In un certo senso c’è tutto. Tutto il nostro mondo fisico. Il modello di mondo che conosciamo, che riteniamo il più valido. A volte capita che mi chiedano, in occasioni pubbliche, come mai ci riteniamo contenti dei nostri modelli, quando sappiamo a malapena di cosa è fatto il 5% del contenuto di massa ed energia del cosmo.

L’universo osservabile. Crediti & LicenzaWikipediaPablo Carlos Budassi

Risposta facile. Siamo contentissimi, non contenti. Per la prima volta nella storia dell’umanità, ed esattamente in questi anni, abbiamo tra le mani una mappa scientifica del (nostro) Universo. Mai accaduto prima. Mappe come queste si sono sempre fatte, certo: ma erano basate sul mito e non sulla scienza. Il mito è fondamentale, riempiva un vuoto e inseriva la vita dell’uomo in un contesto di senso. E in fondo era un modello anch’esso, sia pur difficilmente falsificabile.

I modelli attuali lo sono. Noi pensiamo che l’ Universo (a prescindere che sia l’unico) si interpreta bene con questo modello, e fino a che nuove misure non contraddiranno il quadro, siamo tranquilli. L’Universo nella illustrazione è quello osservabile, che si spinge lontano e indietro nel tempo, fino ad incontrare la radiazione di fondo, questa eco del Big Bang che riempie tutto lo spazio.

Così sapere che il 95% di ciò di cui è fatto il mondo in pratica non lo sappiamo – e lo dividiamo tra una ampia parte di energia oscura e una parte minore (ma sempre ben più ampia del mondo conosciuto) di materia oscura – è semplicemente il segnale che c’è molto spazio per la ricerca, una ricerca umile.

Che dunque, come scrivevo anni fa in un piccolo racconto, molto ancora deve accadere. Nella vita personale come nella scoperta del cosmo. Che poi sono cose che non si possono separare più di tanto. Non come concetto, ma proprio, nell’atto pratico del vivere.

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