Blog di Marco Castellani

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L’universo raccontabile (anche su Facebook)

L’uomo. Ecco il grande escluso dalle teorie cosmologiche che ci stiamo lasciando alle spalle. Ecco il grande furto a cui urgentemente porre riparo, l’immenso impoverimento da sanare al più presto: c’è da riconsegnare il cosmo all’uomo. Dare all’uomo – ad ogni uomo – un modello di universo comprensibile, pensabile, lavorabile. Raccontabile, declinabile perfino sui social. E soprattutto, portatore di senso.
La partita è fondamentale, decisiva: in effetti, è questo il vero campionato del mondo, o meglio dell’universo. Un cosmo non raccontabile è qualcosa che proprio non ci possiamo più permettere:  è un cosmo in cui il disagio di non poter tracciare una storia diventa angoscia, timore del nulla, si veste di senso di impotenza, si colora di paura dell’ignoto. Un universo in cui siamo spersi: dispersi, per essere più pilotabili. Te la raccontano così, in effetti: sii buono e possibilmente, un quieto cittadino, buon consumatore, rimani pure nella tua quieta disperazione. Tanto cosa puoi sperare, lì fuori è tutto freddo e buio, non vedi?
Ebbene, è il momento di dire basta. Da tutto questo, da questo scenario malato, sconfessato ormai dalla stessa scienza cosmologica, dobbiamo e vogliamo evolvere.
Come da piccoli, la voce del papà e della mamma scavavano un percorso rassicurante nel buio della notte, confortando il nostro cuore impaurito, così l’umanità è sempre “piccola” – ovvero sempre in crescita – e desiderosa di ricavare un sentiero nella vastità dello spazio: per vedere il buio non più come oscurità, ma come un silenzio trattenuto, delicatamente trapuntato di stelle. Come scrivono Leonardo Boff e Mark Hataway, nel volume Il Tao della Liberazione“abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”
In breve, la cosmologia contemporanea, quella più avveduta, ha questo grande compito: riportarci verso un cosmo a misura d’uomo, ovvero un cosmo incantato. Scrivono infatti gli stessi autori, che “l’umanità si è in genere considerata parte di un cosmo vivente intriso di spirito, un mondo dotato di una specie di incanto.” In questo modo il nuovo cosmo non potrà che riflettere la nuova scienza, quella che riporta l’essere umano non solo al centro del processo cognitivo, ma al centro stesso dell’universo che vuole indagare.
Questa rivoluzione cosmologica non avviene oggi “per caso”, ma è stata preparata da una profondissima crisi all’interno della stessa scienza più rigorosa, crisi che ha visto lo scardinamento e il tracollo della visione meccanicistica cartesiana (funzionale peraltro ad un approccio di dominio e non di relazione) sospinta dall’avanzare delle visioni – potentemente dirompenti – della fisica relativistica e della meccanica quantistica. Non è questa la sede per indagare la portata di tali eventi concretamente rivoluzionari, dobbiamo appena comprendere il loro di stimolo potente verso le istanze di un ricominciamento totale, anche nella scienza.
Questo ricominciamento, questo reincantamento, possiede in sé l’urgente necessità di comunicarsi a tutti gli uomini, perché tutti noi siamo comunque vittime di questo “furto del cielo”, perché  noi tutti soffriamo di questa ferita aperta. E’ un risarcimento che si vuol proporre, in altre parole. Urgentissimo, perché già tardivo. Una impresa di questa natura deve rivestire il carattere deciso di modernità, ovvero avvenire attraverso ogni canale informativo: ad esempio, non è ormai nemmeno pensabile, senza il coinvolgimento attivo dei social media.
C’è dunque un messaggio, il nuovo cosmo “a misura d’uomo”, e c’è la necessità urgente di rilanciarlo attraverso i canali privilegiati della connessione informatica, così pervasiva ad ogni livello di istruzione e in ogni ambiente. Anzi, potremmo addirittura ribaltare la questione, sostenendo che questa facilità immensa di comunicazione è nata esattamente nell’attesa, nell’imminenza di un messaggio “planetario” da trasmettere. Così comprendiamo perché, con Facebook, Twitter e gli altri social media – che a loro volta si appoggiano a questa straordinaria innovazione che è Internet – siamo arrivati ad una capacità di connessione sbalorditiva, proprio nell’imminenza di questo momento di crisi.
Il rischio allora è che questa capacità di contatto e condivisione, questa inedita potenza di fuoco possa rimanere senza un messaggio profondo da veicolare. Sarebbe pericolosissimo, perché l’assenza viene sempre colmata, in qualsiasi modo, a qualsiasi prezzo. Lo vediamo nei giorni presenti, dove diviene sempre più difficile estrarre un contenuto di valore dal rumore di fondo di ogni schermata di Facebook. Il valore, ovvero tutto quel che invita a riflettere e ad approfondire, rispetto alle innumerevoli “chiamate” alla reazione immediata e superficiale.
Tutto questo presenta conseguenze dirette – tra l’altro – anche nell’educazione, quel processo delicatissimo che deve anch’esso tornare ad un incanto primordiale, ad un ambiente protetto e non giudicante dove la creatività dei ragazzi è esaltata. A noi dunque la scelta di subirlo, questo cambio di pelle, di rimanere frenati in questa urgenza del nuovo, sempre più a fatica, oppure di lanciarci, di scommettere finalmente su un vero rovesciamento di prospettiva.
Alla fine, è una decisione, a cui siamo chiamati. In questa proposta interpretativa non c’è più il “caso”, ma tutto avviene per un senso, e la percezione di un modo “incantato” di guardare l’universo richiama ad un modello d’uomo che non è più vittima della tecnica, perché – in ultima analisi – non è più prigioniero del nichilismo.
Un uomo che possiede (in un possesso dinamico, per invocazione) un senso delle cose, è un uomo che automatica-mente manipola ogni oggetto, ogni tecnica, con una coscienza diversa, che porta nuovo frutto in quello che fa, perfino al tempo speso sui social. Non ci serviranno dunque decaloghi e regole d’uso per recuperare una dimensione umana in Facebook: ci salverà piuttosto la percezione di un cammino fatato, di un percorso possibile verso quel “Regno” dove tutto diventa anticipo e possibilità d’espressione nuova, di creatività inedita ed insperata. Dove la scienza si sposerà con un uso equilibrato e sobrio del mezzo informatico, recuperato nella sua autentica dimensione di strumento, e non di fine. In altri termini, ripreso a servizio.
Questo è il compito che abbiamo davanti, questa è una precisa responsabilità di chi, a vario livello, si occupa di fare scienza, o di divulgarla. Questo, con le sue piccole forze (che poi è sempre questione di risonanza, non di forza bruta), è anche il fine che il gruppo culturale AltraScienza si è prefisso, fin dalla sua formazione. Che vuole appunto declinarsi anche su Facebook, e su Twitter.
Per meno di questo non vale la pena muoversi, credetemi. Per meno di questo, non mette conto ripensare creativa-mentel’impresa scientifica. Nessun gioco al ribasso ormai ci è possibile, in questa epoca di grande cambiamento. O meglio, in questo cambiamento d’epoca. Tenendo in debito conto che, per usare le parole di Thomas Berry, “a noi non mancano le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in un oceano di energia inimmaginabile. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione”.
Queste dunque sono le coordinate del gioco. Enorme, smisurato. Grazie al cielo, splendidamente al di sopra della nostra capacità. Così che sia più dolcemente chiaro, appunto, che tutto è alla nostra portata, sì, ma  per invocazione. Infine, a chi riguardasse questo come bello, ma utopico, permettetemi di rispondere con un motto del ‘68 francese, molto amato sia da scrittori laici come Albert Camus che da personalità religiose come Don Luigi Giussani: “Siate realisti, domandate l’impossibile”.
Pubblicato in origine sul blog Darsipace.it

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Lo spazio in noi, e fuori. In tutte le salse

In barba a tutte le mie (più o meno scientifiche) previsioni, devo registrare che ci sono più follower di questo sito su Twitter che su Facebook, nonostante che la pagina Facebook riceva aggiornamenti più costanti e con frequenza maggiore. Al momento di scrivere infatti la pagina Facebook ha 1721 persone “a cui piace” mentre su Twitter viaggiamo quasi verso i duemila (1928 per la precisione).

La cosa, come dicevo, può sorprendere abbastanza, visto che Facebook è comunemente inteso come il social network. Anche per questo è stato inserito su Twitter un piccolo sondaggio (il primo che facciamo) per comprendere meglio la dinamica di utilizzo dei social in questo specifico ambito. Il che è poi un piccolo ma interessante spaccato della dinamica di utilizzo dei social tout court, almeno per quanto riguarda la loro capacità di rendersi canali divulgativi di eventi e notizie che gravitano attorno ad un certo tema, come qui è il caso di quello dello spazio. Naturalmente, declinato nella nostra particolare modalità, che è quella di ricercare un approccio globale, che unisca al mondo osservato il mondo dell’osservatore, (ri)allacciando quei ponti tra esterno ed interno che la scienza più avvertita e consapevole, ormai riconosce ed onora.

Nel più puro spirito scientifico, che è essenzialmente – senza banalizzare troppo – curiosità di come funzionano le cose, usiamo dunque i nostri account come laboratorio permanente, per comprendere meglio quale è il modo più efficace di veicolare le informazioni, ed essenzialmente di esporre il nostro punto di osservazione del mondo a chi potrebbe esserne potenzialmente interessato.

Tutto intorno a te. Ma sul serio.

Tutto intorno a te. Ma sul serio!

Questa è anche l’idea per la quale abbiamo aperto un nostro spazio su Medium. Diciamo che ora stiamo in fase di raccolta dati. Mettere a punto i nostri strumenti espressivi è una attività artigianale che continuiamo a fare da tempo: interessante anche perché ogni medium è un po’ il messaggio stesso, come è noto. Ovvero non partecipa inerte alle trasmissione del dato, ma interviene plasmando e insaporendo di sé il dato medesimo, che viene così intriso della forma dello specifico canale scelto.

Non è superfluo ricordare come ad esempio Twitter si presti benissimo a seguire eventi in tempo reale, e come è sufficiente monitorare il sito di una impresa spaziale nell’intorno temporale di un evento “importante” (una sonda che posa le zampette su una remota luna, un flyby attorno ad un pianeta…) per vederne lievitare il numero di follower, con una derivata temporale probabilmente sconosciuta ad altri eventi mediatici.

Interessante, in ultima analisi, su quello che ci può insegnare sull’uso di GruppoLocale, e molto di più sul rapporto tra Internet e divulgazione scientifica più in generale.

Tutto qui, in fondo. E’ sempre una bella avventura imparare, e anche qui non ci possiamo tirare indietro. C’è da divertirsi, guardando le stelle, i pianeti, le galassie, e immaginando e ragionando su quali siano le leggi che sottendono questo immenso spettacolo. Spettacolo che si apre continuamente ai nostri occhi, e del quale partecipiamo attivamente, in modalità ancora forse da comprendere appieno. Non ultimo, con il nostro uso della rete globale di Internet, l’esperimento di comunicazione (inter)planetaria di maggior successo che conosciamo al momento.

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Due milioni per Hubble…

Sarebbe impresa difficilissima, quella di chi volesse esagerare sulla portata che ha avuto – e sta ancora avendo – il Telescopio Spaziale Hubble per la moderna visione del cosmo. Sono veramente innumerevoli, infatti, le cose che Hubble ci ha aiutato a comprendere, in tutti questi anni di onorato servizio: un insieme di ricadute scientifiche che spaziano dalle stelle a noi più prossime fino ai più remoti quasar, in una mole di dati che ancora attendono per buona parte di essere compiutamente ed accuratamente esaminati, e che ancora aspettano pazientemente l’estrazione di tutte le informazioni ivi contenute.

In diverse occasioni in questo blog ci siamo occupati delle scoperte di Hubble, alcune davvero mirabolanti. Stavolta perciò vorrei tentare un discorso più generale: Invece di parlare di cosa ha trovato Hubble, vorrei volgere un attimo lo sguardo su di lui, su questo fantastico telescopio spaziale. E mentre lui lassù impiegava sapientemente il tempo ad osservare altri mondi, su come intanto sia cambiato il nostro. E profondamente.

Nebulosa Carina

Una suggestiva immagine della Nebulosa Carina vista da Hubble (Crediti: NASA, ESA, and the Hubble SM4 ERO Team)

Consideriamo soltanto che Hubble viene lanciato nel 1990 (con un ritardo sulla data prevista di diversi anni, anche in seguito al terribile disastro del Challenger). E’ interessante analizzare questa storia dal punto di vista delle comunicazioni: il lancio infatti precede di pochissimo la nascita di quella innovazione relazionale che avrebbe cambiato completamente il nostro mondo: la nascita di Internet possiamo infatti datarla al 1991, anno in cui Tim Berners-Lee definisce il protocollo HTTP. Questa è la base teorica di partenza per lo sviluppo di sistemi testuali distribuiti, ovvero, quello che ci voleva per riempire le nuove connessioni di rete di contenuti. In poche parole, nasce il web, anche se all’inizio avrà diffusione lenta e ci vorrà molto tempo prima che le persone comuni si accorgano che qualcosa è cambiato.

Ma ci siamo, qualcosa ormai sta cambiando. Così, mentre Hubble osserva le più lontane galassie (sopratutto dopo aver risolto il problema dell’aberrazione sferica di cui soffriva all’inizio), il mondo sotto di lui, il nostro mondo, inizia a sperimentare un nuovo ed inedito modo di sentirsi connesso, un nuovo modo di far circolare le informazioni. Una nuova umanità si trova affacciata su uno strato di bit che piano piano ricopre il pianeta, lo percorre da parte a parte.

Oso dirlo, una umanità nuova, perché lo stesso strumento – con le sue potenzialità – chiama ad una evoluzione della specie che lo ha inventato. La capacità estrema di comunicare richiede sia un nuovo atteggiamento relazionale, che contenuti validi e condivisi che possano essere trasmessi efficacemente e con profitto. L’evoluzione dell’uomo è più lenta di quella delle macchine, lo sappiamo. Ma i tempi forse sono maturi perché veramente si possa piano piano far germogliare un modello di uomo anch’esso davvero proficuamente inserito in una rete di relazioni.

E tra queste relazioni c’è sicuramente la comunicazione scientifica. Ma non si pensi qui a semplice divulgazione. La rete che è cresciuta mentre Hubble volava, quella rete che usiamo tutti tanto che ci sembra quasi più preziosa dell’acqua, ci consente di rendere finalmente la scienza una avventura partecipata da un ampissimo numero di persone, a volte (come nei progetti ZooUniverse, di cui ci siamo occupati diverse volte), stemperando perfino il confine – un tempo drasticamente netto – tra chi fa scienza e chi ne viene semplicemente informato. Quel confine prima così deterministicamente tracciato, ora si fa invece morbido, labile, quantisticamente indistinto: non c’è un vero confine, il confine dipende dall’osservatore. Dipende da come tu ti poni davanti a questo mare di potenzialità.

Non è una visione romantica, è la pura realtà. Ormai basta un computer connesso a rete, per seguire, a volte in tempo reale, le esplorazioni di ambienti tra i più remoti ed inaccessibili. Esaminare accuratamente immagini di Marte, o infilarsi tra gli anelli di Saturno. Le risorse alle quali poter accedere – alcune di grandissima qualità – sono ormai sterminate, lo sappiamo: ed è sufficiente coltivare un poco di curiosità per cadere facilmente in tragitti di scoperta impensabili quando Hubble iniziò il suo volo.

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Ed è da pochissimo che la pagina Facebook ufficiale di Hubble si è trovata a festeggiare il superamento dei due milioni di iscritti (mentre scrivo siamo a quota 2.005.015 per la precisione, quando leggerete sarà certo di più). Un risultato che, per un satellite lanciato prima che qualsiasi persona si immaginasse appena qualcosa come un social network, è assolutamente lusinghiero e anche testimone di come – pur da lassù – si sia inserito proficuamente nella grande rete. Diffondendo così un po’ della magia di quello che ha osservato per anni, e sta osservando, ponendolo delicatamente sotto i nostri occhi.

Auguri Hubble! Ti dobbiamo proprio tantissimo, lo sai.

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Onde gravitazionali, clamori transnazionali

E’ stato un crescendo continuo di voci, indiscrezioni, cinguettii, mezze ammissioni, ammissioni senza ammetterlo. Ma la sensazione che qualcosa di grosso (e concreto) stia per essere svelato, quando finirà il faticoso – e lacunoso embargo – ebbene quella c’è. 

Le elusive onde gravitazionali, queste bizzarre increspature dello spazio tempo, sono state previste da tempo dalla teoria, ma non si sono mai riuscite ad osservare. Finora, dobbiamo aggiungere. Come dicevamo in apertura, c’è una crescente sensazione – suffragata da diverse circostanze – per cui dovremmo ormai essere alla vigilia di un annuncio epocale

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Personalmente, rimango intrigato dai sorrisi e dai silenzi sornioni che capita di ricevere quando vai a pungolare qualche collega in osservatorio che – per il lavoro che sta facendo – ne dovrebbe sapere qualcosa. A volte anche il modo di tacere, pur non violando formalmente alcun embargo, sembra essere abbastanza indicativo.

Tra un paio di giorni dovrebbe concludersi comunque questo famoso embargo, il periodo di concordata attesa prima di poter annunciare urbi et orbi una eventuale notizia di avvenuta detezione, che sicuramente sarebbe di grande portata. Ed è lecito stare molto attenti a quello che potrebbe capitare. Ed anche, sperare che un altro importante tassello nella conferma delle teorie che spiegano come mai l’universo è come lo vediamo, venga brava brava a mettersi al suo posto.

Nel mentre, si può certo riflettere su come sta cambiando anche la comunicazione scientifica nell’epoca di Internet. Nell’età di Twitter e di Facebook, ogni indiscrezione è immediatamente rimpallata sull’arco intero dei media planetari e in poche ore anche un embargo che si pretende inossidabile è di fatto quasi annullato.

Certo, poi sono sempre cose ed informazioni che bisogna confermare. Non basta una rondine per fare primavera, e non basta un tweet per definire anzitempo realtà la scoperta delle onde gravitazionali. Sono dichiarazioni che vanno verificate e vagliate accuratamente. Troppo spesso la fretta ha causato improvvide e quasi esilaranti situazioni, come quella dei neutrini superluminari, di cui molti conservano memoria con un misto di ilarità ed imbarazzo.

D’altra parte, le cose sono sempre complesse, più delle loro riduzioni e rappresentazioni. Quanto aspettare, quante verifiche condurre, quando senti di aver tra le mani un risultato stratosferico? La tentazione di uscire allo scoperto, di fare l’annuncio in pompa magna (e magari di sistemarsi la carriera) è difficilmente sopravvalutabile. Ed è – aggiungo – pienamente umana.

Si deve cercare dunque un ragionevole compromesso. Un risultato di portata storica deve propagarsi in tempi brevi, ma non così brevi da non poter aver avuto almeno una ragionevole evidenza del fatto che il margine di errore sia stato ridotto a limiti accettabili. La regola del pollice, evidente buon senso che travalica l’ambito scientifico, è che tanto più dici una cosa che è (letteralmente) straordinaria, tanto più devi essere sicuro di quello che dici.

Confidiamo che sia così anche per le ormai non-troppo-ipotizzate onde gravitazionali, né abbiamo alcun motivo di pensarla diversamente. E possiamo ormai lecitamente aspettarci una qualche  notiziona, al proposito.

Quello che forse non va dimenticato, quello su cui è utile riflettere, è qualcosa che ha a che vedere con la natura stessa di questo rimbalzo mediatico, su questa enfasi che sta montando di ora in ora. E’ bene essere entusiasti, ma a patto che questo non finisca per trasmetterci una errata concezione della scienza, e del lavoro dello scienziato.

A costo di apparire scontati, bisogna ricordare che il vero lavoro degli scienziati avviene lontano dal chiasso mediatico, ed è una paziente applicazione di giorni, settimane, e magari anni, sovente non confortati da nessuna concreta evidenza sperimentale, se non da una convinzione interiore ed una applicazione indefessa per la quale, davvero, piano piano la realtà si decide a mostrare le sue fattezze.

E’ sempre la fiduciosa pazienza che opera e consegue. L’universo, peraltro, non sembra avere troppa simpatia per chi ha fretta o non lo indaga con la umiltà necessaria, per la quale si è disposti a mettersi sempre in discussione, e a valutare accuratamente un’idea magari di un collega ben più giovane e con meno esperienza. E’ questo il bello della scienza: comandano i fatti, e i fatti sono testardi, lo sappiamo.

E dunque, ben vengano gli annunci roboanti, ben venga l’eccitazione per la scoperta: è cosa bella e buona. Ed anzi  buonissima, se serve a farci comprendere che viviamo in un universo affascinante da indagare e da scoprire. Ma non dimentichiamoci che il lavoro di chi fa scienza, di chi fa cultura, è lì che avviene. Nel laboratorio, davanti al computer, nella stanza di controllo dell’acceleratore, nelle notti insonni al telescopio.

Comunque sia, lontano dai media.

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Stavolta usciamo con uno scoop veramente … galattico. Seguiteci e lo scoprirete…

E’ ormai sulla bocca di tutti, il fatto che il colosso Facebook ha acquisito – per una cifra stratosferica – il servizio di messaggistica WhatsUp, molto popolare tra gli utenti di dispositivi mobili. La cosa ha dato, come era da aspettarsi, la stura ad una interminabile serie di resoconti e di analisi, ormai rintracciabili in qualsiasi sito o testata che si occupi anche solo trasversalmente di Internet.

Tuttavia – lo dico con una certa soddisfazione – siamo solo noi, almeno qui in Italia – a poter rivelare ai nostri lettore qual è stato il vero motivo che ha condotto Mark Zuckemberg all’acquisizione di WhatsUp. 

In realtà ne siamo a conoscenza fin dall’inizio, come comprenderete continuando a leggere. Avevamo pensato di tenere nascosta la cosa, ma poi un quotidiano che si occupa di web e società l’ha rivelato (deve esserci stata una soffiata). Lo riportiamo qui sotto: a questo punto non ha senso tenere la notizia ancora segreta, anche perché coinvolge… beh, potete leggere. E’ in inglese ma non troppo difficile…

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In poche parole, Mark non puntava a WhatsUp, ma voleva acquisire il nostro GruppoLocale BAR. Gli abbiamo detto di no (la cifra offerta, tra l’altro era decisamente misera, visto il valore del BAR!) e lui ha ripiegato, per stizza, su WhatsUp. Ma ancora continua a telefonarci, non trova pace… 😉

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Il sorpasso…

Giusto per provare il meccanismo di “incorporazione Tweet” nativo nella nuova versione di Wordpress… Comunque ora Twitter è avanti di due!

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GruppoLocale Express

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