Blog di Marco Castellani

Mese: Aprile 2014 Page 1 of 2

Nuovi dischi protoplanetari osservati da Hubble Space Telescope

Hubble_dischi protoplanetari in formazione

Immagini in alto: le due immagini nella parte superiore del pannello mostrano dei dischi di detriti intorno a giovani stelle che non erano state osservate nelle immagini di archivio prese dall’Hubble Space Telescope della NASA. Nella illustrazione che si osserva sotto ad ogni foto viene mostrata l’orientazione dei dischi di detriti. Crediti: NASA/ESA, R. Soummer, Ann Feild (STScI).

Alcuni astronomi utilizzando l”Hubble Space Telescope della NASA hanno applicato una nuova tecnica per processare le immagini e ottenere delle foto della luce diffusa nel vicino infrarosso di cinque dischi attorno a giovani stelle e che fanno parte del Mikulski Archive for Space Telescopes database. Questi dischi rappresentano dei dischi di grande importanza a livello astronomico in quanto rivelano la formazione di nuovi pianeti.

Revisionando vecchi file e dati, un gruppo di astronomi guidati da Remi Soummer dello Space Telescope Institute (STScI) di Baltimore, Maryland, ha potuto fare questa straordinaria scoperta, un vero e proprio tesoro a livello planetario.

Le stelle in questione sono state inizialmente osservate dal Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS) di Hubble Space Telescope sulla base di alcune evidenze piuttosto insolite misurate con lo Spitzer Space Telescope della NASA e dall’Infrared Astronomical Satellite che era in orbita nel 1983. I dati precedenti avevano fornito degli interessanti indizi sulla presenza di dischi di polvere attorno a queste stelle. Piccole particelle di polvere nei dischi possono diffondere la luce e di conseguenza rendere visibile il disco stesso. Ma quando per la prima volta Hubble Space Telescope osservò tali stelle tra il 1999 e il 2006, non furono evidenziati dischi in formazione dalle immagini ottenute da NICMOS.

Recentemente con il miglioramento del processo di elaborazione delle immagini, tra cui alcuni algoritmi, Soummer e il suo team hanno rianalizzato le immagini dell’archivio. Questa volta hanno potuto notare in modo del tutto inequivocabile i dischi di polvere e di detriti e determinarne pure le loro dimensioni.

Lo strumento NICMOS, che ha iniziato a raccogliere i dati nel 1997, sta iniziando a mostrare il suo grande potere: dato che l’Hubble Space Telescope è attivo da 24 anni, NICMOS fornisce un archivio di dati estremamente importante , osservazioni di lunga durata che permettono di venire analizzate e confrontate fra loro nel corso del tempo.

“Ora con queste nuove tecnologie nell‘image processing possiamo andare a consultare l’archivio e fare una ricerca più precisa di quella che era possibile in precedenza con i dati di NICMOS” ha affermato Dean Hines dell’STScI.

“Queste scoperte aumentano il numero dei dischi di polvere e di detriti osservati in luce diffusa da 18 a 23. Con questa importante aggiunta alla popolazione nota e grazie alla varietà di forme di questi nuovi dischi, Hubble aiuta gli astronomi a comprendere meglio come si formano i sistemi planetari e come si evolvono” ha affermato Soummer.

La polvere nei dischi si ipotizza venga prodotta da collisioni tra piccoli corpi planetari come gli asteroidi. I dischi di detriti sono composti di particelle di polvere formate dalle collisioni. Le particelle più piccole sono costantemente spazzate via verso l’esterno dalla pressione di radiazione della stella. Ciò significa che devono essere reintegrati di continuo da altre collisioni. Questo gioco di scontro continuo doveva essere molto comune nel nostro Sistema Solare circa 4,5 miliardi di anni fa. La luna e il sistema di satelliti attorno a Plutone sono considerati dei sottoprodotti di queste collisioni.

“Una stella particolarmente interessante è HD 141943” ha affermato Christine Chen, esperta nei dischi in formazione e membro del team di ricercatori. “E’ un gemello esatto del nostro Sole durante l’epoca di formazione dei pianeti terrestri nel nostro Sistema Solare”. Hubble ha trovato che la stella mostra un disco visto di taglio con una asimmetria. Questa asimmetria potrebbe essere la prova che il disco sia gravitazionalmente perturbato dalla presenza di uno o più pianeti non ancora osservati.

“Essere in grado di vedere questi dischi ora ci permette di pianificare ulteriori osservazioni per poterli studiare in più grande dettaglio utilizzando gli strumenti di Hubble e i grandi telescopi a Terra” ha aggiunto Marshall Perrin dell’STScI.

“Stiamo pure lavorando per implementare le stesse tecniche come un metodo di elaborazione standard per il James Webb Space Telescope della NASA” ha affermato Laurent Pueyo dello STScI. “Questi dischi saanno gli obiettivi principali per il Telescopio Spaziale Webb”.

Fonte Orbiter.ch: Astronomical Forensics Uncover Planetary Disks in NASA’s Hubble Archive – http://orbiterchspacenews.blogspot.it/2014/04/astronomical-forensics-uncover.html?spref=fb

Sabrina

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Mahler #6 (rivoluzione inclusa)

Sono sempre più persuaso che la rivoluzione vera cominci dall’interno. Dall’interno di noi stessi parte un rinnovamento che poi investe il modo di rapportarci con le altre persone, con il mondo. La rivoluzione di oggi comincia dalla persona. Ed è certamente la più complicata: comporta infatti un lavoro su se stessi. Comporta l’abbandono dell’ego violento e l’inizio di un modo nuovo di vedere se stessi e il mondo. E’ un lavoro prima di tutto di sapiente costruzione, non di pura distruzione.

A proposito di rivoluzione Mentre sono all’Auditorium per la sesta di Mahler, mi viene in mente un post di qualche tempo fa. Sì perché qui avverto serpeggiare istanze di sovversione dell’ordine stabilito, più sottili ma più efficaci di quelle magari altrove esplicitamente proclamate. 

I tempi stanno cambiando. Vero. Eppure. Ci sono modi e modi di portare una nuova coscienza dei tempi.  C’è un modo che è pure dirompente (il nuovo è nell’aria, non lo puoi fermare: la stasi è velenosa, mortifera) ma insieme pieno di rispetto e di amore per la tradizione con la quale sei cresciuto. Il materiale sonoro della sesta è così, così nuovo e insieme così radicalmente innestato nella tradizione.

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Foto di Gaia Cilloni. Licenza fotoAttribuzioneNon commercialeCondividi allo stesso modo Alcuni diritti riservati 

A pensarci è una cosa incredibile, impressionante. Questo è ciò che fa Mahler, usa degli strumenti espressivi che ha ricevuto, che ha studiato, che ha imparato a maneggiare. Che ha amato ed ama. E li porta, seguendo le regole interne alle estreme conseguenze, quasi fuori da loro stessi, in un processo di straniamento ed insieme di novella illuminazione. Così sono le stesse regole formali a mostrare i limiti, ad essere forzate ad aprirsi alla novità, senza che si debba rinnegare niente di quello che è stato fatto fino ad ora.

Quello che in questo approccio manca totalmente – ascoltando Mahler uno se ne rende conto bene – è l’ansia di fare tabula rasa per ripartire con il nuovo. Niente di questo, nella sua Sesta. Si avverte invece un grande rispetto per l’esistente: ti dice vedi fin dove ti posso portare lungo questa strada… Ci vuole sapienza per allargare la strada, padronanza di mezzi e confidenza per imboccare sentieri nuovi con l’equipaggiamento consueto. Ed è una vera rivoluzione, perché crescendo lo capisci, la rivoluzione vera non passa solo per il messaggio ma deve abbracciare la forma. Perché non si tratta di un ulteriore contenuto mentale da immagazzinare, da assommare agli altri, ma è una forma di sentire diversa. Non è infatti una accumulazione, è una conversione. Ecco, forse qui può aprirsi il contatto con quel lavoro su se stessi, di cui si diceva in apertura.

La rivoluzione quando è vera? Quando si innesta nei cuori, lascia traccia, crea un luogo dove si può tornare, si può tornare a frequentarla ed appare comunque – anche a distanza di tempo – piena di ragioni. Per rimanere a Mahler, oggi si può ascoltare la Sesta, la deliziosa Quarta, la intrecciata e mirabolante Quinta, la struggente e misteriosa Nona (per non parlare di quella avventura emozionante che nasce dalla ricostruzione degli appunti della Decima, la cui vera prima deve essere avvenuta davanti al Mistero) e deliziarsi del fatto che questa musica ancor oggi è tutta piena di ragioni. Ovvero, è piena di risonanze con l’intreccio doloroso e misterioso ed emozionante della propria interiorità. Risonanze che scendono e vanno negli strati profondi: come pesciolini di profondità, i grappoli di note illuminano zone che sembravano nascoste, celate. Ed è una procedura salutare, come sempre l’arte. Ricompatta, rende ordinati, più robusti, più pazienti, più capaci di stare saldi, con i piedi per terra.

Attenzione dunque: Mahler #6 ha la rivoluzione inclusa. Di quelle non violente. Di quelle che fanno respirare.

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Arp 81, scontro tra titani

Non solo le galassie sono di forma e dimensioni le più varie, come abbiamo visto nei post più recenti. Ma tendono spesso a combinarle di grosse: eh sì, perché non è infrequente che invece di starsene da sole indisturbate, si producano in scontri che definire galattici stavolta è appena usare il termine appropriato! 

Le interazioni tra galassie sono fenomeni che fatichiamo ad immaginare adeguatamente, non fosse altro che per le dimensioni in gioco. Se difatti ci sfugge la fisica dell’infinitamente piccolo, con le sue bizzarre leggi governate da quella incredibile sfida al buon senso che è la meccanica quantistica (c’è chi la conosce e dice ugualmente di non averla capita, e non è così strano come potrebbe sembrare), così l’infinitamente esteso supera di gran lunga la portata della nostra più fervida immaginazione. Anche la scala temporale ci mette alla prova: non sono fenomeni improvvisi, gli scontri tra galassie, ma sono accadimenti che durano anche milioni e milioni di anni, coinvolgendo quantità enormi di stelle e di gas e polveri – davanti alle quali siamo davvero meno di un puntino, in quanto a dimensioni.

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Crediti: Hubble Legacy Archive, ESA, NASA; Processing – Martin Pugh

Nello specifico, questo sistema di galassie si chiama Arp 81 ed è formato da NGC 6622 (a sinistra) e NGC 6621 (sulla destra), e li vediamo a distanza di ormai cento milioni di anni dal loro ultimo tumultuoso “incontro”. Il quale – va detto – non è stato senza conseguenze: basta citare l’esistenza di una “coda mareale” di circa duecentomila anni luce, nonché una esplosione irrefrenabile di formazione di nuove stelle in diverse zone, proprio a seguito dell’interazione. Le galassie sono circa di uguali dimensioni, e si trovano a circa 280 milioni di anni luce dalla Terra. Il loro destino è segnato: sono destinate a “corteggiarsi” in ripetuti passaggi ravvicinati, fino a che la danza cosmica terminerà in una fusione a formare una struttura più grande (e molto diversa dalle due, probabilmente). 

Notate anche la bellezza dell’immagine, composta da dati Hubble Legacy, che permette di scorgere anche diverse altre galassie sullo sfondo.

(Elaborazione da APOD 23.4.2014)

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Una (bella) fetta di universo…

L’immagine è presa dal Telescopio Spaziale Hubble e ci mostra una bella fetta di universo, che comprende oggetti a differenti distanze e a diversi stadi evolutivi nella storia del cosmo. L’intervallo spazia da oggetti quasi contemporanei ad altri fotografati nello stadio in cui apparivano nei primi miliardi di anni di vita del cosmo. E’ una esposizione di ben quattordici ore e riesce a mostrare oggetti un miliardo di volte più deboli di quanto sarebbe possibile vedere ad occhio nudo.

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 Crediti: ESA/NASA

Personalmente, davanti a queste immagini “profonde”, la prima cosa che invariabilmente  mi colpisce è la quantità e la varietà delle galassie. E’ veramente uno zoo di galassie diverse ancora tutto da esplorare, come dicevamo in un uno degli ultimi post. C’è anche da dire che oggetti che sembrano vicini nella foto, in realtà possono essere anche assai lontani tra loro: di fatto, molti gruppi di galassie – pur trovandosi a diverse distanze . si trovano a convergere lungo la linea di vista, creando qualcosa di simile ad una illusione ottica.

Un altro fenomeno che rende ragione di una analisi dettagliata della foto, come di molte altre riguardanti l’universo profondo, è il fenomeno delle lenti gravitazionali. Questa è una conseguenza della prescrizione della relatività generale secondo la quale (incredibile a pensarci) la massa ‘incurva’ lo spazio dove si trova, tanto che un oggetto molto massivo può agire esattamente come una “lente” deviando i raggi luminosi che provengono da oggetti alle sue spalle, poiché la luce stessa segue la geometria locale dello spazio. Così dei gruppi di galassie ci appaiono distorti esattamente per questo effetto, perché magari nella linea di vista la luce che da loro proviene si trova a pesare vicino ad un concentrazione di massa particolarmente elevata (ammassi di galassie o altro). 

E’ interessante notare che i fenomeni legati alle lenti gravitazionali furono previsti dalla teoria appena dopo l’introduzione della teoria della relatività generale (che ricordiamo fu elaborata da Albert Einstein e pubblicata nel 1916) , per quanto per averne conferma empirica si sia dovuto aspettare molti decenni: le prime osservazioni di lenti gravitazionali risalgono infatti soltanto alla metà degli anni ottanta. Del resto, un modello teorico che “funziona” quasi sempre ci regala predizioni che risultano “avanti” rispetto alle tecniche osservative, le quali poi raffinandosi pian piano, arrivano sovente a porre problemi che mettono il modello in crisi. In un continuo gioco al reciproco superarsi, che è il cuore stesso del progresso scientifico così come noi lo conosciamo.

Da uno spunto di spacetelescope.org

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Un’astronoma tra i finalisti delle Olimpiadi di Astronomia 2014

olimpiadi di astronomia 2014 studenti

I quaranta partecipanti alle Olimpiadi di Astronomia 2014, Liceo Corbino di Siracusa. Crediti e copyright: Sabrina Masiero.

E’ stata la mia prima Olimpiade. Da anni seguivo e raccontavo dell’esperienza di molti studenti italiani interessati all’astronomia. Parlare di Olimpiadi di Matematica e di Olimpiadi di Fisica è piuttosto comune, ma di Olimpiadi di Astronomia un po’ meno. Il punto fondamentale sta nel fatto che l’astronomia non viene intesa come una vera e propria materia scolastica. Un tempo la si insegnava all’ultimo anno del liceo scientifico come “geografia astronomica”. Recentemente è passata come materia del primo anno del liceo scientifico, il che significa che il livello culturale dei ragazzi in questo ambito si è abbassato.

Vedo le Olimpiadi di Astronomia come un momento importante per i giovani di confronto e di nuova esperienza di vita e soprattutto di cultura. La competizione c’è come lo è in tutte le Olimpiadi, ma si avverte soprattutto la voglia di stare assieme e di confrontarsi. Anche Stefano Sandrelli, Presidente delle Olimpiadi di Astronomia, che fa parte dell’INAF di Brera, ha dato il suo suggerimento agli studenti durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, sabato 12 aprile, alla presenza di molte autorità: “La cosa che vi chiedo, ragazzi, come ho fatto nelle altre competizioni nelle finali delle Olimpiadi, è di darvi una mano. Se stasera andando a cena qualcuno di voi ha dei dubbi, parlatene. E’ questo lo spirito con cui si affronta il problema della conoscenza oggi perché le Olimpiadi di Astronomia sono un enorme investimento sulla cultura. E di questo noi ne siamo molto contenti e ne siamo coscienti, e se anche voi lo siete, secondo me questo aiuta tantissimo”.

“L’astronomia ha una valenza sociale che è estrema, eccezionale” ha continuato Stefano Sandrelli. “Ci sono delle ricerche presentate a congressi internazionali che mostrano come ragazzi delle scuole dell’infanzia, delle scuole elementari, delle scuole medie di estrazione sociale estremamente diverse di nazionalità diverse ma che si trovano a convivere nello stesso paese quando vengono coinvolti tutti insieme in attività di tipo astronomico trovano una coesione tra ragazzi e tra le famiglie dei ragazzi che non ha uguali. Quindi, noi studiamo il cosmo ma attraverso il cosmo veramente noi aiutiamo noi stessi, aiutiamo tutto ciò che riguarda l’integrazione e la comprensione l’uno dell’altro. E credo che questo sia uno dei messaggi più belli che dà l’astronomia, proprio come se fosse uno specchio, e che ci torna sulla Terra”.

Olimpiadi astronomia 2014 prova scritta

Gli studenti olimpionici poco prima dell’inizio della prova scritta, domenica 13 aprile 2014 presso il Liceo Corbino di Siracusa. Crediti e copyright Sabrina Masiero.

Partecipare significa sentire l’emozione vibrante della prova, la tensione del voler fare bene lo scritto, la concentrazione che si diffonde nell’aria mentre i ragazzi prendono posto, il bisogno di avere un adulto vicino che ti consoli mentre sembra che il tuo stomaco non regga alla paura.

Partecipare significa rendersi conto che sono ragazzi con una grande passione, simile alla tua, solo che tu le Olimpiadi non le hai mai potute fare, visto che sono nate solo 14 anni fa.

Partecipare per me ha voluto dire molto di più. E’ stata l’occasione per presentare ai ragazzi la mia splendida esperienza al Telescopio Nazionale Galileo, il telescopio italiano di 3,6 metri che si trova nell’Isola di La Palma, nell’Osservatorio del Roque de Los Muchachos. La mia esperienza può’ essere, e così mi pare sia stata, un esempio tra i molteplici casi di persone qualificate con laurea e dottorato che continuano a sognare e a lavorare nell’astronomia. Ho già raccontato della mia prima volta al TNG qui . Le emozioni che provavo erano quelle che vivevo da giovane, sui banchi di scuola, quando mi guardavo intorno e sentivo il cuore palpitare per il desiderio di conoscere di più, anche se ero consapevole di essere la sola a pormi questioni sulla luminosità delle stelle o su come si muovevano i pianeti. Alle Olimpiadi di Siracusa nessuno si sentiva isolato, anzi. C’era un filo rosso che legava ognuno di loro e nei loro sorrisi si coglieva la giovinezza di questo sentimento.

Mi facevano tenerezza e in fondo mi ritrovavo in loro, nei loro gesti, nei loro pensieri, nei loro occhi.

Sono grata al Direttore del TNG Emilio Molinari per questi miei sei mesi alla Fundacion Galileo Galilei-TNG dove ho messo alla prova tutta me stessa e dove ho potuto davvero coronare il sogno della mia vita. Visitare, vivere il TNG è stato decisamente il sogno più bello. Sono grata a coloro che mi hanno dato la possibilità di parlare a questi ragazzi, mostrando che sono solo uno tra i molteplici esempi di persone innamorate del proprio lavoro e che non vogliono arrendersi nonostante le grandi difficoltà che la vita in modo naturale pone davanti. I sassi che bisogna superare, le rocce appuntite che si trovano lungo il percorso li voglio vedere come ostacoli che rendono più luminosa la tappa finale, il coronamento dei propri sogni.

Ma passiamo a loro. Ai vincitori delle Olimpiadi Italiane di Astronomia 2014, premio Margherita Hack. Qui di seguito la lista:

Categoria junior

Cascone Mariastella, Liceo Scientifico “G. Galilei”, Catania
Latella Luca, Istituto Comprensivo “Don Bosco-Cassiodoro”, Reggio Calabria
Gurrisi Giuseppe, Liceo Scientifico “E. Vittorini”, Francofonte (SR)
Gatto Andrea, Istituto Comprensivo “Carducci-da Feltre”, Reggio Calabria
Imbalzano Francesco, Istituto Comprensivo “Don Bosco-Cassiodoro”, Reggio Calabria

Categoria senior

Miglionico Pasquale Liceo Scientifico Statale “Federico II di Svevia”, Altamura (BA)
Santoni Giacomo, Liceo Scientifico “G.Galilei”, Macerata
Giunta Marco, Liceo Scientifico “G. Galilei”, Catania
Pizzati Elia, Liceo Scientifico “Galileo Galilei”, Dolo (VE)
Gagliardi Francesco, Liceo Scientifico “E. Fermi”, Cecina (LI)

In base alle graduatorie precedenti, la squadra che rappresenterà l’Italia alle International Astronomical Oyimpiad è formata dai primi 3 classificati nella categoria junior e dai primi 2 classificati nella categoria senior. Pertanto la squadra italiana sarà costituita da:
Categoria junior: Cascone Mariastella, Latella Luca, Gurrisi Giuseppe
Categoria senior: Miglionico Pasquale, Santoni Giacomo

Ai seguenti link potete scaricare le prove sostenute dai ragazzi, con le correzioni:

la prova pratica per la categoria Junior e Senior
la prova teorica per la categoria Junior e Senior

A questa pagina potete trovare le foto della Finale.

Il video realizzato da Marco Galliani di Media INAF:

Sito ufficiale delle Olimpiadi di Astronomia: http://www.iaps.inaf.it/olimpiadiastronomia/

Sito ufficiale Olimpiadi di Astronomia – La squadra italiana selezionata nella finale di Siracusa – http://www.iaps.inaf.it/olimpiadiastronomia/la-squadra-italiana-selezionata-nella-finale-di-siracusa/

Programma delle Olimpiadi di Astronomia: sito web dell’INAF-Catania – http://www.oact.inaf.it/olimpiadi/Finale_2014.html

Altre informazioni sul sito di Media INAF: L’Astronomia Olimpica a Siracusa – http://www.media.inaf.it/2014/04/14/lastronomia-olimpica-a-siracusa/

Dai alcuni quotidiani online:
Siracusa NEWS- Siracusa, Svolte stamane le premiazioni delle Olimpiadi di Astronomia – http://www.siracusanews.it/node/46920

SiracusaOggi.it – Siracusa. Premiati i vincitori della finale italiana delle Olimpiadi di Astronomia – http://www.siracusaoggi.it/siracusa-premiati-i-vincitori-della-finale-italiana-delle-olimpiadi-di-astronomia/

247 Libero- Siracusa, svolte stamane le premiazioni delle Olimpiadi di Astronomia – http://247.libero.it/rfocus/20252066/1/siracusa-svolte-stamane-le-premiazioni-delle-olimpiadi-di-astronomia/

Esse press – A Siracusa l’Olimpiade di astronomia con 40 studenti da tutta Italia. “Evento legato alla storia della città e ad Archimede” –
http://www.essepress.com/a-siracusa-lolimpiade-di-astronomia-con-40-studenti-da-tutta-italia-evento-legato-alla-storia-della-citta-e-ad-archimede/

Su facebook – Olimpiadi di Astronomia – https://www.facebook.com/olimpiadiastronomia?fref=ts

Sabrina

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Primo pianeta extrasolare nella zona di abitabilità della sua stella

Kepler-186f NASA

Rappresentazione artistica di Kepler-186f, il cugino della Terra. Crediti: NASA Ames/SETI Institute/JPL-Caltech.

Grazie al Telescopio Spaziale Kepler della NASA un gruppo di ricercatori astronomi ha scoperto il primo pianeta di dimensioni terrestri in orbita attorno ad una stella nella sua zona di abitabilità, ossia nella regione in cui l’acqua si può trovare in forma liquida sulla superficie planetaria. La scoperta di Kepler-186f conferma che i pianeti che hanno dimensioni di tipo terrestre esistono nella zona di abitabilità delle stelle. Terra e Marte nel nostro Sistema Solare vengono a cadere nella zona di abitabilità del Sole.

Finora erano stati scoperti dei pianeti che si venivano a trovare nella zona di abitabilità della loro stella ma erano almeno un 40 percento più grandi della Terra. Questa volta le cose sono diverse. “La scoperta di Kepler-186f è un passo significativo verso la scoperta di mondi simili al nostro pianeta Terra” ha affermato Paul Hertz, Direttore dell’Astrophysics Division della NASA presso il quartier generale dell’Agenzia spaziale a Washington. “Le future missioni  NASA, come il Transiting Exoplanet Survey Satellite e il James Webb Space Telescope scopriranno pianeti extrasolari rocciosi più vicini e determineranno la loro composizione oltre che le loro condizioni atmosferiche” cercando da un lato di rispondere ad alcune domande fondamentali sulla nascita della vita sulla Terra e dall’altro di trovare delle risposte su possibili forme di vita nell’Universo.

Anche se le dimensioni di Kepler-186f sono ben note, la sua massa e composizione non lo sono. Ricerche compiute in passato, comunque, mostrano che un pianeta delle dimensioni di Keper-186f deve probabilmente essere roccioso.

“Sappiamo di un solo pianeta dove esiste la vita, la Terra. Quando cerchiamo la vita al di fuori del nostro Sistema Solare ci focalizziamo sulla ricerca di pianeti con caratteristiche che si avvicinano a quelle terrestri” ha affermato Elisa Quintana, Research Scientist al SETI Institute presso l’Ames Center della NASA a Moffett Field, California e primo autore del paper pubblicato ieri su Science. “Il trovare un pianeta nella zona di abitabilità confrontabile in dimensioni con la Terra è un grande passo in avanti”.

Kepler-186f fa parte del sistema Kepler-186, a circa 500 anni luce di distanza dalla Terra nella Costellazione del Cigno, la regione dove Kepler cerca i pianeti extrasolari. Il sistema è formato da altri quattro pianeti che orbitano attorno ad una stella con dimensioni e  massa pari a circa metà di quelle del nostro Sole.

“Le stelle nane di tipo M sono le stelle più numerose” ha affermato Quintana, e questo fa sì che da un punto di vista statistico sia più probabile trovare pianeti attorno a stelle di questo tipo.

Kepler-186f  ha un periodo di 130 giorni e riceve dalla sua stella circa un terzo dell’energia che il nostro pianeta riceve dal Sole. Inoltre, si trova vicino al bordo esterno della zona di abitabilità. “Anche se si viene a trovare nella zona di abitabilità questo non significa che il pianeta sia abitabile. La temperatura sulla superficie del pianeta dipende fortemente dal tipo di atmosfera che il pianeta ha” ha affermato Thomas Barclay, Research Scientist presso Bay Area Environmental Research Institute ad Ames e secondo autore del paper. “Kepler-186f può essere pensato come un cugino della nostra Terra piuttosto che un gemello. Possiede infatti molto proprietà caratteristiche della nostra Terra.”

I quattro pianeti compagni, Kepler-186b, Kepler-186c Kepler-186d Kepler-186e orbitano attorno alla loro stella ogni 4, 7, 13 e 22 giorni rispettivamente, rendendoli troppo caldi per la vita come la conosciamo. Questi pianeti più interni rispetto a Kepler-186f hanno dimensioni inferiori a 1,5 volte quelle terrestri.

I prossimi passi nella ricerca di vita su mondi lontani dal nostro sono quelli che puntano alla ricerca di pianeti gemelli della Terra o con dimensioni simili che orbitano nella zona di abitabilità della loro stella, oltre alla misura della loro composizione chimica. Il Telescopio Spaziale Kepler, che simultaneamente e continuamente ha misurato la luminosità di oltre 150 000 stelle, è la prima missione della NASA in grado di rilevare pianeti delle dimensioni terrestri attorno a stelle simili al Sole.

Fonte JPL-NASA:NASA’s Kepler Telescope Discovers First Earth-size planet in “Habitable Zone: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2014-119&utm_source=iContact&utm_medium=email&utm_campaign=NASAJPL&utm_content=universe20140417

Media INAF – Kepler trova un cugino della Terra- http://www.media.inaf.it/2014/04/17/kepler-trova-un-cugino-della-terra/

Sabrina

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Se accade qualcosa

Rileggendo le bozze per un piccolo libretto di poesia che vorrei finire di compilare nei prossimi giorni, mi sono imbattuto in un verso

“Se accade qualcosa mi placo: / la guardo soltanto accadere”

che mi sembra descriva adeguatamente questo momento, questo momento personale e questo momento anche a livello più ampio, sociale.

Così scorgo in fondo al mio cuore, palpitante, il desiderio che accada qualcosa capace di strapparmi al tappeto consolidato di pensieri e di auto-osservazione. Che accada qualcosa che mi strappi da me stesso, dalle mie furbizie consumate e dai bilanciamenti usati per tirare avanti. 

Ricordo. Da bambino c’era il senso forte dell’attesa di qualcosa. Un regalo, il ritorno di un genitore, un ritorno a casa. C’era un senso di una possibile svolta in ogni istante.

“I bambini stanno bene / per loro ogni giorno è differente” canta Fossati ne Il rimedio ed è una intuizione geniale.

Ora se spesso non troviamo niente per cui stupirci, da una parte sembriamo adulti (per quanto in una accezione un po’ triste) ma dall’altra ci muoviamo intorno come bambini insoddisfatti. Ma l’ultima cattiveria che possiamo farci, in questa condizione (tutti, credenti o non credenti), è impedirci di pensare che qualcosa di radicale possa ancora avvenire. Che possa esseri un punto di svolta, un punto di valore. Di dolcezza, soprattutto. Una dolcezza infinita è quello che il cuore attende per riposare, niente di meno.

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Un punto di dolcezza, di tenerezza che possa agire facendo sciogliere le resistenze dentro di noi, liberare il nostro potenziale creativo. Se non si è creativi si soffre, si soffre da morire. Creatività è forse semplicemente disponibilità ad un disegno sulla nostra vita, che siccome è unico perciò stesso ci rende unici, ci rende speciali e insostituibili.

Perché impedirsi di pensarlo? E’ ragionevole? Rispondo per me, dico di no.

Ma se lo dicessi in forza di una mia forza, mentirei. Crollerei. Se lo dico in forza di volti, di “persone e momenti di persone” attraverso cui vedo un Destino più grande, forse posso essere sincero.

Forse “Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi” (Didaché) vuol dire questo. Per me, adesso, vuol dire guardare fuori di sé e vedere persone amiche, volti, fare memoria di brani di conversazione, di persone che ci hanno guidato e sono in cielo (come Don Giacomo di cui oggi ricorre l’anniversario della morte), altre che ci guidano ora, con cui è possibile continuare un cammino.

Per tutto questo, mi dico, è ragionevole sperare. Anche avessi visto una sola volta questi volti, è ragionevole sperare. Per tutto questo, non si tratta di forzare un ottimismo, ma cedere ad una Presenza. Da cercare ogni giorno. Per riempire il cuore, e così poter sorridere alla moglie, ai bimbi, agli estranei. O se oggi magari non si sorride, per capire che si potrà sorridere comunque, domani.

Buona Pasqua.

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Uno zoo di galassie

Sono passati diversi anni dall’apertura al pubblico del progetto Galaxy Zoo; per la precisione era il giorni 11 di luglio del 2007; ne demmo conto su questo sito appena pochi giorni dopo il lancio, il 24 dello stesso mese. E’ interessante a distanza di tempo comprendere il grado di successo che ha avuto uno dei più prestigiosi esempi di citizen science, di scienza (vera) fatta dalle persone ‘comuni’. 

Il progetto, come molti sanno, è partito in maniera molto semplice: chiedendo alle persone di coinvolgersi nella classificazione di galassie, e rimanendo in un ambito volutamente elementare: ai volontari veniva chiesto di esaminare delle foto di galassie e decidere se fossero ellittiche o spirali – insomma la più basilare forma di classificazione morfologica. 

Le stime originali erano che se qualche migliaio di persone si fossero lasciate coinvolgere, si sarebbe potuto classificare un milione di galassie nell’arco di un paio d’anni. Va detto che la classificazione morfologica è fondamentale per una analisi statistica accurata del campione di galassie di cui abbiamo informazioni: lungi dall’essere un mero esercizio didattico, è un dato che può essere di importanza fondamentale per differenti branche della cosmologia e dello studio del nostro Universo. 

Ebbene, la cosa sorprendente è che – a distanza di venti ore dal lancio – il sito già riceveva qualcosa come 20.000 classificazioni per ogni ora (chiaramente un risultato molto al di là di quello che qualsisia team scientifico si sarebbe potuto proporre). Dopo quaranta ore dall’apertura, il sito riceveva addirittura 60.000 classificazioni per ora! Dopo dieci giorni, il pubblico aveva già sottomesso otto milioni di classificazioni. Ad aprile del 2008, quando il team di Galazy Zoo sottomise il primo articolo alla comunità scientifica, oltre centomila volontari avevano classificato ognuna delle circa 900.000 galassie della Sloan Digital Sky Survey una media di 38 volte (la ridondanza è un valore aggiunto importante, in quanto assicura l’affidabilità delle classificazione).

Di fatto, la popolarità di Galazy Zoo e il numero di classificazioni ricevute sta rendendo possibile raggiungere risultati scientifici che non sarebbero semplicemente stati possibili senza il contributo dei volontari. 

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La galassia spirale NGC 4414: l’Universo è pieno di galassie in attesa di essere classificate. E possono farlo tutti… (Crediti: NASA/ESA) 

Nel tempo il sito Galazy Zoo si è raffinato proponendosi obiettivi più ambiziosi (è interessante leggersi la storia, anche in italiano), e ora fa parte di una costellazione di siti (zoouniverse.org) che permettono di prendere parte attivamente – di solito, dopo una breve  fase di addestramento guidato, che può essere compiuta sul sito stesso – alla ricerca scientifica, in un ampio ventaglio di specializzazioni, che arrivano anche all’analisi dei diari di guerra dei soldati della British Army durante la prima guerra mondiale.

Forse, dopo un ampio intervallo di secoli in cui la scienza è rimasta prerogativa di chi aveva conoscenze particolari su un certo argomento, ci stiamo avviando ad una nuova epoca, ove – come ai tempi antichi – la scienza vera  è (di nuovo) accessibile praticamente a chiunque, posto che  abbia curiosità e voglia di ragionare e di capire. L’accesso distribuito alla rete è il requisito fondamentale per questo; la curiosità umana e la voglia di stupirsi sono però corollari indispensabili.

 (Alcuni dati sono presi dall’articolo A Zoo of Galaxies di Karen L. Masters)

 

 

 

 

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