Sono passati esattamente 48 anni (e un giorno). Era infatti il ventidue ottobre del 1975, quando la sonda sovietica Venera 9 atterrava sulla caldissima superficie di Venere e riusciva ad acquisire un panorama a 180 gradi (l’immagine in apertura di questo articolo). La sonda era progettata per resistere alle tremende condizioni di pressione e temperatura della superficie del pianeta: in effetti, riuscì a funzionare per ben 53 minuti, prima di darsi per vinta.

Quell’oretta scarsa fu decisiva, per la conoscenza del pianeta. Si comprese che c’è uno strato di nubi spesso oltre 30 km, si ottennero informazioni sulla chimica dell’atmosfera (decisamente irrespirabile, essendo ricca di acido cloridrico, acido fluoridrico, bromo e iodio), si confermò un elevatissimo valore di pressione atmosferica e temperature che sfiorano i 500 gradi Celsius.

Se non fu possibile acquisire un panorama a 360 gradi fu perché un copriobiettivo non si aprì a motivo della grande pressione atmosferica, limitando la capacità delle fotocamere presenti appunto ad un angolo di 180 gradi. Con tutto questo, Venera 9 fu il primo oggetto in assoluto ad inviare immagini da un altro pianeta (almeno, il primo creato dall’uomo).

L’immagine originale è stata colorata da Ted Stryk interpretando con libertà artistica successivi dati forniti da Venera 13. Il risultato lo vedere qui di seguito.

Panorama di Venere “colorato” da Ted Stryk (licenza Creative Commons)

Se di immagini della superficie di Marte ormai ne abbiamo in grande quantità, queste foto di Venere – con le loro interessanti rielaborazioni – sono preziose testimonianze di un ambiente così differente dalla Terra da costituire un ambiente più che mai intrigante, per gli studiosi.

Non va dimenticato nemmeno che ambienti così apparentemente invivibili possono comunque custodire delle sorprese, perché giudicare al primo impatto non sempre paga. Proprio Venere, ricordo, fu fortemente sospettata di custodire forme di vita, anche se non sulla superficie. Sto alludendo al caso della fosfina in atmosfera, possibile indicatore di un ciclo biologico. Grande clamore suscitato nel 2020 dalla notizia, poi ampiamente smussato a motivo di altri studi che hanno drasticamente ridimensionato la faccenda.

La cosa che ci resta è – cicli biologici in corso o meno – è la necessità di uno sguardo attento sul reale, uno sguardo che non si fermi ai primi segnali, ma entri in sintonia con quello che sta osservando. E le sorprese possono provenire da qualsiasi ambiente.

E lo spazio è bello per questo: non ti puoi abituare, non puoi addormentarti nel già visto. Ogni superficie di pianeta, di luna, ogni remoto quasar, porta qualcosa di nuovo. Lo spazio è un’avventura senza fine. In fondo, ci indica ciò di cui abbiamo bisogno. Vivere sempre intensamente il reale, avrebbe detto Luigi Giussani.

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