Diceva la poetessa Muriel Rukeyser che l’universo è fatto di storie, non di atomi. In dialogo con Marco Casolino, sulla provocazione salutare che genera questa affermazione, ho provato a dare qualche cenno di un racconto di astronomia che parte dalla sonda Gaia e il suo meraviglioso lavoro di censimento della Galassia, per sfiorare la meravigliosa e luminosa possibilità che l’astronomia stessa si faccia in qualche modo racconto essa stessa, per vivere fuori dai laboratori e dai telescopi, raggiungendo le giovani generazioni e chiunque si fidi della straordinaria potenzialità che ha il raccontare.
Qui puoi rivedere la diretta che si è svolta l’altro venerdì sera. Si è appunto partiti dal lavoro per Gaia del gruppo di Roma (il problema di come Gaia affronta i campi affollati e come in fondo se la può cavare), si è passati per i racconti del primo e secondolibro di Anita (e del lavoro presso una scuola che si è fatto su alcuni di questi racconti), ci si è fermati un momento sulle attività del Gruppo Storie dell’INAF, si è passati al volo sulla rubrica di Edu INAF Lo spazio tra le pagine, dedicata proprio all’intersezione della letteratura con l’astronomia.
Arrivati su Amazon verso la fine di agosto, sono gli altri racconti che non avevano trovato posto nel primo volume, Anita e le stelle, pubblicato nel 2019. E direi subito che il tempo è servito, perché questi altri sei, sono stati esaminati anche da alcune persone del Gruppo Storie dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, diventando proprio oggetto di lavoro. Sono così arrivati diversi suggerimenti per migliorare i racconti, alcuni dei quali implementati nel volume che ora potete leggere.
Così spero che lo sguardo di Anita sulle stelle si sia fatto più penetrante, più fresco e più vivo. Almeno di un poco. Forse Anita, la conoscete già. Magari alcuni di voi la conoscono, almeno un po’. Anita è una ragazzetta molto vispa e curiosa, che si fa un sacco di domande (come tutte le persone della sua età). Fatto sta che lei ha una mamma che è astrofisica di mestiere, e dunque le può rispondere anche a domande sull’inizio del cosmo, sul Big Bang, sugli alieni, sulla forma della nostra Galassia, e su tante altre cose del cielo che, in effetti, destano la curiosità di tutti.
I temi forse li potete intuire, scorrendo i titoli. Ci vuole un grande telescopio?, L’universo conosciuto, La storia del presente universo, Lo scoppio più grande di tutti, Le stelle più vicine a noi, Quando ci visitano gli alieni. Insomma ci sono tanti argomenti di cui parlare, tante occasioni per Anita per fare domande, anche perché ogni domanda in realtà è una richiesta di attenzione ed affetto verso la mamma: attenzione prontamente e limpidamente ripagata, esaudita. C’è uno scambio sottile tra le due donne che va oltre l’astronomia, perché l’astronomia da sola non basta, non serve. Serve se indica altro, appunto.
Lorenzo è sulla soglia di una scoperta straordinaria, una scoperta che promette di rivoluzionare l’astronomia per gli anni a venire. Unendo il quadro cosmologico consolidato con le più recenti acquisizioni delle geometrie non euclidee, scopre una connessione feconda che può portare ad un risultato senza precedenti. Tuttavia non viene compreso dal suo ambiente scientifico ed anzi deve lottare con il suo superiore che vorrebbe destinarlo ad altre ricerche.
Vive questo particolare momento della sua storia professionale mentre si trova nel mezzo di una crisi matrimoniale, che sta raggiungendo forse il punto di rottura. Potrebbe compiere un balzo avanti straordinario sul piano conoscitivo, se solo trovasse il modo di poter verificare la sua intuizione. Nel contempo, sta rischiando un annichilimento completo sul piano affettivo. Le due problematiche risulteranno assai più legate di quanto lo stesso Lorenzo avrebbe potuto supporre. È un cambio di atteggiamento verso il reale, una maggiore compromissione con la vita, che permetterà ad entrambe le situazioni di raggiungere uno sbocco inaspettato, di fluire verso un compimento reso in precedenza impossibile o comunque difficile da una attitudine troppo intellettuale. Una maggiore immersione nel flusso della vita porterà a Lorenzo un rifiorire di inattesa fecondità.
Il racconto Venti passi rappresenta il mio contributo al Carnevale della Matematica #69 dal tema “Macchine matematiche antiche e moderne”.
Daniela aveva questo, nel cuore. Voleva smettere di rimanere nella pioggia, voleva essere amata. Davvero. Quasi due anni ormai che lei restava nella pioggia. Alla sua amica del cuore, Amanda, lo diceva così. Quando lei le chiedeva, arrivata in ufficio, “come stai”, lei rispondeva in questo modo. Ormai era uno standard, una consuetudine tra loro, come un gioco.
“Come stai?”
“Sono nella pioggia”
E poi magari sorrideva. Perché Daniela aveva un sorriso contagioso e non le importava troppo di nasconderlo, sorrideva anche quando era nella pioggia…
Passeggiavamo nel viale alberato. Lei non piangeva più, anche se il suo volto era ancora segnato dalle righe sottili delle lacrime versate.
“Non è vero, non è più così. Lo sai. Ora, lo sai” , disse Laura.
Non risposi. Assorbivo l’aria, le sensazioni. Il suono dei miei passi. Aspettavo di appoggiarmi su un terreno più semplice, ricercavo un piano di stabilità interiore più definito.
Erano ancora raggi serpeggianti di tensione sul suo viso, ad apparire. Velocemente poi si diradavano. Osservavo, preferivo aspettare.
Osservavo, preferivo aspettare…
Non so. Non so dirti, Laura. Lo dissi o lo pensai, non ricordo. Lo sentivo.
“E’ una cosa passata. Lo sai”, disse lei di nuovo.
C’era una barriera che non cadeva, un qualcosa che non si schiudeva. Camminavamo, in silenzio. Non ero preoccupato: c’era solo da attendere. Non si poteva forzare, non si poteva forzare nulla.
Le cose grandi e le cose piccole si mischiavano. I moti dell’animo erano importanti, come gli alberi maestosi sotto i quali camminavamo. Il microcosmo delle sensazioni variava in alta frequenza ad ogni nostro passo.
Lei fece il passo più coraggioso. E la situazione si appoggiò nel suo punto di stabilità, nello stesso istante. Si fermò, appoggiò il viso sul mio petto. Respiravo il profumo dei suoi capelli biondi.
“Il resto non conta nulla. Io ti voglio bene. Io ti amo”, mi disse guardandomi.
Niente, nessuno, era più femminile di Laura, in quel momento. In quel brevissimo fondamentale momento, nel lungo viale alberato.
Assai volentieri ospitiamo la presentazione integrale della professoressa Carla Ribichini (I.C. Comprensivo “Marcello Corradini”, Roma), contenuta nel volume di racconti per ragazzi “Anita e le stelle” (Arsenio Edizioni, Euro 14) in uscita in questi giorni, già disponibile su Ibs.it.
«A volte mi sento brillare come una stella che non vive in cielo, vive sulla terra e brilla anche di giorno. È facile sentirsi una stella, basta amare la vita e sentire dentro la vera stella che vuoi essere. Dentro tutti siamo stelle.»
Così Davide, in modo semplice e commovente, racconta la sua esperienza dopo la lettura del racconto di Marco CastellaniLa bambina e il quasar.
Gli alunni della scuola media “P.M. Corradini” di Roma hanno partecipato al progetto Educare narrando… tra Scienza e Poesia e hanno compreso che raccontare una storia non è pratica oziosa, ma strumento per educare e risvegliare i cuori. Lasciar parlare la voce delle storie è importante perché le storie mettono in movimento la vita interiore, soprattutto quando è denutrita, spaventata e messa alle strette, come spesso lo è la vita dei nostri giovani.
Unire lo studio metodico e rigoroso dello scienziato allo stupore e alla meraviglia del poeta è l’azione coraggiosa di Marco Castellani. I momenti fondamentali del suo prezioso lavoro: ricerca e conoscenza, restituzione e servizio, sono stati per noi strumenti di apprendimenti significativi. La sua passione per l’universo e il suo amore per l’uomo che lo abita lo hanno spinto a donarci una scienza nuova. Lo scienziato illuminato sa che la conoscenza da sola non basta, ed ecco allora che, tra le righe dei suoi racconti, si affaccia una scienza che si rende disponibile e comprensibile e si mette a disposizione di tutti attraverso emozioni e ritmi narrativi.
L’autore, scienziato e poeta, ha voluto divulgare la scienza in modo nuovo, l’ha liberata dalle sue catene. Una scienza non più prigioniera, ma dettata dal cuore ha reso comprensibili i concetti più astratti e complessi; l’intimo colloquio che l’autore è riuscito a stabilire tra scienza e poesia è stato la chiave segreta per conoscere il mistero della vita.
I racconti sono stati una finestra aperta sul cielo. La curiosità e lo stupore della protagonista e la sua forte determinazione alla conoscenza, hanno aperto un varco e spalancato le porte dell’universo; la classe si è trasformata in un vero e proprio osservatorio e i ragazzi, che generalmente hanno lo sguardo rivolto a terra, hanno alzato gli occhi e, con il naso in su, si sono divertiti a contare le centinaia di migliaia di stelle, hanno assaporato l’armonia perfetta che anima il cosmo. E il cosmo, prima lontano ed oscuro, a poco a poco, si è fatto loro più vicino, i corpi celesti sono entrati nello spazio del loro cuore cambiando il loro universo interiore: tutti hanno conosciuto il cielo sopra e dentro di loro e fatto esperienza del legame profondo che c’è tra gli uomini e le stelle.
Così raccontano Marika e Aurora:
«In un punto sparso dell’universo ci siamo io e le mie possibilità: ogni mia molecola è unica, capiente di speranza e saggezza, voglio incamminarmi, fare un passo in avanti e trovare la mia luce. Vari stadi di conoscenza evoluta mi attendono e le stelle aspettano il mio arrivo.» (Marika)
«Sono una piccola stella che brilla, silenziosa e tranquilla, sempre in evoluzione. L’essere umano è rinchiuso nella parte più buia e triste di sé. Credo che tutti noi siamo stelle e dobbiamo evolverci, uscire da quella profonda oscurità e affrontare la vita nella luce.» (Aurora)
La lettura è stata un’avventura affascinante, ha permesso ai ragazzi di diventare un po’ esploratori, un po’ scienziati, un po’ poeti e conoscere le meraviglie della scienza. L’autore, con umiltà, ha guidato tutti a scoprire la bellezza che dorme nascosta nell’universo e, in modo delicato e discreto, ci ha coinvolti per proteggere e salvare la nostra dimora planetaria. I ragazzi si sono sentiti chiamati a fare la loro parte, hanno lavorato con la serietà di veri scienziati, hanno imparato a guardare il cielo e hanno sentito il desiderio di portare la sua luce, il suo raccoglimento e il suo silenzio sulla terra bisognosa. Queste sono le loro sincere e commoventi promesse:
«Le corde dell’Universo mi avvolgono e mi trascinano in un insolito viaggio. Vedo sfumature di energia potente che galleggiano sulle onde del mare infinito. Le stanze dell’Universo sono aperte e il ragazzo che non vuole sprofondare in un buco nero guarda oltre, ascolta il silenzio delle stelle e della loro pazienza. Sa trovare la giusta direzione, mantenere le promesse e migliorare.» (Marika)
«Ogni volta che appoggio la testa sul cuscino, in quell’istante prima di addormentarmi, vedo in uno specchio la mia immagine rifratta che si tramuta prima in acqua e ancora in aria e quell’aria arriva nel lontano universo. Da lì osservo il mondo e mi sento libera: sono un piccolo anello di una grande catena, sono un piccolo strumento di un’infinita orchestra e di un’infinita armonia. Come ragazza dell’universo prometto che sarò forte e tenace e lo salverò.» (Monica)
«Prometto di trasformare il male delle persone in amore, di piantare il seme della conoscenza, di lasciar giocare la mente con le stelle e di correre con le comete. Come un vecchio saggio prometto di ascoltare il silenzio siderale dell’universo» (Tiziano).
L’uomo ha un assoluto e urgente bisogno di essere introdotto alla Scienza e comprendere il mondo in cui vive, da sempre si è sentito misteriosamente attratto dalla potentissima energia che continuamente piove dal cielo, da sempre ha percepito una forza primordiale strettamente connaturata con la sua vita; eppure, di fronte all’immensità del creato, ha provato paura e solitudine; avvicinarsi all’astrofisica e conoscere l’universo è per lui un’esperienza importante e necessaria.
L’astrofisico Marco Castellani ci ha dato l’opportunità di interagire con la Scienza e, con la leggerezza del poeta, ci ha permesso di ascoltare la voce dell’universo; in modo stimolante e coinvolgente, ci ha ricordato che l’universo ha bisogno di ognuno di noi, della nostra consapevolezza e del nostro lavoro; i suoi racconti sono stati un sofisticato e potente telescopio grazie al quale abbiamo compiuto un vero e proprio viaggio planetario.
Alla fine del viaggio le distanze si sono sorprendentemente annullate: scienza e poesia, cielo e terra, abissi e altitudini, esseri umani e stelle, tutto strettamente connesso, legato e unito. Ci siamo sentiti finalmente meno soli, abbiamo subito il fascino delle stelle e capito di essere a casa, innamorati del nostro immenso cielo, quello sopra di noi e quello dentro di noi.
«Ho visto pianeti conosciuti, narrati con amore ho ascoltato le loro storie, assaporato le loro verità mi sono accorta di essere tutt’uno con l’universo e che l’universo è in me.» (Daniela)
A volte sono le cose più minute che ti fermano. Anche un titolo. Sopratutto un titolo. Di solito dall’impasse non si esce pensando. Non si sbuca fuori a botte di riflessioni.
Come in tutto, del resto.
Più uno pensa ad un dato problema più ci si incarta dentro, usualmente: vi si incellofana ben bene. Le situazioni si stratificano, si crostificano, si congelano. Più uno pensa più perpetua la condizione presente, impedendo ad altre forze di entrare in campo. Forze che possono agire più efficacemente profittando del nostro abbandono. Abbandono: non certo nel nostro affannoso disaminare tutti i lati di una situazione, i pro e contro di una decisione.
Lasciare andare, lasciare scorrere. Permettere che qualcos’altro entri in campo. Togliersi dal posto di guida, mettersi a guardare la propria vita dal lato passeggero. Smettere di cercare di guidare, per un po’. Non ti impicciare più della tua vita che non sono affari tuoi cantava De Gregori molti anni fa, con felice intuizione
Sento che questo è vero anche ed in particolare per loro, per le cose dell’anima.
Tutte le volte che facciamo progetti per allontanarci dai disagi, puntualmente li rinforziamo. Pensare a una vita futura migliore di quella che stiamo vivendo, ci rende più incerti, fragili, impotenti. Si possono passare anni a compiangersi, a dirsi che il benessere verrà solo quando le cose cambieranno, quando le persone intorno a noi ci tratteranno meglio. Niente di più falso! Non è l’esterno a farci star male, ma il fatto che non ci affidiamo al nostro interno, che sa benissimo cosa fare per noi stessi e dove condurci.– Raffaele Morelli
Così le cose si sistemano e si allineano quando uno finalmente, stremato, lascia. Quando molla. Quando fa un passo indietro, e lascia agire, non pensa più di fare, stabilire, sistemare. Allora, solo allora l’imprevisto può entrare in campo.
E la vita ne sa più di noi, questo ce lo dimentichiamo sempre. La sorpresa viene oltre noi, in qualcosa che non abbiamo pensato. Nella forma che non abbiamo pensato.
Anche nelle piccole cose, lo vedo.Piccole: come in un titolo. Come nel titolo della raccolta di poesie e racconti che inizio ora a pubblicare su Wattpad. Stavolta voglio fare così: prima di tutto pubblicare piano piano le storie e le poesie online (alternate in capitoli pari e dispari), poi eventualmente ragionare sulla pubblicazione in volume.
Questo perché Wattpad mi intriga sufficientemente da suggerirmi questo approccio. E perché mi piace sperimentare, lo ammetto.
Ma il titolo. Appunto. Qualcosa a a che vedere con un parco, che è il vero centro gravitazionale di queste storie, e di queste poesie. Ma non mi soddisfaceva niente, niente di quello che pensavo. Forse appunto perché pensavo. Perché razionalizzavo. Perché – ultimamente – mi sforzavo.
Fino a che, l’altro giorno, accade. Sono nel letto. Mi giro, guardo il comodino. Vi sono appoggiati molti libri, che usualmente sopravvivono in uno splendido spreco di entropia: in breve, si va da Jung a Leopardi passando per le lezioni di fisica di Feymann. Lo stato dei libri varia a seconda dei carotaggi effettuati dagli umani (principalmente, da me). Come in un magna, vengono a volte in superficie strati rimasti per diverse ere geologiche a grandi profondità, e parimenti affondano elementi abituati da tempo alla superficie.
Ecco, poche ore prima c’era stato un tentativo (intrinsecamente semi-disperato, vista l’entità dello sforzo richiesto) di rimettere un po’ di ordine, che aveva provocavo qualche assestamento. Appunto.
Dicevamo. Mi giro, guardo il comodino. Ora c’è il libretto di poesie di una amica, Carla Cenci. Che ha guadagnato la superficie da poco, appunto. E che adesso mi guarda (intendo, il libro). Mi aspetta. Mi vuole dire qualcosa (ma io ancora non lo so). Lo guardo pigramente. Senza volere, mi faccio invadere passivamente dal titolo, Lo scombinio di un giorno molto verde.
… di un giorno molto verde….
Ecco. Un giorno molto verde.
Ma sì. Un giorno molto verde!
D’improvviso ogni cosa trova posto. E come è già accaduto per In pieno volo, il titolo stesso si sistema sul materiale scritto, lo vivifica, lo rende più appetibile, mi fa venire voglia di tornarci a lavorare. DI sistemarlo davvero.
Tutti segni che è quello giusto.
Carla non se ne avrà a male se le rubo tre quarti del suo titolo. Il fatto è che si adatta perfettamente. Sai quando provi mille vestiti e non te ne va bene uno? Troppo lungo, troppo stretto, basta, sono stufa, andiamo via… Poi qualcuno dice no aspetta prova questo E tu provi sfiduciata e stanca, proprio per dare fiducia alla tua amica e … BAM!
E’ perfetto.
Perfetto.
Come cucito intorno a te, su misura, proprio.
Allora il titolo è così, a posto. E’ un giorno, un giorno appena. Infatti. Vissuto attraverso tante storie, tanti scampoli di storie, che avvengono nelle case, negli ambienti che circondano il parco. Che si nutrono del suo verde, che vi si appoggiano. Che – inconsapevolmente – lo respirano.
E’ quel verde, scandito alle varie ore del giorno dai versi, che si introducono tra i vari racconti, quel verde. E’ lui il protagonista. Quel verde che dà un respiro in più, assicura un punto di fuga, una possibilità di respiro più ampio, più fondo. Una ultima cordiale amicizia, tra uomini. Che vivono. Che vivono perché – con tutta la loro sfavillante fragilità – la vivono.
E’ un progetto antico e nuovo.
Antico nella sua iniziale concezione. Nel tempo, arricchito, maturato. E’ passato un romanzo, delle poesie. Intanto ha respirato: ha respirato la stessa pazienza del parco, affondato nella terra il suo seme perché crescesse. E l’ora della sua maturazione si avvicinava. Ve lo dico: ogni volta che passavo nel parco – quasi ogni volta- mi tornava alla mente. Quando passavo vicino a quell balcone, che per me è quello di Carla (quadro secondo) sempre mi veniva in mente. Mi veniva in mente del progetto da terminare, da finire.
Ora viene piano piano alla luce, finalmente. E perciò stesso è nuovo.
Appena questo, la cronaca di un giorno molto verde.
Passeggiando nel parco sotto casa, mentre intorno la primavera era esplosa. Limpida, incontrollata, totale primavera. Passando in un campo di fiori gialli mi è venuta in mente una frase. Ha cominciato a ricircolare nella testa, a fertilizzare le cellule cerebrali. Sì, poteva essere uno spunto per un racconto? Sì, sì. Poteva. E un omaggio (rispettoso, deferente) a Joyce, il grandissimo.
Giallo è il colore ed era quello ed era il colore della mia maglia e della tua magia. Ed eri tu. E intorno erano tutti fiori gialli sai non avevo mica pensato uscendo da casa che avrei trovato tutto quel giallo. Cioè quel giallo che era spuntato in mezzo al verde come lo conoscevo. L’avresti detto mica. Spuntato in una notte, o magari invece nella mattina mentre io ancora ero lì che ancora pensavo se tu venissi o non venissi oggi da me. Così quando i miei occhi si sono affacciati a tutto quel giallo hanno chiamato su il cuore ed ecco in pratica, ecco, è stato appena come se il mio cuore si fosse improvvisamente allargato e improvvisamente tutto appagato…. (leggi tutto)