Questa meraviglia è una vista di Hubble dell’ammasso globulare chiamato NGC 6544, una regione densamente popolata (decine di migliaia di stelle) a circa ottomila anni luce da noi, dentro la Via Lattea.

L”ammasso globulare NGC 6544 visto da Hubble
Crediti: ESA/Hubble & NASA, W. Lewin, F. R. Ferraro

Di ammassi globulari ce ne sono circa 170 nella Galassia, variamente popolati. Sono preziosissimi non solo per la loro bellezza (pienamente svelata da Hubble) ma per quanto abbiamo imparato e stiamo ancora imparando, sulle stelle e sul nostro universo in senso più generale.

Negli anni Novanta proprio intorno agli ammassi globulari si giocò una partita importante, per determinare l’età dell’universo. Tra parentesi, domande come quanto è grande l’universo oppure quando è nato si affacciavano da non molto nell’ambito scientifico come finalmente suscettibili di risposta (scientifica, dunque verificabile e falsificabile). Un cambio di paradigma importante rispetto a millenni di evoluzione umana, un segno di quella accelerazione conoscitiva probabilmente indice di un reale cambiamento d’epoca.

Nel dettaglio, la tensione era tra i 18-20 miliardi di anni che prescriveva l’evoluzione stellare, proprio dallo studio di questi ambienti stellari (importanti perché le stelle di un ammasso globulare hanno in prima approssimazione la stessa età), e le prescrizioni cosmologiche, che si attestavano sotto i 10 miliardi di anni.

Insomma c’era sì da contendere, ma si stava contendendo su una domanda che fino a pochi anni prima era considerata fuori dalla scienza (o almeno io, da bambino, la sentivo tale).

La storia ci insegna che nel tempo ci si venne incontro: sia l’astronomia che la cosmologia, con il progredire degli studi, rivederono le loro stime. Fino a che i dati di WMAP misero tutti d’accordo, su quel valore di 13,8 miliardi di anni, che ora è accolto dalla quasi totalità degli studiosi.

Una risposta che il me stesso di tanti anni fa, non pensava avrebbe mai avuto.

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