Vorrei partire da questa fotografia, per un tragitto che da Venere ci riporti rapidamente alla Terra: risale al 1996 e ci mostra Dickinson, un cratere da impatto nella parte nordest della regione Atlanta. L’ampiezza dell’immagine, tanto per dare un’idea, è di 185 chilometri di ampiezza e 69 di altezza.

Il cratere Dickinson su Venere.
Crediti: NASA/JPL-Caltech

Il cratere appare davvero complesso, caratterizzato da un anello centrale e una pavimentazione costituita da materiale diversamente opaco al radar (alternanze di zone chiare e zone scure). Si vede chiaramente che non è simmetrico, la mancanza di materiale da impatto ad ovest potrebbe proprio indicare che è esattamente quella la direzione dalla quale è arrivato il corpo che ha impattato il pianeta.

La sonda Magellano, che ha acquisito l’immagine, è stata la prima lanciata da una navetta spaziale, precisamente dallo Space Shuttle nel 1989, qualche anno prima che venisse lanciato il Telescopio Spaziale Hubble. Ora la NASA ci sta pensando di nuovo, è infatti in progettazione una missione ancora più avventurosa, chiamata DAVINCI, che sarà la prima a studiare Venere usando sia i passaggi ravvicinati di una sonda in orbita che un lander destinato ad atterrare sul pianeta (ed anche a… scottarsi i piedi, perché ricordiamo che le temperature al suolo su Venere si aggirano intorno ai 500 gradi centigradi).

Vale la pena a questo punto ricordare che le prime sonde attirate su Venere furono la sovietica Venera 3 nel lontano 1966 (che però si schiantò sulla superficie), Venera 4 il 18 ottobre dell’anno successivo, che per la prima volta inviò misure dirette da un altro pianeta e appena il giorno seguente, la Mariner 5 statunitense.

Il bello è che i risultati della Venera 4 e della Mariner 5 vennero analizzati da un team scientifico congiunto sovietico-americano durante l’anno successivo, in un primo fruttuoso esempio di collaborazione nelle imprese spaziali.

Avvenne cioè ciò che ora ci sembrerebbe un sogno, ora che anche l’avventura nello spazio soffre per tutte le divisioni e le guerre che vi sono sulla Terra, per questo vecchio modo di intendere la vita e il cosmo, dove l’idea di separazione ancora vince sull’evidenza sempre più chiara e limpida – confermata perfino dalla fisica – di un collegamento profondo di tutte le cose tra loro.

C’è infatti una consapevolezza diffusa, un anelito di pace che emerge dall’opinione pubblica, a dispetto di una certa distorsione propagandistica della realtà, per cui finalmente, la gente si è stancata della guerra. Ha ragione il Dalai Lama (ma anche il Papa è molto chiaro), la guerra è prima di tutto una opzione obsoleta. Per quanto si tenti da farla passare come inevitabile (e s’intende, sempre difensiva) essa stride sempre di più alla coscienza delle donne, degli uomini di oggi.

Viene alla mente il piccolo puntino blu di Carl Sagan, che ci fa anche capire perché oggi l’astronomia è importante e cosa può insegnarci riguardo all’assumersi la responsabilità attiva del nostro pianeta.

Vengono alla mente tante cose, in effetti. La bellezza soprattutto, oltre i tristi ragionamenti dei media, che ci spingono a parteggiare per l’uno o per l’altro, a trasportare cioè la logica della guerra all’interno del nostro stesso cuore.

Sì, viene in mente la maestosa bellezza di un cielo stellato. Perché eccolo qui, il vero valore del guardare il cielo: incontrare le stelle non può che far germogliare dentro di noi il senso autentico, il desiderio vero e incondizionato, della pace.

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