Blog di Marco Castellani

Mese: Ottobre 2013

Fare scienza. Ad occhio.

Lo sappiamo bene: siamo decisamente nell’epoca del ‘quantitativo’. Siamo quotidianamente sommersi da valanghe di dati: dati di ogni tipo, da analizzare, memorizzare sui dispositivi elettronici, condividere sui social network, correlare tra loro, e via di questi passo. Ogni cosa è rappresentata da numeri, da byte, o corriamo il rischio di pensare che non sia concreta. Potrà dunque stupire più di una persona scoprire che perfino oggi – nell’epoca dell’entusiasmo digitale –  esistono ancora campi e situazioni in cui le determinazioni effettuate “ad occhio” possono mantenere un certo grado non solo di utilità pratica, ma perfino di validità scientifica. Di più, vi sono situazioni in cui la determinazione visuale di una certa quantità (principalmente, la magnitudine stellare) risulta ancora il metodo più conveniente per condurre una data indagine.

E’ il tema di un interessante lavoro a firma di Wayne Osborn, dal titolo significativo Man Versus Machine: Eye Estimantes in the Age of Digital Imaging, apparso pochi giorni fa nel sito di preprint astro-ph.

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Il più antico strumento di misura delle magnitudine e del colore, senza dubbio…

La determinazione di parametri stellari in modo visuale ha avuto indubbiamente una grande parte nello sviluppo storico dell’astronomia, nessuno può negarlo. Il punto interessante è capire se c’è ancora spazio per le stime di questo genere oppure no. Diciamo subito che le sorprese, a questo proposito, non mancano. Intanto, circa il 20% delle osservazioni inviate da membri dell’American Association of Variable Star Observer (AAVSO) sono costituite ancor’oggi da stime visuali (l’avreste pensato?). Un altro campo dove tali stime sono ancora molto usate è quello di seguire le variazioni di luminosità su lastre fotografiche di archivio: il materiale storico accumulato è ingente, non sempre appare pratico digitalizzare il tutto.

Dunque, una cosa possiamo dirla: le stime di magnitudine “ad occhio” sono ancora una pratica comune. Il punto è, la tecnica è ancora valida?

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Il link mancante tra pulsar in X e le radio pulsar

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Una pulsar millisecondo in una rappresentazione artistica. Crediti: NASA.

di Lucia Pavan, Carlo Ferrigno ed Enrico Bozzo, Università di Ginevra

Una recente scoperta, compiuta da un gruppo internazionale di astronomi guidata da Alessandro Papitto dello Institute of Space Sciences di Barcelona (Spagna), tra cui Carlo Ferrigno, Enrico Bozzo e Lucia Pavan dell’Università di Ginevra, ha finalmente permesso dopo decenni di ricerche di comprendere la natura particolare delle pulsar X al millisecondo. I risultati di questa scoperta sono stati pubblicati nell’ultimo numero della rivista Nature.

Le pulsar sono stelle relativamente piccole e molto dense (con un raggio di circa 10 chilometri e la massa pari all’intero Sole) che si formano in seguito all’esplosione di una stella più massiccia. Al momento della loro formazione, le pulsar appena formate sono visibili come sorgenti radio la cui emissione è pulsata perché modulata dalla rotazione delle pulsar stesse.

La velocità di rotazione di una pulsar alla nascita è così elevata che la stella può ruotare su se stessa anche diverse migliaia di volte al secondo! Nel corso del tempo, l’emissione radio sottrae dell’energia alla pulsar e la rallenta. Quando le pulsar raggiungono un’età più avanzata (da 10 a 100 milioni di anni) ruotano infatti più lentamente, girando su se stesse in qualche secondo.

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A sinistra: una pulsar luminosa in X mentre accresce materia da una stella compagna. A destra, la fase radio, luminosa, di una pulsar che accresce materia da una stella compagna. Crediti ESA.

Dal 1982 sono state scoperte delle pulsar insolite che ruotano su se stesse in solo pochi millisecondi, ma la cui età è stimata in circa 100 milioni di anni o più. Anche se queste pulsar sono vecchie, la loro velocità è paragonabile a quella di una pulsar che si è appena formata. Gli astronomi avevano suggerito da tempo che questo fenomeno potesse essere spiegato ipotizzando che queste vecchie pulsar vengano “ringiovanite” dall’accrescimento di materia: quando la pulsar fa parte di un sistema binario con una compagna stellare, quest’ultima tenderebbe a perdere parte del materiale e a trasferirlo sulla pulsar.

La caduta di questo materiale sulla superficie della pulsar la riscalda, tanto che questa viene ad emettere un segnale pulsato sia in raggi X che in onde radio. L’accrescimento di materia produce anche un’accelerazione della pulsar che può quindi tornare a girare su se stessa ad una velocità simile a quella che aveva al momento della nascita. Questo scenario, che spiega la presenza di una pulsar millisecondo in X, è conosciuto come “il riciclaggio della pulsar” (nella terminologia scientifica, si parla di “pulsar riciclata”).

La prima pulsar a raggi X al millisecondo fu scoperta nel 1998. Fino ad oggi i ricercatori astronomi hanno scoperto 14 oggetti di questo tipo, di cui 4 col satellite INTEGRAL, ma finora nessuna di queste pulsar era stata osservata mentre alternava la propria emissione di onde radio e di raggi X, il che aveva impedito di dimostrare lo scenario del riciclaggio.

Nel marzo 2013 gli astronomi dell’Università di Ginevra hanno osservato in diretta la prima radio pulsar che si trasformava in X. Questo ha contribuito a convalidare lo scenario di riciclaggio studiato da oltre trent’anni e a capire meglio la vera natura delle pulsar al millisecondo in raggi X.

La radio pulsar che si è convertita in pulsar a raggi X lo scorso 28 marzo, è stata scoperta dal satellite INTEGRAL. Questo satellite dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) è dotato di un telescopio ad ampio campo di vista ed è in grado di monitorare continuamente ampie zone di cielo guardando oggetti come le pulsar al millisecondo in X che si accendono e generalmente si spengono con periodo di alcuni giorni. I dati trasmessi dal satellite sono analizzati in tempo reale dai ricercatori presso l’Università di Ginevra che possono quindi controllare il cielo ogni giorno alla ricerca di fenomeni cosmici.

La pulsar scoperta da INTEGRAL e’ stata osservata immediatamente con altri osservatori e telescopi in X, che ne hanno rilevato le pulsazioni, così come con radiotelescopi da terra. Nei giorni successivi alla scoperta, la pulsar si è nuovamente trasformata dal pulsar in X a radio pulsar, dimostrando chiaramente l’associazione tra questi due tipi di oggetti e la validità dello scenario di riciclaggio delle stelle.

Questa scoperta ha coronato decenni di ricerche per un sistema simile, aprendo scenario promettenti per lo studio di queste fasi di transizione. Così come in questo caso, il satellite INTEGRAL continuerá a svolgere un ruolo fondamentale per lo studio di questi oggetti dalle proprietá estreme, e per questo così enigmatici ed interessanti. E nuove domande ora si aprono agli astronomi.

Articolo:
A. Papitto, et al., “Swings between rotation and accretion power in a millisecond binary pulsar”, Nature 501, 517–520 (26 September 2013), disponibile su: http://www.nature.com/nature/journal/v501/n7468/full/nature12470.html.

Lucia, Carlo ed Enrico

Comunicato stampa presso l’Université de Genève: Le mystère des “pulsar X millisecondes” dissipé grace au satellite INTEGRAL – http://www.unige.ch/communication/communiques/2013/CdP130926.html .

Altre informazioni su:
Sito ESA-INTEGRAL . Volatile pulsar Reveals millisecond missing link – http://sci.esa.int/integral/52866-volatile-pulsar-reveals-millisecond-missing-link/

Il comunicato stampa dell’INAF-Istituto Nazionale di Astrofisica: Una pulsar dalla doppia personalità – http://www.media.inaf.it/2013/09/25/una-pulsar-dalla-doppia-personalita/

Qui sotto il video realizzato da Media INAF relativo alla scoperta:

 

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La Palma, un gioiello per il Telescopio Nazionale Galileo

Questo video mostra la spettacolare posizione per l’osservazione del cielo che viene offerta dall’Isola di La Palma, Isole Canarie, (Spagna) nell’Oceano Atlantico, ad un centinaio di chilometri dall’Africa.

In quest’isola sul Roque de los Muchachos a 2400 metri di quota si trova il Telescopio Nazionale Galileo (TNG), ben visibile all’inizio del video, il gioiello italiano all’avanguardia nella ricerca dei pianeti extrasolari grazie allo spettrografo HARPS-N montato nell’aprile 2012. HARPS-N (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) in particolare è uno spettrografo di precisine progettato per identificare e caratterizzare pianeti extrasolari simili per massa e struttura alla Terra e per studi di astrosismologia e osserva l’emisfero nord del cielo.

 Il suo gemello, HARPS sulle Ande cilene, osserva l’emisfero sud del cielo.
 lI Telescopio Nazionale Galileo (TNG) sull’IIsola di La Palma, Roque de los Muchachos, a 2400 metri di quota. Crediti: INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica. 

 

Dal 2005 la “Fundación Galileo Galilei, Fundación Canaria” (FGG) gestisce il telescopio per conto dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Sabrina

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Stranezze da altri mondi

Esopianeta

Una rappresentazione artistica di un pianeta extrasolare, in particolare di un pianeta gioviano denominato Hot Jupiter a causa della sua estrema vicinanza alla sua stella che lo rende estremamente caldo. Crediti NASA.

Finora sono stati catalogati oltre 900 pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare. Questo è incredibile se si pensa che solo vent’anni fa non si aveva alcuna idea di come potevano essere eventuali sistemi solari.

Prima di tali scoperti, infatti, si riteneva che il nostro Sistema Solare fosse il tipico sistema che si potesse trovare nella nostra Galassia: pianeti rocciosi di piccole dimensioni nella parte più interna, giganti gassosi in quella esterna.
Ma non è così.
I sistemi solari scoperti sono stravaganti per forme e dimensioni. O è il nostro Sistema Solare è insolito se confrontato con essi? Dipende da dove consideriamo in fenomeno, ma alla fin fine si viene a dire la stessa cosa.

Risale al 1995 la scoperta del prima pianeta extrasolare ad orbitare attorno ad una stella di tipo solare, 51 Pegasi b. Ma la sorpresa fu che il pianeta era un gigante gassoso molto vicino alla sua stella, tanto che i ricercatori pensarono ad una sorta di “eccezione”.

Ma quando si iniziarono a scoprirne degli altri simili a questo, l’eccezione fu nel nostro modo di pensare gli altri sistemi solari.

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Rappresentazione artistica di un esopianeta. Crediti: NASA.

Ben presto ci si rese conto che le scoperte erano soggette ad una sorta di effetto di selezione dovuto al metodo di osservazione, quello dei transiti planetari.

In altre parole si stavano scoprendo pianeti di tipo gioviano con temperature elevatissime, quelli che vengono definiti “Hot Jupiter”. Non si scoprivano pianeti di dimensioni inferiori e più lontani dalla stella perché gli Hot Jupiters erano il tipo di pianeta più facile da osservare: sono oggetti grandi, creando un effetto di eclissi molto più evidente;  orbitano vicino alla loro stella, rendendo “l’anno” più breve. Di conseguenza, le probabilità di rilevamento degli Hot Jupiter sono maggiori.

Tali pianeti sono più facili da rilevare anche col metodo delle velocità radiali. A causa della loro grande massa, gli Hot Jupiter producono delle “variazioni dinamiche” nel moto della loro stella, che è possibile rilevare da Terra. La velocità radiale rappresenta la velocità lungo la linea di vista dell’osservatore. Una stella singola, senza pianeti, non mostrerà alcuna variazione di velocità radiale; una stella accompagnata da un pianeta tradirà la sua presenza attraverso queste variazioni, che saranno periodiche con lo stesso periodo orbitale del pianeta. Questa velocità può essere misurata grazie all’effetto Doppler.

Ma vi è un altro aspetto importante: di Hot Jupiter se ne trovano tanti perché ce ne sono tanti.

Oggi, a vent’anni dalla prima osservazione, si sta iniziando a capire qualcosa su questi interessanti e straordinari sistemi planetari. Si intuisce che tali oggetti massicci e gassosi non sono un’eccezione ma una componente importanti di molti sistemi planetari.
Gli Hot Jupiter sono una classe speciale di esopianeti che sono simili per dimensioni, massa e composizione a Giove, ma si vengono a trovare a posizioni variabili dalla loro stella tra 0,015 e 0,15 UA, dove 1 UA  è la distanza media Terra-Sole, pari a 150 milioni di chilometri. Queste distanze così piccole comportano che il pianeta si venga a trovare molto vicino alla stella madre. Se facciamo un confronto, Mercurio orbita a 0,39 UA. Gli Hot Jupiter sono così vicini alla loro stella da avere orbite circolari.

In termini di origine e posizione la teoria corrente è che questi pianeti si siano formati come regolari nel disco di accrescimento ma poco dopo sono migrati nel sistema solare interno. Questo dev’essere il caso, affermano i ricercatori, in quanto non c’è abbastanza materiale nel sistema solare interno perché si formino giganti gassosi.

Nella fase iniziale gli astronomi ritenevano che gli Hot Jupiter implicassero un sistema solare non abitabile. Ma modelli recenti mostrano che pianeti simili alla Terra si possono formare nella zona di abitabilità della stella dopo che un Hot Jupiter è transitato nella zona di 1 UA e che vi è sufficiente materiale lasciato indietro perché si formi un pianeta di tipo terrestre.

Vi possono essere pianeti con temperature così elevate da uguagliare o superare quelle delle stelle. Dato che tali oggetti orbitano molto vicini alla loro stella e  hanno dimensioni che possono superare di gran lunga quelle di Giove, alcuni pianeti possono avere temperature maggiori di alcuni tipi di stelle.

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Una rappresentazione artistica di WASP-33b. Crediti NASA.

WASP-33b ne è un esempio. E sembra perfino ridicolo. Il pianeta orbita attorno alla stella ad una distanza che è solo il 7%  della distanza Mercurio-Sole (pari a 0,027 UA), il che significa che un anno su questo pianeta dura solo 29 ore ma la sua temperatura è terribilmente elevata. La superficie arriva a temperature dell’ordine dei 3200 gradi centigradi, che è più calda della superficie di alcuni tipi di stelle, le nane rosse. Per confronto, il pianeta più caldo nel nostro Sistema Solare è Venere che può arrivare a circa 500 gradi centigradi.

La sua estrema vicinanza alla stella rende WASP-33b incredibilmente caldo. Ma la stella stessa è molto più calda di gran parte delle stelle con una temperatura stimata intorno a 7160 gradi. Il nostro Sole, nella sua regione nucleare arriva intorno ai 10 000 gradi, sulla superficie intorno ai 6000 gradi.  Per questo motivo, WASP-33b, vicinissimo a questa fornace cosmica, non sorprende che sia incredibilmente caldo.

Il sistema stellare offre l’opportunità di studiare gli Hot Jupiter. Le loro proprietà hanno spesso sorpreso i ricercatori: sembra che il loro interno sia a temperature molto più elevate di quelle superficiali. E’ sorprendente che queste stelle con pianeti così vicini stiano scaldando l’atmosfera esterna molto di più di quanto possano fare i processi interni.

Un altro esempio ci viene offerto da WASP-12b.

Si fa l’ipotesi che questo pianeta, che si trova a 600 anni luce di distanza dalla Terra, possa avere circa 10 milioni di anni di vita prima di venir completamente “divorato” dalla stella. Il pianeta è così vicino alla sua stella, simile al Sole, da essere soggetto a enormi forze mareali. L’atmosfera è aumentata in modo smisurato quasi tre volte il raggio di Giove e del materiale è fuoriuscito dalla stella. Il pianeta è circa un 40% più grande di Giove.

L’effetto di scambio di materia tra due oggetti stellari è comunemente osservato nei sistemi binari vicini, ma in realtà nel caso di un pianeta e di una stella è un fenomeno estremamente raro.

Questo fenomeno conferma un’ipotesi fatta da Shu-lin Li dell’Università di Pechino sul fatto che la superficie del pianeta possa venir distorta dalla gravità della stella e che le forze marsali gravitazionali rendano l’interno così caldo da far espandere l’atmosfera più esterna del pianeta.

Fonte :
Articolo: A. M. S. Smith et al., Thermal Emission from WASP-33b, the hottest known planet, arXiV: 1101.2432, http://arxiv.org/abs/1101.2432

Science@NASA: The strange attraction of Hot Jupiters: http://science.nasa.gov/science-news/science-at-nasa/2013/17aug_hotjupiters/

New Scientist: Hottest Planet is hotter than some stars: http://www.newscientist.com/article/dn19991-hottest-planet-is-hotter-than-some-stars.html

io9 – Hot Jupiters are the most astounding planets in the galaxy: http://io9.com/hot-jupiters-are-the-most-astounding-planets-in-the-gal-1177931435
Io9: Scorching hot new exoplanet has higher temperature than some stars: http://io9.com/5737486/scorching-hot-new-exoplanet-has-higher-temperature-than-some-stars

Dailymail: Scientists discover the hottest planet in the universe… where the temperature is a scorching 3,200 C: http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-1351035/WASP-33b–HD15082-Hottest-planet-scorching-3-200C.html.

Sabrina

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Il cielo blu di Gliese 3470b: l’atmosfera di un pianeta di piccola massa con la fotometria da terra

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Utilizzando il Large Binocular Telescope in Arizona un team di astronomi guidati da Valerio Nascimbeni del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università degli Studi di Padova G. Galilei ha studiato la luce ultravioletta ed infrarossa della stella GJ3470, a 31 parsec di distanza dalla Terra (dove 1 parsec è pari a circa 3,26 anni luce). Dall’osservazione della diminuzione della luce della stella durante il transito planetario del pianeta, gli astronomi hanno potuto analizzare la luce diffusa dall’atmosfera del pianeta.

I dati suggeriscono che il pianeta possieda un cielo blu privo di nuvole, che potrebbe aiutare a rivelare la composizione della sua atmosfera. I dati fotometri sono anche abbastanza precisi da suggerire l’utilizzo dei telescopi terrestri per scoprire pianeti di dimensioni della Terra attorno ad altre stelle, anziché  basarsi solo su osservatori o telescopi spaziali.

Il numero di pianeti extrasolari confermati scoperti finora ha raggiunto un numero che si avvicina oramai al migliaio, 909 pianeti attorno a 701 stelle per la precisione, secondo i dati del NASA Exoplanet Archive (aggiornamento al 3 ottobre 2013 con la conferma di tre nuovi pianeti HATS-2 bHATS-3 b e GJ2034).

Quasi un terzo di questi pianeti transita di fronte alla loro stella, una circostanza fortunata che permette di determinare il raggio dell’oggetto attraverso delle semplici assunzioni geometriche. Tuttavia, la grande maggioranza di questi pianeti manca di una completa caratterizzazione, che include la conoscenza della loro struttura interna, la composizione dell’atmosfera e la storia evolutiva (Seager & Deming 2010). Questo è ancora più limitante se si tiene conto che la maggior parte parte dei pianeti extrasolari conosciuti finora ha proprietà fisiche che sono completamente differenti da quelle trovate nel nostro Sistema Solare, cioè non è possibile riferirsi a “semplici” analogie coi pianeti a noi conosciuti (Zhou et al. 2012).

La maggior parte delle scoperte degli ultimi anni (1995-2007) è stata in parte influenzata dalle scoperte dei pianeti di tipo “Hot Jupiter”, ossia di pianeti di dimensioni simili a Giove ma estremamente caldi e vicini alla loro stella, molto più di quanto non lo sia Mercurio al nostro Sole. Grazie alle missioni spaziali come CoRoT (Baglin et al. 2006) e Kepler (Borucki et al. 2010) della NASA vi è oggi la possibilità di aumentare i confini della nostra conoscenza e di ricavare i valori dei raggi planetari e delle loro masse anche nel caso di piccoli oggetti, rilevando la presenza di sistemi planetari attorno a stelle dalle caratteristiche più diverse.

Non sorprende il fatto che il panorama osservativo stia diventando sempre più complesso, con nuove, e qualche volta anche inattese, classi di pianeti.

Le Super-Terre (con masse comprese tra 2 e 10 masse solari) e i pianeti “Nettuniani” (con masse tra 15 e 50 masse terrestri) sono dei nuovi pezzi del puzzle di questa complessità planetaria che mostrano una diversità estremamente articolata che non è facilmente spiegabile coi modelli o ipotizzando dei vincoli osservativi (Haghighipour 2011). Le Super-Terre e i pianeti Nettuniani erano stati ipotizzati esistere come una classe separata e ben distinta da pianeti rocciosi e ghiacciati.

Un caso emblematico è dato da Gliese 1214b (GJ1214b, Charbonneau et al. 2009) per il quale, tra gli scenari permessi per questo oggetto, vi è quello di un “mini-Giove” con un piccolo nucleo solido e un grande involucro gassoso di H ed He primordiale; un pianeta simile a Nettuno con un’atmosfera composta da ghiacci sublimati; un “mondo d’acqua” oppure una Super-Terra rocciosa con un’atmosfera degassata (Rogers & Seager 2010). Esempi simili più recenti sono dati da altri pianeti quali HAT-P-26b (Hartman et al. 2011) e GJ3470b (Bonfils et al. 2012).

Il team di astronomi ha osservato il transito completo di GJ3470b grazie alla Large Binocular Telescope Camera del Large Binocular Telescope (LBT, Monte Graham in Arizona) nella notte tra il 16 e il 17 febbraio 2013. I dati suggeriscono dei modelli di atmosfera priva di nubi e di nebbia, fortemente dominati dall’idrogeno e dall’elio. Questa è anche la composizione atmosferica più probabile per GJ 3470b in base alle teorie degli interni planetari.

Allo stesso tempo, l’accuratezza senza precedenti delle misure dimostra che la rilevazione fotometrica di pianeti di tipo terrestre attorno a stelle nane di tipo M (quindi più fredde del Sole) è possibile con l’uso di telescopi terrestri.

Riferimenti nel post:

Baglin, A., Auvergne, M., Barge, P., et al. 2006, in ESA Special Publication, Vol. 1306, ESA Special Publication, ed. M. Fridlund, A. Baglin, J. Lochard, & L. Conroy, 33

Borucki, W. J., Koch, D., Basri, G., et al. 2010, Science, 327, 977

Charbonneau, D., Berta, Z. K., Irwin, J., et al. 2009, Nature, 462, 891

Haghighipour, N. 2011, Contemporary Physics, 52, 403

Rogers, L. A. & Seager, S. 2010, ApJ, 716, 1208

Seager, S. & Deming, D. 2010, ARA&A, 48, 631

Zhou, J.-L., Xie, J.-W., Liu, H.-G., Zhang, H., & Sun, Y.-S. 2012, Research in Astronomy and Astrophysics, 12, 1081

………….

Articolo:

Astronomy & Astrophysics: V. Nascimbeni, G. Piotto, I. Pagano, G. Scandariato, E. Sani, M. Fumana, The Blue Sky of GJ3470b: the Atmosphere of a Low-mass planet unveiled by ground-based photometry, A&A, settembre 2013, www.aanda.org/index.php?option=com_article&access=doi&doi=10.1051/0004-6361/201321971 – il formato pdf è disponibile su: http://www.aanda.org/articles/aa/pdf/forth/aa21971-13.pdf

Nature: Fine weather on far-off planet:  http://www.nature.com/nature/journal/v502/n7469/full/502009a.html

EXO-IT – Exoplanets in Italy : http://www.oact.inaf.it/exoit/EXO-IT/Home.html

Per essere sempre aggiornati sulle nuove pubblicazioni sugli esopianeti (sito per professionisti): ExoPlanet News – An Electronic Newsletter: http://exoplanet.open.ac.uk/

Sabrina

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Posso grattarvi la schiena?

Oggi è stata la volta di And I’ll Scratch Yours. Che sarebbe, insomma, Vi gratterò la schiena. Ultimo disco di Peter Gabriel, appena uscito.
Cioè.
Come mi faceva notare mio figlio, non è proprio un disco di Peter Gabriel. Il fatto è questo: lui se ne esce con una serie di canzoni nelle quali… non avrebbe proprio fatto nulla! Niente altro che raccogliere e selezionare delle cover per i suoi brani più famosi. Non è da tutti uscire con un album… senza dover avere la preoccupazioni di scrivere una nota.
“Inquietante” fin dalla copertina… 😉
Così anche sul web leggo commenti di gente (giustamente?) un po’ indignata, del resto come accadeva con la prima parte del progetto, quell’iniziale Scratch my Back, quella sbarazzina proposta Grattami la Schiena in cui Peter si esercitava in cover di altri artisti. Gente che diceva e dice (giustamente?) ma quand’è che ti metti a fare nuove canzoni, Peter?
Diciamolo subito. Per me Peter Gabriel è uno che la musica la sa scrivere. E la sa scrivere molto bene. E soprattutto, scrive quella musica che io voglio ascoltare (il resto della musica non mi interessa). E’ uno che mi riesce ad inviare dei segnali davanti ai quali posso andare oltre la semplice percezione estetica di un bello: sono segnali che il mio cuore riconosce e interpreta come particolarmente appropriati e favorevoli a quella comprensione (direi) metafisica del cosmo così sfuggente a parole, così esulante da ogni articolazione verbale, e tuttavia così necessaria. Insomma, il potere dell’arte, possiamo dire. Quelle cose per cui uno – non si sa come – si sente più amico del mondo e di se stesso.
Con tutto ciò ero perplesso anch’io. Ennesima operazione commerciale? Furba trovata di un artista che vive della sua pur meritata fama senza però proporre qualcosa di suo?
L’ascolto dei preview in iTunes mi ha comunque convinto ad acquistarlo. C’era qualcosa… Stamattina l’ho portato alla prova del fuoco, l’ho fatto fluire negli auricolari dell’iPhone mentre correvo al parco. E mi sono deciso. Io amo questo disco. 
Intanto vi sono artisti del calibro di David Birne, Brian Eno, Lou Red, Paul Simon. Ma fosse solo questo, non sarebbe ancora abbastanza. 

La prima impressione è di sorpresa. Le canzoni sono molto diverse dall’originale, sono tutte molto ripensate. Eppure si sente una sorta di rispetto, non sono stravolte. Solo, assumono come un altro colore, risuonano secondo altri rapporti, altre suggestioni. Così pensavo, Peter è come i Beatles (affermazione importante, della quale mi assumo la responsabilità). In qualsiasi salsa lo presenti, è sempre bello. Ne evinco una cosa: il nucleo pulsante, il centro di interesse, è nascosto nella parte più intima della musica, non nell’arrangiamento. Come tale, viene preservato dalle nuove interpretazioni. Brilla, e continua a brillare.
Anzi queste nuove interpretazioni mi destano nuovo interesse. Come se lo stesso nucleo pulsante, illuminato da una luce nuova, potesse finalmente mostrare aspetti diversi, esporre zone finora rimaste in ombra. Facendomi capire che c’è di più, c’è più sugo da estrarre di quanto si poteva pensare nell’ascolto dell’originale.
Come sempre, è correndo che riesco ad ascoltare la musica con maggiore attenzione. Sospetto che sia per quello, che mettendo l’ego da parte – distraendolo con la fatica – io sia libero di attingere con più apertura ad ogni proposta artistica.
C’è come una dominante, nel disco. Mi sembra straordinariamente unitario, come clima musicale, considerato il fatto che è stato realizzato da artisti diversi. I suoni degli strumenti mi arrivano spesso come sgraziati, impastati nei rumori – eppure parlano, parlano di più che se fossero lisci e smussati. Mi fa pensare a com’è la pasta casareccia. E’ ruvida e imperfetta al tatto, ma raccoglie più sugo.
Poi c’è questo. Che dobbiamo entrare nel merito. Lo sappiamo: le canzoni di Peter parlano spesso di una disarmonia, di una distanza, di una estraneità. Come se molte volte dica, beh ragazzi qui c’è qualcosa che non va (perdonate la drastica semplificazione). E il suono di queste canzoni aderisce a questo, fino dalla scelta timbrica. Così ogni aspetto è in relazione all’altro.
Però è quel tipo di attitudine che invece di gravarmi addosso, mi libera. Come uno che abbia l’onestà di dire il suo imbarazzo nella percezione del mondo e dell’uomo così come ce la restituisce l’evo attuale – e fa quello che un artista deve fare: lo esprime.
Ed è per me più liberante più di un disco perfettamente impacchettato e superficialmente sereno (proiezione perfetta dei discorsi da nichilismo divertito di cui parlavo nel post su Lampedusa). Perché pesca nell’ambito delle cose ultime, le più importanti: musica bruckneriana, direi. Non cerca di di-vertirmi, di farmi evadere da me stesso. 
Così è il mistero dell’arte, la vera arte. Il disagio, l’estraneità, la stessa disperazione, vengono innervate di senso e restituite perché noi le si possa meglio elaborare. Consapevoli che ogni percorso di liberazione personale richiede un lavoro, una discesa verso il basso, una accettazione di ogni parte d’ombra.
E l’arte può essere funzionale a questo lavoro. Anzi, la vera arte, lo è sempre stata.

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Lampedusa 3.10.2013

Cosa possiamo fare adesso? Ognuno ha il suo lavoro, ognuno se guarda dentro di sé lo sa bene quello che deve fare.
Quello che ha sempre rimandato, posticipato. 
Quello a cui viene chiamato dal suo cuore. La vita è preziosa, la vita non è casuale.
Non si vive tanto per vivere. La vita ci è data per un compito. Per una vocazione. 

Fosse anche spostarsi dal letto al bagno, poi di nuovo al letto – per una persona malata. Fosse anche “solo” questo. O scrivere il romanzo del millennio, determinare una nuova teoria degli astri. O accogliere la propria depressione, la propria ansia, fare pace con se stessi. Per una volta, amarsi. Smettere di voler essere diversi. Secondo me è uguale, uguale. Accettarlo è tutto, accettarlo è rendere più luminoso l’universo. Il resto sono chiacchiere.

Smettiamo di perdere tempo. Accettiamo noi stessi, assecondiamo la nostra chiamata.
Il lavoro per me è questo. E’ il lavoro di sempre, ma con una urgenza nuova. Lo devo a me stesso, lo devo a tutta quella povera gente che solo pensare siano ora abbracciati dalla Bontà infinita, da Qualcuno che vuole loro bene alla follia e li stringe e li bacia e li accudisce può salvare la mia mente dallo sperdermi nell’angoscia della totale mancanza di senso.
Accettare me stesso, così come sono. Ascoltare il cuore e seguirlo.
Quello che invece non accetto – non vorrei più accettare – è il nichilismo elegante, quello che oggi proprio non sopporto è il nonsenso divertito di tante conversazioni, di tanti giorni. Questa cosa terribile di cui io stesso sono impregnato. No. Davanti a questo devo urlare la vita ha senso, la vita è buona. Proprio perché non capisco. Devo urlare, con la mia povera, povera voce, devo implorare il respiro della vita.

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