Blog di Marco Castellani

Mese: Febbraio 2014

Uno sguardo fresco a Centaurus A

ChandraCen

Crediti: X-ray, NASA/CXC/U.Birmingham/M.Burke et al.

Era partito da poche settimane appena. Eravamo nel 1999. E già Chandra puntava i suoi strumenti su Centaurus A. Questa galassia, ad una distanza di dodici milioni di anni luce dalla Terra, mostra una caratteristiche davvero impressionante:  un enorme getto di materia che fuoriesce, verosimilmente, da un gigantesco buco nero centrale.

Il primo amore non si scorda mai, è ben noto. E questo vale anche per Chandra. Difatti, da allora, diverse volte la sonda ha rivolto la sua attenzione su questa galassia così peculiare . Ogni volta raccogliendo altri dati.

Nel complesso, una mole rilevante di informazioni, accumulate tra gli anni 1999 e 2012. Nel frattempo che Chandra accumulava dati, anche a Terra non stavano con le mani in mano: nuove tecniche di elaborazione di immagini permettono oggi agli astronomi di (ri)utilizzare al meglio i dati già acquisiti.

Ottenendo così l’immagine che potete ammirare qui sopra. Essa fornisce davvero una nuova opportunità di guardare un oggetto antico: insomma, quasi come gettare uno sguardo fresco e rinnovato su un vecchio amico…

Nell’immagine, la radiazione X di bassa energia è in rosso, quella di media energia è in verde, e quella più energetica in blu. Chandra infatti lavora in banda X, e per mostrare le meraviglie che osserva, dobbiamo ricorrere per forza alla tecnica dei falsi colori. 

Va detto, comunque, che la nuova tecnica di elaborazione delle immagini non produce solo risultati gradevoli per l’occhi, ma sommamente interessanti per la scienza: di fatto, nuovi lavori stanno già raggiungendo le riviste scientifiche di settore, ottenuti tramite l’analisi accurata delle immagini appena prodotte. 

 Maggiori dettagli sul Photo Album di Chandra.

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Un giorno sul Sole…

sunspotloops_trace_898

Crediti: TRACE Project, NASA. Sorgente: APOD 26.1.2014

Va così, sul Sole. Anche nei giorni apparentemente più quieti, l’attività è febbrile. Non c’è pace. Se guardate un dettaglio della superficie solare come ce lo restituiscono i moderni strumenti investigativi ve ne potete rendere conto.

Questa immagine, per esempio.

Acquisita in banda ultravioletta. Le regione più scure hanno temperature dell’ordine delle migliaia di gradi. Ed è già molto. Ma le regioni più chiare hanno temperatura che raggiungono (e superano) il milione di gradi… 

La cosa interessante è che da molti, molti anni, si studia il motivo che deve esserci dietro questo incredibile innalzamento di temperatura superficiale (è il cosiddetto “problema del riscaldamento” della corona solare), eppure non si è ancora capito esattamente perché avvenga questo passaggio dalle migliaia ai milioni di gradi. Certo, si pensa che possa essere legato ai fortissimi campi magnetici che vi sono sulla superficie, campi magnetici che sono anche rapidamente variabili. Ma è corretto dire che non disponiamo ancora di una comprensione completa del fenomeno.

A pensarci bene, è incredibile che perfino il Sole, la stella che indubbiamente conosciamo meglio, abbia ancora tanti segreti da rivelarci. Chissà quando saremo pronti a comprenderli.

La regione più chiara è il gruppo di macchie chiamato AR 9169.

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Stelle

“Scusate un momento, ma quello che state facendo, cosa c’entra con le stelle?”

Da Vita di don Giussani

Ammasso globulare NGC 6388
Dati del Telescopio Spaziale Hubble
Crediti: NASA, ESA, F. Ferraro

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Cuore nelle tenebre

CuoreTenebre

Crediti: NASA/CXC/U.Liege/Y.Nazé et al.

 

E’ una nuvola a forma di cuore: ma è anche – e soprattutto – una immagine ottenuta dall’osservatorio spaziale Chandra, di un giovane ammasso stellare, chiamato NGC 346. Non si trova nella nostra galassia ma nella Piccola Nube di Magellano. Chandra lavora in banda X, ed è lo strumento adatto per rivelare la nuvola di gas caldo, che nelle regioni centrali arriva a circa 8 milioni di gradi.

Diverse evidenze, ottenute anche attraverso l’indagine nel radio, nell’ottico e in banda ultravioletta, suggeriscono che il gas caldo sia il residuo di una supernova esplosa qualche migliaio di anni fa.

C’è un modello alternativo, in realtà.

Potrebbe essere “tutta colpa” della stella HD 5980, contenuta nell’ammasso… una delle stelle più grandi mai rilevata. Vista la sua “imponenza” potrebbe essere stata proprio lei a generare il gas caldo, durante una delle sue “eruzioni” – in maniera non troppo diversa dai fenomeni eruttivi ben noti in stelle di grande massa quali Eta Carinae.

Altre osservazioni si rendono necessarie per dirimere la questione. Fino ad allora, la natura del cuore che batte nelle tenebre, è destinata ad avvilupparsi in un alone di mistero…

Adattato da un articolo su Nasa.gov

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Amore

Bella storia parlare dell’amore, oggi. Impegnativa. Sull’amore si sono scritte milioni di righe, si è detto di tutto, si sono scontrate teorie ed opinioni. Allora piuttosto che parlarne ancora, oggi si può soltanto lasciare uno schizzo, un’impressione.  

Un’ombra di parola, un taglio di luce. 
Un tassello in un mosaico. 

Ecco cosa proviamo, 
qui.

Cos’è che mi fa andare verso l’altro? Perché non mi basto? Come mai l’innamoramento svapora ad un certo momento? Poche chiacchiere: stiamo a ciò che accade. Accade che puoi trascorrere ampi margini di vita quotidiana vicino a tua moglie o tuo marito senza quasi guardare chi hai accanto. E poi d’un tratto, per una parola, una attenzione, una carezza, ti ritrovi dentro quel fatto, il fatto che sei innamorato ancora… 


Cavolo, ti viene da pensare. Proprio quando avevi pensato che ne eri fuori. Che avevi teorizzato che l’amore era roba per giovani. Che sì, certo, ti dispiaceva abbastanza non essere più innamorato, ma almeno avevi capito come vanno le cose.
Invece no, non sei uscito dal gioco. E non ti raccapezzi più (sei contento, ma non ti raccapezzi).
Tutto cospira a pensare che si stia girando attorno ad un mistero. Per chi vive da tanto tempo insieme ad una altra persona, il mistero dell’abbracciare la differenza si fa vivo in tutta la sua ineluttabile luccicanza. 

Nell’amore si fa esperienza di qualcosa di più grande, di un mistero che eccede i due e che si esprime con un sospiro, non certo un sospiro di rassegnazione, ma un sospiro che esprime un anelito. Se non c’è sospiro è inevitabile cadere nella pretesa verso l’altro e nella rabbia per la propria ed altrui inadeguatezza. (Eugenia Scabini, qui e di seguito)

La verità, vi prego, sull’amore. Mai come in questo caso non riesco più a sopportare elucubrazioni e discorsi disancorati – secondo me – dalla semplice verità delle cose. 

Il matrimonio viene spesso contrabbandato come un’armonia magica, mentre è un’impresa che ha in sé un’evidente drammaticità, in cui le differenze sono un dato naturale e ineliminabile. Non serve applicarsi a limarle, come se volessimo cloroformizzare la realtà e, in fondo, negarla.

Questo è il discorso più onesto che potrei fare sull’amore coniugale. Questo è il parlare più spogliato di illusioni e velleità e desideri e più possibile ancorato alla vita reale, così come mi appare davanti agli occhi, ogni giorno. 
Diminuisce, inevitabilmente, la passione più istintuale. Ma di più, più di questo. Svapora l’illusione che la presenza dell’altra persona sia la chiave di interpretazione del cosmo, dell’universo, della vita. Di essere al riparo dall’esigenza di senso, dalla ricerca.
Eppure c’è qualcosa che cresce, dicevamo. Qualcosa che nella fase di innamoramento non si può nemmeno sospettare.
Certo cresce appunto il senso della distanza, del fatto che l’altra persona sia inesplicabilmente diversa da come siamo noi. Sia diversa anche da come la vorremmo, in fondo. 
Ma non è questo, non è questo che mi stupisce, dopo tanti anni di matrimonio. Questo casomai mi fa arrabbiare, disperare, deprimere – quando non lo accetto, quando non lo voglio accettare.
Il che avviene ancora troppo spesso.
Eppure non è questo il punto.
Quello che mi stupisce, quello che cresce e mi stupisce, è notare come tutta questa distanza venga coperta, abbracciata, travalicata. Dall’amore. Succede. Succede ed è una cosa francamente incomprensibile. Cioè, tu vedi questa persona così insanabilmente differente da te che ti vuole bene, e tu capisci anche – con grande costernazione, con commozione e costernazione insieme – che tutte queste differenze non impediscono che tu le voglia bene

Due persone che vivono l’esperienza dell’amore vero “sospirano”, perché attraverso l’altro si affacciano all’infinito, tenendosi per mano si incamminano insieme verso il compimento di entrambi.

E volersi bene attraverso le differenze (non dico sforzarsi di farlo, intendo proprio vedere che accade) scusate ma per me resta un mistero. Un mistero che non censura nulla (la noia, la stanchezza, i risentimenti, tutto quello che volete). L’amore provato e temprato di un matrimonio ha una robusta architettura – un punto di stabilità, anche davanti alle mancanze dell’uomo e della donna, alla loro luminosa e commovente imperfezione – che non ha confronti, nemmeno con quello bellissimo sfavillante dell’innamoramento. Diciamolo, è proprio un mistero.
Un mistero che si va approfondendo e rendendo più presente, ogni giorno che passa. 

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La mia storia con GAIA (intervista)

Eccovi qui una recente intervista che ho rilasciato di recente a Marco Staffolani per Tendopoli, la rivista dell’omonimo movimento. Ringrazio Marco per avermela proposta, è stato bello e divertente prepararla. Trovate l’intervista anche su GruppoLocale.it 😉

Ciao Marco, benvenuto in questa rubrica scientifica del giornale Tendopoli. Descrivici brevemente chi sei, la tua famiglia, il tuo lavoro.

Ciao Marco, sono lieto di fare il mio ingresso nel vostro giornale!

Due parole sul sottoscritto, prima di addentrarci nella scienza? Ebbene, io sono Marco Castellani nato a Roma nel lontano novembre  del 1963. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritto alla facoltà di Fisica presso la (allora neonata) Seconda Università degli Studi di  Roma “Tor Vergata”, dove mi sono laureato nel 1990. Nella stessa università ho conosciuto Paola, una bella ragazza che frequentava  il corso di laurea in Biologia e che poi, nel 1991, sarebbe diventata mia moglie. Ora viviamo sempre a Roma e abbiamo quattro  figli, Claudia, Andrea, Simone e Agnese. Per quanto riguarda il percorso professionale, dopo la laurea ho conseguito il dottorato in Astronomia, e infine sono entrato a tempo indeterminato presso l’Osservatorio Astronomico di Roma, dove ora ricopro il ruolo di  ricercatore.
 
Riguardo le mie passioni, ho sempre avuto un forte interesse per la scrittura creativa: in questi ultimi anni ho scritto diversi racconti e  raccolte di poesie. In particolare un racconto, “La bambina e il quasar” è stato recentemente proposto in una scuola media inferiore, grazie all’entusiasmo di una professoressa di scienze. La cosa è stata per me di  grande soddisfazione, in particolare i commenti degli alunni mi hanno decisamente gratificato. Ho al mio attivo anche un romanzo vero e proprio, “Il ritorno”, il cui nucleo è stato realizzato partecipando al “National Novel Writing Month” del 2009,  un’avventura pazza ed entusiasmante il cui scopo era di scrivere 50.000 parole in un mese. Ce l’ho fatta e ne sono piuttosto fiero! Per questo e altro maggiori informazioni si trovano sul mio sito, www.marcocastellani.it (in particolare, segnalo la sezione “libri“).
 
Immagine artistica del satellite GAIA (Crediti: ESA)
 
Insomma, un astronomo ma non solo! Ma entriamo nell’argomento della rubrica: proprio alla fine dell’anno appena passato, il 19 dicembre, è partita la sonda GAIA, un progetto europeo nel quale l’Italia ha contribuito molto. Questo nome è curioso! può dirci quale è lo scopo di questo missione?
 
 
Certamente! Partirei proprio dal nome: GAIA sta per “Global Astrometric Interferometer for Astrophysics”, è una missione spaziale astrometrica realizzata dall’ESA, l’ente spaziale europeo. In realtà la parte di interferometria è stata da tempo abbandonata in favore di nuove specifiche per il progetto, ma il nome originale è rimasto (a volte noi scienziati siamo pigri, e poi GAIA era molto carino…). E’ un progetto molto grande ed ambizioso, che già da diversi anni coinvolge un gran numero di ricercatori e tecnici che collaborano da diversi paesi europei. In vari sensi si può intendere come la continuazione (enormemente migliorata) del progetto Hipparcos, una prima sonda dedicata all’astrometria (la misura della posizione e delle velocità delle stelle) che – nonostante le limitazioni – ha consentito un deciso passo avanti nella nostra conoscenza della Via Lattea – la grande galassia entro la quale viviamo – della quale sappiamo molto ma ancora molto ci rimane da comprendere.
 
Se pensiamo che GAIA compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle – per le quali avremo misure accurate di posizione e di moto proprio – a fronte di circa 120.000 facenti parte del catalogo finale di Hipparcos, abbiamo un primo sentore del gigantesco balzo in avanti nella conoscenza che promette la missione stessa. Da GAIA ci aspettiamo una vera e propria “mappa” tridimensionale della Galassia, un’opera davvero senza precedenti! Il lancio di GAIA è avvenuto con pieno successo appena prima del Santo Natale dello scorso anno, la mattina del 19 dicembre, dalla Guiana Francese. A bordo di GAIA vi sono due telescopi che hanno il compito di “spazzare” il cielo in maniera ininterrotta, mentre la sonda effettua una particolare orbita intorno ad un punto particolare dello spazio, chiamato “L2”, a circa un milione e mezzo di chilometri da terra. Nel corso dei suoi previsti cinque anni di autonomia, riuscirà a trasmettere a terra i dati di un elevatissimo numero di stelle. Inoltre, per maggiore precisione, ogni stella sarà osservata diverse volte: si pensi che dovremmo avere una media di settanta misurazioni per stella! Questo ci consentirà di raffinare la precisione delle misura a livelli finora impensabili, soprattutto per una quantità così grande di oggetti.
 
Quale è il tuo compito particolare in questa missione?
 
 
Per rispondere in maniera esaustiva, dobbiamo mettere l’occhio, sia pure rapidamente, a come viene concepita ed organizzata una moderna missione spaziale. Perché il progetto possa funzionare senza intoppi, è necessaria una divisione molto particolareggiata dei compiti, e un coordinamento preciso e puntuale tra le persone che lavorano nei diversi ambiti. Così ogni ricercatore si trova ad essere destinato ad una parte molto specifica del progetto, di cui è insieme massimo esperto e diretto responsabile. Il mio compito particolare, insieme con colleghi di Roma e di Teramo, consiste nel produrre e testare il software che si deve occupare di una situazione delicata ma frequente: l’estrazione dei profili stellari (ricostruire la “forma” delle stelle) dai dati, nel caso in cui le stelle risultino parzialmente sovrapposte sul rivelatore. Ci si aspetta che questo accada con grande frequenza, visto l’affollamento stellare della nostra Via Lattea (in particolare in zone come gli ammassi globulari, condensazioni di anche un milione di stelle in configurazioni a simmetria sferica, decisamente “impacchettate”).  La sfida è stata tutt’altro che banale, perché abbiamo dovuto soddisfare i requisiti di precisione con quelli imposti dal coordinamento, di velocità di esecuzione e di interfacciamento con le altre procedure. Il compito non era facile, ma pensiamo di essere riusciti a fare la nostra parte. Ora speriamo che GAIA… faccia la sua, e che – completate le operazioni tecniche di verifica – ci mandi a Terra i dati che tanto attendiamo!
 

GAIA potrà trovare anche pianeti in altri sistemi solari. Credi che ci sia vita nell’universo? in caso come te la immagini?

GAIA potrà certo trovare pianeti all’esterno del nostro Sistema Solare: al termine della missione, intorno al 2018, ci si aspetta un numero di circa 8000 pianeti rilevati, che non è affatto poco! Purtroppo per le caratteristiche del satellite, e per la difficoltà intrinseca di tale ricerca, non saremo in grado di dire se in alcuni di essi vi sia o vi sia stata la vita, comunque sarà un grande passo avanti per stimare la probabilità delle configurazioni planetarie più adatte alla vita. Come scienziato che si attiene ai dati, devo dire che finora non abbiamo nessun indizio di forme di vita intelligente oltre il nostro, nell’Universo. E’ vero che la vastità dell’universo fa ritenere a molti implausibile l’idea che la vita come la conosciamo si sia sviluppata solo sulla Terra. Tuttavia non sono ancora del tutto chiare le probabilità dei vari fenomeni che darebbero origine alla vita, e la stessa origine della vita rimane un mistero. In tale situazione, considerazioni filosofiche e metafisiche possono portare un ricercatore a ritenersi, in cuor suo, certo della diffusione della vita, e un altro a ritenere che la Terra possa essere il solo pianeta che la ospita. Se comunque vi fosse, non me la immaginerei molto diversa dalla nostra: dopotutto, gli elementi “base” per la costruzione delle forme di vita sono uguali in tutto l’universo, e anche i meccanismi biologici e chimici che la governano.

Marco in questa rubrica trattiamo di scienza ma anche di fede. La fede e la scienza hanno avuto nel corso dei secoli un rapporto dialettico. La domanda sorge spontanea: tu come vivi fede nel tuo ambiente di lavoro?
 
 
Ritengo che vivere la fede nell’ambiente di lavoro di uno scienziato non sia troppo diverso da quanto può capitare ad un qualsiasi credente in un diverso ambito lavorativo, sai come sfida che come possibilità. Tra gli astronomi (il campo dove posso più propriamente esprimermi, per la mia esperienza) si rintracciano difatti tutte le possibili posizioni dell’animo umano davanti alle sfida e alla portata della fede. Da chi non crede a chi è agnostico a chi è devoto e praticante, si possono incontrare scienziati  – anche di valore – che si fanno espressione di ognuno di questi atteggiamenti. Visto il momento storico, in ogni caso, mi pare che la sfida del cristiano sia di rendere ragione della sua speranza in un ambiente che, comunque, è ampiamente secolarizzato. La mia esperienza è che l’adesione alla fede renda più vivo e creativo anche il lavoro scientifico: Cristo non può non entrare in tutti gli ambiti! Vorrei citare al proposito un brano di Don Luigi Giussani, che intuì bene questa cosa già nella sua giovinezza “Una sera d’inverno in seminario, dopo cena (…), Enrico Manfredini insieme ad un altro nostro compagno, De Ponti (…), mi viene vicino e mi dice: «Senti, se Cristo è tutto, che cosa c’entra con la matematica?». Non avevamo ancora sedici anni. Da quella domanda, per la mia vita nacque tutto. Quella domanda convogliò ad iniziativa organica tutto quanto, di pensiero, di sentimento, di operosità, la mia vita sarebbe stata capace di dare.” (da “Tracce“, marzo 2005.)
 
 
Si sente spesso dire che l’Italia è una patria di cervelli in fuga. Che in Italia non c’è spazio per chi vuole fare ricerca. Tu come vedi questa situazione italiana? 
 
 
Oggettivamente la situazione italiana dal punto della tutela e promozione di chi fa scienza o studia per farla, può sembrare sconfortante. E’ un dato di fatto che anche giovani di grande capacità sono costretti – per lunghi periodi o addirittura per la vita – a uscire dai nostri confini per trovare un posto di lavoro confacente alle loro abilità.  D’altra parte è la società contemporanea che comunque premia le persone elastiche e disponibili anche a dei sacrifici, per cui non è così difficile che una persona di buona volontà e di buona applicazione possa comunque trovare una sua strada, anche se comunque deve mettere in conto di passare dei periodi all’estero. Da questo punto di vista, la situazione sembrava migliore nel passato, e la crisi dalla quale stiamo tentando di uscire non ci ha certo giovato. Nonostante tutto l’Italia continua a sfornare scienziati di eccellenza e siamo presenti in tanti progetti importanti (non ultimo certo il caso di GAIA, che ha una presenza italiana importante). La speranza è che tutto questo ci aiuti a sollevarci, a ripartire con rinnovato entusiasmo, e soprattutto a dare più speranze anche ai giovani che scelgono di laurearsi in materie scientifiche.
 
 
Molti giovani leggono questa rubrica. Che suggerimento daresti loro riguardo al futuro? 
 
 
E’ una domanda delicatissima. Il suggerimento che mi sento di dare, in questo periodo di generale crisi che si esprime anche nel mondo del lavoro, è di mettersi in ascolto della propria interiorità, per capire il percorso al quale si è chiamati. Il criterio di scegliere un percorso di studi che “garantisca” il lavoro non è più un criterio valido, perché l’incertezza ormai raggiunge più o meno tutti gli ambiti. E’ piuttosto il momento di avere il coraggio di seguire la propria vocazione, fare silenzio dentro di sé e capire cosa veramente siamo “chiamati” a fare, per servire il Mistero e per servire, con la nostra opera, i nostri fratelli uomini. Sia che si faccia il lavapiatti, che si scriva, o che si indaghi l’universo primordiale; cosa che che dal punto di vista della dignità umana non fa assolutamente alcuna differenza.
 
 
Beh eccoci giunti alle battute finali. Marco, nella precedente puntata abbiamo parlato della cometa ISON. Come i lettori stessi avranno constatato nella notte di Natale non si è vista nessuna cometa nel cielo, segno evidente che la cometa non è riuscita a passare indenne il suo giro intorno al Sole che è avvenuto verso la fine di novembre 2013. Sarebbe stato sicuramente un bellissimo spettacolo! Ma se la cometa ci ha deluso, non è questa il solo astro che c’è in cielo. Penso di smuovere bellissimi ricordi tra i tanti tendopolisti facendoli ripensare allo spettacolo del cielo estivo sotto al gran Sasso: infatti l’esperienza comune per ognuno di noi guardando il cielo e le stelle, penso sia quella di percepire qualcosa che va oltre noi stessi. E per te? Che sensazione ti da guardare il cielo?
 
 
E’ proprio vero, ammirare il cielo è una esperienza affascinante. Il fatto che la cometa in larga parte sia stata purtroppo distrutta, non ci deve distogliere dall’esperienza incredibile che tutti dovremmo fare, almeno ogni tanto: rimettersi di fronte ad un cielo buio, magari lontano dalla città… per capire che, in realtà,tutto è, tranne che buio! Lo spettacolo della moltitudine di stelle, della fascia della Via Lattea, è qualcosa che fuor di retorica può essere solo provato, non certo descritto. Personalmente, rimirando la volta stellata, avverto un dolce senso di pace, e capisco che il creato è immensamente più ampio ed esteso di quello che di giorno avverto come “il mondo”. A differenza di altri, forse, non mi sento “perso” davanti all’immensità, piuttosto mi sento a casa. E’ meraviglioso pensare che Dio abbia creato tutto questo per noi… per me. Dal punto di vista umano, è una fantastica sfida alla logica di chi va “al risparmio”, negli affetti, nelle amicizie, nel dono di sé, nel “vivere intensamente il reale” (Giussani). E’ un Dio dell’abbondanza, quello che ha creato tutto questo, mi dico. E spero che il mio cuore spesso “in lotta” si apra definitivamente alla Sua più bella abbondanza, l’abbondanza della Sua misericordia e del Suo amore.
 

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Intervista: La sonda GAIA e Marco Castellani

Eccovi qui una recente intervista che ho rilasciato di recente a Marco Staffolani per Tendopoli, la rivista dell’omonimo movimento. Ringrazio Marco per avermela proposta, è stato bello e divertente prepararla 😉

Ciao Marco, benvenuto in questa rubrica scientifica del giornale Tendopoli. Descrivici brevemente chi sei, la tua famiglia, il tuo lavoro.

Ciao Marco, sono lieto di fare il mio ingresso nel vostro giornale! 

Due parole sul sottoscritto, prima di addentrarci nella scienza? Ebbene, io sono Marco Castellani nato a Roma nel lontano novembre  del 1963. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritto alla facoltà di Fisica presso la (allora neonata) Seconda Università degli Studi di  Roma “Tor Vergata”, dove mi sono laureato nel 1990. Nella stessa università ho conosciuto Paola, una bella ragazza che frequentava  il corso di laurea in Biologia e che poi, nel 1991, sarebbe diventata mia moglie. Ora viviamo sempre a Roma e abbiamo quattro  figli, Claudia, Andrea, Simone e Agnese. Per quanto riguarda il percorso professionale, dopo la laurea ho conseguito il dottorato in Astronomia, e infine sono entrato a tempo indeterminato presso l’Osservatorio Astronomico di Roma, dove ora ricopro il ruolo di  ricercatore.
 
Riguardo le mie passioni, ho sempre avuto un forte interesse per la scrittura creativa: in questi ultimi anni ho scritto diversi racconti e  raccolte di poesie. In particolare un racconto, “La bambina e il quasar” è stato recentemente proposto in una scuola media inferiore, grazie all’entusiasmo di una professoressa di scienze. La cosa è stata per me di  grande soddisfazione, in particolare i commenti degli alunni mi hanno decisamente gratificato. Ho al mio attivo anche un romanzo vero e proprio, “Il ritorno”, il cui nucleo è stato realizzato partecipando al “National Novel Writing Month” del 2009,  un’avventura pazza ed entusiasmante il cui scopo era di scrivere 50.000 parole in un mese. Ce l’ho fatta e ne sono piuttosto fiero! Per questo e altro maggiori informazioni si trovano sul mio sito, www.marcocastellani.it (in particolare, segnalo la sezione “libri“).
 

Satellite gaia esa

Immagine artistica del satellite GAIA (Crediti: ESA)


Insomma, un astronomo ma non solo! Ma entriamo nell’argomento della rubrica: proprio alla fine dell’anno appena passato, il 19 dicembre, è partita la sonda GAIA, un progetto europeo nel quale l’Italia ha contribuito molto. Questo nome è curioso! può dirci quale è lo scopo di questo missione?
 
Certamente! Partirei proprio dal nome: GAIA sta per “Global Astrometric Interferometer for Astrophysics”, è una missione spaziale astrometrica realizzata dall’ESA, l’ente spaziale europeo. In realtà la parte di interferometria è stata da tempo abbandonata in favore di nuove specifiche per il progetto, ma il nome originale è rimasto (a volte noi scienziati siamo pigri, e poi GAIA era molto carino…). E’ un progetto molto grande ed ambizioso, che già da diversi anni coinvolge un gran numero di ricercatori e tecnici che collaborano da diversi paesi europei. In vari sensi si può intendere come la continuazione (enormemente migliorata) del progetto Hipparcos, una prima sonda dedicata all’astrometria (la misura della posizione e delle velocità delle stelle) che – nonostante le limitazioni – ha consentito un deciso passo avanti nella nostra conoscenza della Via Lattea – la grande galassia entro la quale viviamo – della quale sappiamo molto ma ancora molto ci rimane da comprendere.
 
Se pensiamo che GAIA compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle – per le quali avremo misure accurate di posizione e di moto proprio – a fronte di circa 120.000 facenti parte del catalogo finale di Hipparcos, abbiamo un primo sentore del gigantesco balzo in avanti nella conoscenza che promette la missione stessa. Da GAIA ci aspettiamo una vera e propria “mappa” tridimensionale della Galassia, un’opera davvero senza precedenti! Il lancio di GAIA è avvenuto con pieno successo appena prima del Santo Natale dello scorso anno, la mattina del 19 dicembre, dalla Guiana Francese. A bordo di GAIA vi sono due telescopi che hanno il compito di “spazzare” il cielo in maniera ininterrotta, mentre la sonda effettua una particolare orbita intorno ad un punto particolare dello spazio, chiamato “L2”, a circa un milione e mezzo di chilometri da terra. Nel corso dei suoi previsti cinque anni di autonomia, riuscirà a trasmettere a terra i dati di un elevatissimo numero di stelle. Inoltre, per maggiore precisione, ogni stella sarà osservata diverse volte: si pensi che dovremmo avere una media di settanta misurazioni per stella! Questo ci consentirà di raffinare la precisione delle misura a livelli finora impensabili, soprattutto per una quantità così grande di oggetti.
 
Quale è il tuo compito particolare in questa missione?

Per rispondere in maniera esaustiva, dobbiamo mettere l’occhio, sia pure rapidamente, a come viene concepita ed organizzata una moderna missione spaziale. Perché il progetto possa funzionare senza intoppi, è necessaria una divisione molto particolareggiata dei compiti, e un coordinamento preciso e puntuale tra le persone che lavorano nei diversi ambiti. Così ogni ricercatore si trova ad essere destinato ad una parte molto specifica del progetto, di cui è insieme massimo esperto e diretto responsabile. Il mio compito particolare, insieme con colleghi di Roma e di Teramo, consiste nel produrre e testare il software che si deve occupare di una situazione delicata ma frequente: l’estrazione dei profili stellari (ricostruire la “forma” delle stelle) dai dati, nel caso in cui le stelle risultino parzialmente sovrapposte sul rivelatore. Ci si aspetta che questo accada con grande frequenza, visto l’affollamento stellare della nostra Via Lattea (in particolare in zone come gli ammassi globulari, condensazioni di anche un milione di stelle in configurazioni a simmetria sferica, decisamente “impacchettate”).  La sfida è stata tutt’altro che banale, perché abbiamo dovuto soddisfare i requisiti di precisione con quelli imposti dal coordinamento, di velocità di esecuzione e di interfacciamento con le altre procedure. Il compito non era facile, ma pensiamo di essere riusciti a fare la nostra parte. Ora speriamo che GAIA… faccia la sua, e che – completate le operazioni tecniche di verifica – ci mandi a Terra i dati che tanto attendiamo!
 

GAIA potrà trovare anche pianeti in altri sistemi solari. Credi che ci sia vita nell’universo? in caso come te la immagini?

GAIA potrà certo trovare pianeti all’esterno del nostro Sistema Solare: al termine della missione, intorno al 2018, ci si aspetta un numero di circa 8000 pianeti rilevati, che non è affatto poco! Purtroppo per le caratteristiche del satellite, e per la difficoltà intrinseca di tale ricerca, non saremo in grado di dire se in alcuni di essi vi sia o vi sia stata la vita, comunque sarà un grande passo avanti per stimare la probabilità delle configurazioni planetarie più adatte alla vita. Come scienziato che si attiene ai dati, devo dire che finora non abbiamo nessun indizio di forme di vita intelligente oltre il nostro, nell’Universo. E’ vero che la vastità dell’universo fa ritenere a molti implausibile l’idea che la vita come la conosciamo si sia sviluppata solo sulla Terra. Tuttavia non sono ancora del tutto chiare le probabilità dei vari fenomeni che darebbero origine alla vita, e la stessa origine della vita rimane un mistero. In tale situazione, considerazioni filosofiche e metafisiche possono portare un ricercatore a ritenersi, in cuor suo, certo della diffusione della vita, e un altro a ritenere che la Terra possa essere il solo pianeta che la ospita. Se comunque vi fosse, non me la immaginerei molto diversa dalla nostra: dopotutto, gli elementi “base” per la costruzione delle forme di vita sono uguali in tutto l’universo, e anche i meccanismi biologici e chimici che la governano.

Marco in questa rubrica trattiamo di scienza ma anche di fede. La fede e la scienza hanno avuto nel corso dei secoli un rapporto dialettico. La domanda sorge spontanea: tu come vivi fede nel tuo ambiente di lavoro?
 
Ritengo che vivere la fede nell’ambiente di lavoro di uno scienziato non sia troppo diverso da quanto può capitare ad un qualsiasi credente in un diverso ambito lavorativo, sai come sfida che come possibilità. Tra gli astronomi (il campo dove posso più propriamente esprimermi, per la mia esperienza) si rintracciano difatti tutte le possibili posizioni dell’animo umano davanti alle sfida e alla portata della fede. Da chi non crede a chi è agnostico a chi è devoto e praticante, si possono incontrare scienziati  – anche di valore – che si fanno espressione di ognuno di questi atteggiamenti. Visto il momento storico, in ogni caso, mi pare che la sfida del cristiano sia di rendere ragione della sua speranza in un ambiente che, comunque, è ampiamente secolarizzato. La mia esperienza è che l’adesione alla fede renda più vivo e creativo anche il lavoro scientifico: Cristo non può non entrare in tutti gli ambiti! Vorrei citare al proposito un brano di Don Luigi Giussani, che intuì bene questa cosa già nella sua giovinezza “Una sera d’inverno in seminario, dopo cena (…), Enrico Manfredini insieme ad un altro nostro compagno, De Ponti (…), mi viene vicino e mi dice: «Senti, se Cristo è tutto, che cosa c’entra con la matematica?». Non avevamo ancora sedici anni. Da quella domanda, per la mia vita nacque tutto. Quella domanda convogliò ad iniziativa organica tutto quanto, di pensiero, di sentimento, di operosità, la mia vita sarebbe stata capace di dare.” (da “Tracce“, marzo 2005.)
 
Si sente spesso dire che l’Italia è una patria di cervelli in fuga. Che in Italia non c’è spazio per chi vuole fare ricerca. Tu come vedi questa situazione italiana? 
 
Oggettivamente la situazione italiana dal punto della tutela e promozione di chi fa scienza o studia per farla, può sembrare sconfortante. E’ un dato di fatto che anche giovani di grande capacità sono costretti – per lunghi periodi o addirittura per la vita – a uscire dai nostri confini per trovare un posto di lavoro confacente alle loro abilità.  D’altra parte è la società contemporanea che comunque premia le persone elastiche e disponibili anche a dei sacrifici, per cui non è così difficile che una persona di buona volontà e di buona applicazione possa comunque trovare una sua strada, anche se comunque deve mettere in conto di passare dei periodi all’estero. Da questo punto di vista, la situazione sembrava migliore nel passato, e la crisi dalla quale stiamo tentando di uscire non ci ha certo giovato. Nonostante tutto l’Italia continua a sfornare scienziati di eccellenza e siamo presenti in tanti progetti importanti (non ultimo certo il caso di GAIA, che ha una presenza italiana importante). La speranza è che tutto questo ci aiuti a sollevarci, a ripartire con rinnovato entusiasmo, e soprattutto a dare più speranze anche ai giovani che scelgono di laurearsi in materie scientifiche.
 
Molti giovani leggono questa rubrica. Che suggerimento daresti loro riguardo al futuro? 
 
E’ una domanda delicatissima. Il suggerimento che mi sento di dare, in questo periodo di generale crisi che si esprime anche nel mondo del lavoro, è di mettersi in ascolto della propria interiorità, per capire il percorso al quale si è chiamati. Il criterio di scegliere un percorso di studi che “garantisca” il lavoro non è più un criterio valido, perché l’incertezza ormai raggiunge più o meno tutti gli ambiti. E’ piuttosto il momento di avere il coraggio di seguire la propria vocazione, fare silenzio dentro di sé e capire cosa veramente siamo “chiamati” a fare, per servire il Mistero e per servire, con la nostra opera, i nostri fratelli uomini. Sia che si faccia il lavapiatti, che si scriva, o che si indaghi l’universo primordiale; cosa che che dal punto di vista della dignità umana non fa assolutamente alcuna differenza. 
 
Beh eccoci giunti alle battute finali. Marco, nella precedente puntata abbiamo parlato della cometa ISON. Come i lettori stessi avranno constatato nella notte di Natale non si è vista nessuna cometa nel cielo, segno evidente che la cometa non è riuscita a passare indenne il suo giro intorno al Sole che è avvenuto verso la fine di novembre 2013. Sarebbe stato sicuramente un bellissimo spettacolo! Ma se la cometa ci ha deluso, non è questa il solo astro che c’è in cielo. Penso di smuovere bellissimi ricordi tra i tanti tendopolisti facendoli ripensare allo spettacolo del cielo estivo sotto al gran Sasso: infatti l’esperienza comune per ognuno di noi guardando il cielo e le stelle, penso sia quella di percepire qualcosa che va oltre noi stessi. E per te? Che sensazione ti da guardare il cielo?
 
E’ proprio vero, ammirare il cielo è una esperienza affascinante. Il fatto che la cometa in larga parte sia stata purtroppo distrutta, non ci deve distogliere dall’esperienza incredibile che tutti dovremmo fare, almeno ogni tanto: rimettersi di fronte ad un cielo buio, magari lontano dalla città… per capire che, in realtà,tutto è, tranne che buio! Lo spettacolo della moltitudine di stelle, della fascia della Via Lattea, è qualcosa che fuor di retorica può essere solo provato, non certo descritto. Personalmente, rimirando la volta stellata, avverto un dolce senso di pace, e capisco che il creato è immensamente più ampio ed esteso di quello che di giorno avverto come “il mondo”. A differenza di altri, forse, non mi sento “perso” davanti all’immensità, piuttosto mi sento a casa. E’ meraviglioso pensare che Dio abbia creato tutto questo per noi… per me. Dal punto di vista umano, è una fantastica sfida alla logica di chi va “al risparmio”, negli affetti, nelle amicizie, nel dono di sé, nel “vivere intensamente il reale” (Giussani). E’ un Dio dell’abbondanza, quello che ha creato tutto questo, mi dico. E spero che il mio cuore spesso “in lotta” si apra definitivamente alla Sua più bella abbondanza, l’abbondanza della Sua misericordia e del Suo amore.
 

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Mattino

Lo sappiamo tutti, in fondo. Il punto di scelta, il perno che decide del senso di rotazione della giornata, è posto proprio all’inizio. E’ il mattino.

...improvvisamente mi sono accorta che il mattino presto era stupendo; c’era quell’aria fresca, pulita, e soprattutto la percezione della preziosità dell’inizio, perché nell’inizio c’è la percezione del divino, nell’inizio c’è il divino, l’inizio è gesto del Mistero, è gesto del divino.

Adriana Mascagni (da Tracce, Ottobre 1999)

Il canto di Adriana che mi torna ogni tanto alla mente, parla proprio del mattino.. 

Al mattino, Signore, al mattino

la mia anfora e vuota alla fonte

e nell’aria che vibra e traspare

so che puoi farmi grande, Signore

Morgenstimmung 194983 1280

 E’ bellissimo e per me molto istruttivo rilevare le diverse posizioni umane rispetto ad un inizio, al più semplice e quotidiano degli inizi, quello del giorno. Seguo ancora il canto di Adriana perché capisco che mi sta dicendo qualcosa, suggerisce una posizione umana che mi pare degnissima di attenzione…

E le ore del giorno, al mattino

di tua gloria son tenera argilla.

Uno è l’alveo del mio desiderio:

che io ti veda, ed è questo il mattino

Questa chiarezza di sentire non è sempre immediata. Troppi strati di pensiero si interpongono, rendono torbida l’interfaccia con il mondo esterno. Eppure riconosco che è il punto importante, il punto al quale voglio tendere. La direzione verso la quale guardare. Certo spesso mi sento diverso, mi sento fin troppo moderno, se così vogliamo dire. Quel sentimento opaco, quella strana disaffezione verso la propria vita e verso se stessi, a volte rischia quasi di atterrarmi…

When you wake in the morning,

Wake and find you’re covered in cellophane.

(Genesis, Abacab)

Quando ti svegli la mattina / ti svegli e si scopri avvolto nel cellophane. Allora è questo: a volte c’è come una membrana tra me e le cose, tra me e le persone, tra me e i sentimenti. Il primo compito, il lavoro necessario, è prenderne atto, pazientemente. E poi, provare a intaccare, spezzettare il diaframma, superare la membrana, ritornare a toccare. A toccare le cose, ad abbracciare le persone. Ad entrare in contatto anche con i sentimenti. E’ un lavoro che può iniziare dal mattino e prolungarsi poi nell’arco della giornata. Un lavoro che fa più bella la giornata stessa. 

Se accolgo questo lavoro, il lavoro, tutto si fa più bello. All’Essere, basta sapere che sto lavorando. Non Gli importa molto se riesco o se fallisco, ma quello che guarda è il mio atteggiamento, questo supremo punto della libertà. Così intimo e… cruciale.

And in the morning, will you still feel 

the same? How’re you gonna 

stop yourself from going 

insane, with glowing children 

and a barrel of pain? I don’t 

want to hear it no more, no more.

Graham Nash, Barrel of Pain (Half Life)

Ed al mattino, si senti ancora lo stesso? Con bimbi irrequieti e un il tuo serbatoio di dolore… Si potrebbe lavorare tanto su temi come questo, mi dico. Scriverci dei racconti. Provo ad immaginare, ad inventare un inizio, così per gioco…

Sonia si svegliò presto quel mattino, il pianto del piccolo Luca nella camera attigua la strappò da un sogno buffo e pesante. Ci mise qualche secondo per ricaricare in memoria la situazione. Quella manciata di secondi in cui sperò – ebbe il tempo di sperare – che fosse andata in un modo diverso. Sperò che il confine tra i sogni e il reale fosse in un posto diverso da dove sembrava che fosse. Che qualche pezzo sgradevole di realtà fosse soltanto un sogno. Ma durò un attimo soltanto e l’altro lato del letto era lì per dimostrare che non era un sogno. C’era stato, Davide, c’era stato. E ora non c’era. Il dolore e la rabbia ci misero un attimo, scesero dal cervello al cuore e subito dopo a stringerle la pancia. Ecco il serbatoio del dolore che esplodeva. Andato. L’unico regalo che le restava, un graffio sul seno sinistro. Ma ora doveva alzarsi. C’era qualcuno che aveva fame. Qualcuno che avrebbe avuto davvero bisogno del suo seno, che ne avrebbe fatto un uso certamente migliore…

Certo. Ci vuole fatica, a volte, per mantenere l’apertura. Il pensiero rinunciatario è lì ad aspettarti, ad un livello energetico più basso. Ci puoi arrivare facilmente, ma è energia degradata, ha meno capacità di produrre lavoro (te lo dice anche le termodinamica). L’apertura a volte è uno strappo nel cuore, uno strappo anche su tutte le valutazioni che hai di te stesso o della situazione in cui sei.

Perché il mattino è sempre e comunque il regno dell’eterna possibilità. 

Al Mistero piace sfidarci costantemente «in questo mondo reale», senza tentennare nelle cose che fa! Per questo Dio sceglie quelle circostanze che possono mettere di più davanti ai nostri occhi chi è Lui e quale straordinaria novità può generare nel mondo. E questo dovrebbe rallegrare ciascuno di noi, perché significa che allora non c’è situazione, momento della vita o storia che possa impedire a Dio di generare qualcosa di nuovo. (Julian Carron)

Ecco, generare qualcosa di nuovo. Così il mattino recupera costantemente ed instancabilmente la bellezza di un nuovo inizio. Un po’ come diceva acutamente Pavese, 

L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante.

  Nel mattino vi è l’eterna gloria del riprendere: tutto è fresco ed intatto, come nello stupendo brano di Grieg. L’universo attende la nostra scelta, riparte da zero docile alla nostra disposizione interiore. Ed è questo che rende il gioco interessante… 

Nessun giorno è uguale all’altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle.

Paulo Coelho

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