vento che spira da IGR J17091 corrisponde a uno dei più forti tra quelli generati dai buchi neri supermassicci, oggetti di milioni o miliardi di masse stellari al centro delle galassie.

“E’ una sorpresa che questo piccolo buco nero sia in grado di produrre delle velocità nel vento che di solito si osservano solo nei buchi neri supermassicci” ha affermato il co-autore Jon M. Miller che lavora come King all’Università del Michigan. “In altre parole, questo buco nero sta lavorando ben al di sopra delle sua massa”.

Un altro dato imprevisto è che il vento, che proviene da un disco di gas che circonda il buco nero, può portare via molto più materiale di quanto il buco nero non sia in grado di catturarne.

“Contrariamente a quanto si pensa, ossia che i buchi neri possano attrarre tutto il materiale che si avvicina loro, in realtà, si stima che fino a circa il 95% del materiale nel disco intorno a IGR J17091 viene espulso dal vento” ha affermato King.

A differenza dei venti degli uragani terrestri, il vento da IGR J17091 soffia in molte direzioni differenti. Inoltre, è stato osservato un getto, dove il materiale fluisce in fasci localizzati altamente perpendicolari al disco, spesso ad una velocità prossima a quella della luce.

Osservazioni simultanee effettuate con il National Radio Astronomy Observatory’s Expanded Very Large Array hanno mostrato un getto radio dal buco nero che non era presente con il vento fortissimo, anche se un getto radio era stato osservato in altre occasioni. Questo è in accordo con le osservazioni di altri buchi neri di massa stellare, fornendo un’ulteriore prova sul fatto che la formazione di venti può produrre dei getti.

L’alta velocità del vento è stata stimata da uno spettro fatto da Chandra nel 2011. Gli ioni emettono e assorbono con caratteristiche negli spettri che permettono ai ricercatori di monitorarli e di conoscerne il loro comportamento. Uno spettro di Chandra di ioni di ferro fatto due mesi prima, non aveva evidenziato venti ad alta velocità; ciò porta ad affermare che il vento vari la sua velocità nel tempo, aumentando e diminuendo.

I ricercatori ritengono che i campi magnetici nei dischi dei buchi neri siano responsabili della produzione sia dei venti che dei getti. La geometria dei campi magnetici e il tasso col quale il materiale cade verso il buco nero deve influenzare il modo in cui i getti e i venti vengono prodotti.

IGR J17091 è un sistema binario composto da una stella simile al Sole che orbita attorno a un buco nero posizionato nel bulge della nostra Galassia a circa 28 000 anni luce di distanza dalla Terra.

Il Marshall Space Flight Center della NASA a Huntsville, in Alabama, gestisce il programma per il Chandra Mission Directorate della NASA, a Washington. Il Smithsonian Astrphysical Observatory contralla la ricerca compiuta da Chandra e le operazioni di volo da Cambridge, Massachusetts.

Per ulteriori informazioni su Chandra: http://www.nasa.gov/chandra
Fonte Chandra X Ray Observatory: http://www.chandra.harvard.edu/index.html e http://www.chandra.harvard.edu/photo/2012/igr/

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Ciò che rende uomo l’uomo

Lo dico. Mi sembra a volte di giocare in posizione di difesa. Giocare troppo corto, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Quando la partita non è messa male, non ci sarebbe necessità di arroccarsi. Catenaccio completamente inutile, direbbe il cronista. Perché mettere i gomiti davanti? Ricadere nel pensare gli altri come soluzione dei propri problemi? Pretenderla dagli altri, la soluzione?
Non mi è concesso più, di relegarti i miei casini
Mi butto dentro, vada come vada
(Lorenzo Cherubini, Mezzogiorno)
Dice bene Lorenzo. C’è come un’aria velenosa di rinuncia preventiva, un’idea di rimanere sul solito percorso, magari giudicandolo insoddisfacente ma non facendo davvero nulla per cambiarlo.

S’è avvolto nelle tenebre il mondo, non temere.
Non credere durevole tutto ciò ch’è oscuro.
Sei vicino ai piaceri, amico, alle valli, ai fiori:
osa, non ti fermare. Ecco, già sorge l’alba!

(Costantino Kavafis)

Ecco, la vita è lì, variegata ed imprevedibile in ogni istante. Colorata e multiforme. Sono i pensieri a bassa energia che ci trattengono. Sono tutto questo. Ecco. I pensieri a bassa energia, i pensieri stinti, sono la vera volgarità: sono tutto il contrario dell’arte.

Che c’entra ora l’arte?

Secondo me c’entra, eccome. L’arte è come la testimonianza impudica che una felicità concreta esiste e si allarga nel tempo. Io penso che il mondo abbia sempre avuto una grande necessità dell’espressione artistica. 

Sei qui. Io smaniavo, ti volevo.
Sei ventata d’aria fresca sul cervello incendio di passione.

Sembrano versi moderni, più moderni anche di Kavafis. Io li vedo così, vi passa attraverso tutta la tensione del contemporaneo, innervata d’impazienza – ci leggi l’impulsività, la forza della passione. Li vedo passare bene nell’aria di oggi, attraverso le strade, i palazzi, i negozi. La gente che si incrocia, si rincorre, si evita, si cerca.
Sei qui. Io smaniavo, ti volevo.

C’è tutta la rapidità quasi informatica del tratto, la forza che nasce dell’aver assorbito e superato ogni accademia, ogni forma retorica. Il contenuto che detta la forma stessa, l’urgenza espressiva che regna. Il sentimento, così esplicito. Insomma, niente di più attuale. Non dice avrei piacere della tua gentil presenza, oppure come la lontananza tua il cor mi ferisce, no no. Dice  proprio smaniavo, ti volevo.

Come quella incredibile canzone che chiude il primo lato di Abbey Road.

I want you,
I want you so bad.
It’s driving me mad,
It’s driving me mad.

(The Beatles, I Want You)

Insomma, siamo nella modernità. Tu pensi, finalmente l’espressività moderna ha superato ogni convenzione, si è affrancata dalle sovrastrutture formali. Pensi finalmente insomma.

Poi scopri che questi versi proprio modernissimi no, non lo sono. Sono di Saffo, una poetessa greca che scriveva circa seicento anni prima di Cristo. 
Allora questi versi, che si agganciano così bene agli scenari di palazzi, strade, automobili? Non c’è qualcosa di eterno nell’arte, qualcosa che ci ricorda che noi siamo più di un conglomerato di atomi e molecole sapientemente combinati? Per me è così. 
E’ perché Saffo ha scritto questi versi, in un attimo magari, un impulso di un istante, ha voluto fermare una sensazione. E dopo migliaia di anni, migliaia, queste poche parole mi parlano e si allargano nel cuore. Trovano un significato; una corrispondenza. 
La poetessa Saffo
Perché questo riverbero positivo? Azzardo un’idea. La faccio breve, ci sarebbe da scrivere molto di più, arrivarci per gradi. Invece vengo al punto. Perché il positivo? Perché queste persone, scrivendo questi versi, testimoniano – in ogni epoca – di prendere sul serio la propria umanità, di volerle bene. Di volersi bene. 
Hanno cioè mostrato in atto, con l’atto stesso di scrivere, quella che Luigi Giussani chiama una coscienza tenera e appassionata di sè. Tutto il contrario rispetto alla tentazione della trascuratezza, di cui si parlava all’inizio del post.
Prendere sul serio la propria umanità è la chiave per aprirsi, mettersi in gioco, lanciarsi finalmente alla ricerca del significato. Di una Presenza innamorata di noi.

“Non sarebbe possibile rendersi conto pienamente di che cosa voglia dire Gesù Cristo se prima non ci si rendesse ben conto della natura di quel dinamismo che rende uomo l’uomo. Cristo infatti si pone come risposta a ciò che sono “io” e solo una presa di coscienza attenta e anche tenera e appassionata di me stesso mi può spalancare e disporre a riconoscere, ad ammirare, a ringraziare, a vivere Cristo.”

(L. Giussani, All’origine della pretesa cristiana, citato qui)
Penso sia impossibile essere artisti senza aprirsi, mettersi in gioco, assecondare la natura di questo dinamismo. Non sto parlando di artisti cristiani, sto parlando di artisti. Del movimento primigenio fondamentale che mette in gioco l’arte, questa incredibile connessione tra i millenni. Figlio di quel dinamismo che rende uomo l’uomo. 
Così la vita entra nelle parole. E le parole trattengono la vita e tu ne vieni a contatto, anche dopo migliaia di anni.
Perché la vita entra nelle parole
come il mare in una nave…
(Luis Garcìa Montero)
Ciò che fa sì che mi possa rivestire dei versi dei poeti come uno strato intermedio tra me e l’esterno, come una possibilità più morbida di vivere il reale. Per essere più umano. Più vicino al cuore.

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