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Crediti: Marina Salomone su Flickr |
Era la mattina del ventiquattro e Alessandro non aveva risorse diverse dal guardare il tempo fluire via, senza poter intervenire… (leggi tutto il racconto)
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Crediti: Marina Salomone su Flickr |
Ora ho un “romanzo breve” chiamato “Il Ritorno”, di circa 50.300 parole; non avevo mai tentato di scrivere nulla di così esteso, grazie al NaNoWriMo finalmente sono riuscito a dribblare il mio implacabile editor interno che tante volte mi aveva fermato, e andare dritto – con un paio di momenti di crisi in cui il progetto effettivamente è stato “a rischio” – fino alla volata finale di oggi pomeriggio.
Ora ci vorrà senz’altro un esteso e paziente editing. Ma la cosa è andata, l’obiettivo è raggiunto. Ho scritto un piccolo romanzo! Non so da quanto l’ho volevo fare!
Devo sinceramente ringraziare mia moglie Paola, che durante questo periodo mi ha più che sopportato: mi ha incitato e incoraggiato e punzecchiato affinché non lasciassi perdere. Ogni giorno mi chiedeva quanto avevo scritto, ogni giorno mi incitava a continuare. Addirittura (e avendo quattro pargoli non è banale) aveva cura che io avessi tempo e tranquillità per scrivere. Mi sono chiesto più volte come mai., nel corso di questo mese. Perché teneva a questo concorso, in maniera particolare? Non credo. Piuttosto, credo che abbia a cuore che io riconosca e segua le mie inclinazioni e le mie attitudini, tra le quali scrivere é senz’altro una delle importanti, come capisco più chiaramente in questo specifico periodo.. Questo a parer mio, senza tanti giri di parole, è un reale segno di amore, per il quale le sono grato.
Anche i miei figli (e specialmente Simone) si sono a vario titolo interessati, e talvolta mi hanno spronato.
Sono contento di essere riuscito ad arrivare fino in fondo e scrivere la mia novella, superando i momenti di dubbio e di indecisione. E’ realmente buffo, ma ho scoperto che a volte puntare a “scrivere e basta” nonostante tutti i dubbi, alla fine paga. Alla fine imbrocchi due o tre frasi in qualche pagina, e sei proprio contento. Quelle due o tre frasi ti fanno sentire in pace, contento di essere riuscito a scriverle finalmente come le volevi. Fosse solo questo, già sarebbe un ottimo motivo per scrivere 50.000 parole, o anche di più.
Poi ancora, il fatto di scrivere mette in moto dinamiche interessanti, ti porta a pensare, a lavorare sui personaggi, a ricercare correlazioni tra i caratteri, le vicende, ad avere fiducia in una storia. Avere fiducia in una storia è bello perché, mi sembra, non possa essere svincolato da avere un atteggiamento positivo verso l’esistenza… Bene, potrei andare a scrivere ancora (evidentemente oggi non mi è bastata la mia quota di parole del NaNoWriMo!), ma non vorrei vincere anche il concorso, se c’è, di post più lungo. 🙂
Scrivere è un’avventura che mi piace (oserei dire anzi che mi appare quasi necessaria). Credo che proseguirò.
Un piccolo racconto, sì come si fosse bambino 😉
E’ giorno di scuola domani? Sì ancora giorno di scuola. Ecco perchè mamma ci manda a letto presto. Io un pò speravo fosse venerdì, che mamma e papà ci fanno rimanere più alzati. Meglio ancora quando viene papà dal lavoro e dice a mamma e a noi se andiamo a prendere la pizza. Ogni tanto mamma dice che lei ha già preparato, ma poi io so che se insistiamo un pò lei dice sempre “va bene, la roba pronta ce la mangeremo magari domani” e dice di sì e allora andiamo.
Sono contento che oggi siamo andati al parco. Lo so che magari avrei dovuto ripassare la poesia, ma si stava tanto bene a giocare fuori, magari me la ripasso un pò domattina. Meno male che papà l’altro giorno si è deciso a rimettermi a posto la bicicletta. Mi sa che ho fatto bene a chiederglielo quel giorno che era tornato prima dal lavoro, mi sa che allora non era tanto stanco.
Carla si alzava presto la mattina, in quei giorni. Soprattutto in quei giorni, per avere il tempo per capire, per pensare, per ascoltare il silenzio del parco. A ventitré anni appena compiuti, nella casa in cui abitava da sola: la casa che dava sopra il parco, la sua casa nuova.
Carla aveva degli occhi di un azzurro profondo, limpido. Capelli biondi appena un poco mossi, mani lunghe e dita affusolate, e un sorriso docile, un’attenzione viva sulle cose. Pur essendo bella, non lo faceva pesare, anzi molte volte non sembrava esserne davvero cosciente. Nelle conversazioni tra amici, in università, aveva un modo particolare di rischiarare il volto in ampi sorrisi, come piccole gemme che brillavano per un momento, e subito dopo, come per naturale timidezza, si ritirassero. Quei suoi modi delicati e leggeri, avevano incantato Tommaso, fin dalla prima volta che l’aveva vista….
Leggi qui il racconto completo (…se vuoi!)
Sì sì, è così. Mi piace raccontare favole, mi piace inventarle su due piedi, quando mi viene chiesto; mi diverte, partire da una ideuzza minima minima che mi viene in mente all’istante, e da quella ragionare per allargare pian piano la situazione, aggiungendo personaggi, situazioni, idee… Mi piace e mi gratifica moltissimo la faccia attenta che fa la piccola Agnese, che si ricorda poi nomi, situazioni, ambienti che magari invento lì lì e tendo a scordarmi pure io…
Allora ieri accompagnandola all’entrata di scuola abbiamo parlato del Gufo Tartufo, un gufetto tanto simpatico ma che aveva purtroppo paura del buio. Il guaio è che essendo gufo doveva rimanere sveglio la notte, e gli amici gufi gli facevano gli scherzi, approfittando del suo timore dell’oscurità: soprattutto (questi puzzoni…) lo prendevano in giro perchè teneva vicino a lui una piccola lucetta, di quelle colorate per i bimbi. Ma lui, consultata la mamma, gli ha poi reso “pan per focaccia” inventando degli scherzi innocenti per gli altri gufi, che però ci sono cascati con tutti i piedi (o forse le zampe, dovrei dire) e dunque hanno cominciato loro ad aver timore del buio (e Tartufo che se la rideva sotto i baffi…) !
Oggi abbiamo aperto “il filone” del coniglio Pippi; amico di Gufo Tartufo: il problema è che hanno poco tempo per vedersi, perchè uno dorme di giorno, l’altro di notte. Ma alla sera – uno si è appena alzato l’altro sta per andare a nanna – fanno comunque in tempo per una partita di Rubamazzo… (Tartufo ha insegnato a Pippi, per la cronaca). Domani…? Ormai siamo d’accordo che Agnese, prima di entrare a scuola, fissa l’argomento e il nome per la puntata successiva: oggi mi ha detto che dovremo parlare della Tigre Mimmi… tocca farsi venire in mente qualcosa entro domattina ! 😉
Il bello è proprio, in questo, la qualità dell’attenzione che ci mette Agnese; e che buffo due persone di età, attività, relazioni, progetti, così diverse, che si divertono.. tutte e due con delle piccole favolette! Stamattina abbiamo pensato allo stesso momento, la stessa cosa; ad un certo punto lei mi ha detto qualcosa del tipo “Papà, ma perchè non facciamo che ogni volta aggiungiamo un personaggio dentro la stessa favola, senza cominciarne una nuova…” (ed è quello che stavo pensando io, stavo proprio giocando con l’idea di ampliare lo scenario pian piano, aggiungendo personaggi e mettendoli in relazione tra loro…)
Devo dirlo… ora ho un pò timore di quando non servirà più raccontare favole, di quando non ci saranno due occhioni aperti spalancati desiderosi di ascoltare le piccole storie del bosco, che inventa il papà, ma giustamente sarà attratta e interessata ad altre cose, più mature, più complesse. Ma forse la mia immaginazione ora è puntata sul momento attuale, e non sa ancora quali forme e qualità di interazione tra papà e figli potremo inventare; infatti non c’e’ niente di ordinario e scontato quanto uno prova – nonostante la stanchezza, le preoccupazioni, le distrazioni, i diecimila limiti che si possono avere – a vivere con partecipazione il proprio ruolo all’interno della famiglia, quella famiglia con la quale cammina, nella vita…
Ogni volta che riprovo a lavorare sui miei piccoli racconti, scopro delle cose interessanti: cioè, da non addetto ai lavori, da “scrittore” (ma dovrei piuttosto dire “artigiano apprendista”) dilettante, tocco con mano ancora il diverso aspetto “compositivo” della prosa rispetto alla poesia; o almeno così mi pare.
La poesia è più immediata, cerca di catturare una sensazione, uno stato d’animo. E’ più aderente al soggetto che scrive: non vi sono finzioni. C’e’ bisogno di lavoro di rifinitura e limatura, ma attorno ad un nucleo che la singola poesia “definisce” nel momento della sua creazione, della sua prima stesura.
A me pare invece differente il caso per la prosa: e mi pare differente non in astratto, ma “passandoci dentro”. Mi meraviglia sempre che le regole di un corretto approccio con qualcosa, come lo scrivere, vengano spesso suggerite, anzi quasi imposte, dall’oggetto stesso: se il metodo non è corretto hai voglia a sbatterci il muso (qualcosa di simile la diceva Don Luigi Giussani anni fa, e forse non sapevo allora quanto fosse vero) ! Invece, devi lasciar parlare le cose.
E parlando, capisci che non puoi aver fretta, intanto. Che un racconto si dipana con tempi tutti suoi: che magari per seguire un’idea non puoi buttare due parole a caso. Ad esempio, ho scoperto – proprio stasera – che se parlo di una ragazza che non sa se partire per Parigi, sento che devo documentarmi su Parigi, assorbirne l’aria, farci girare attorno dei pensieri miei. Altrimenti non funziona, le frasi restano generiche.
In generale, mi pare che mi aiuti a non essere trascurato, a valorizzare ogni realizzazione anche parziale. A lavorare su ogni frase: come mi accorgo quando butto giù due frasi perché cerco di “fare un ponte” verso una data situazione. Allora devo ritornare indietro e ripensarle, dar loro dignità. Grazie al cielo, non funziona il tirar via, e questa per me è una buona lezione.
Mi stupisco: quante cose si imparano scrivendo (e sia chiaro, nessuno qui parla di scrivere capolavori!), quante cose che magari posso sperare di applicare anche nel vivere…
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