Blog di Marco Castellani

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Vento

Apri le tue vele
ad accogliere il vento
che molto ancora
per te deve accadere
(Angelo Branduardi, Il Viaggiatore)
Esci dalla baia, ti allontani dalla terraferma. Ron ron, il motore sotto i tuoi piedi è tranquillo e rassicurante. Ma anche poco interessante, in verità. E’ normale andare avanti, se sei spinto dal motore. Ad un certo punto però qualcuno nell’equipaggio scruta il quadrante, quello davanti al timone: dice sì c’è vento, possiamo aprire. Finora le cime sono tirate, le vele chiuse, contratte. Al segnale lasci scorrere, allarghi il fiocco, la randa. Li spiani davanti al cielo.

La vela si stende, si allarga. Respira, finalmente. E prende vento.

Tutto a posto, puoi spegnere il motore. Ora c’è il silenzio. E la barca vola sull’acqua, senza rumore. Se non quello del vento, che gonfia le vele e ti fa andare avanti. Sembra un miracolo. Andare un barca a vela è un po’ come accendere un fuoco. Una sorta di antichissimo rito, che si rinnova nel presente, davanti a te. Ecco, pensi fare una cosa nuova, in realtà affondi nel solco solido della storia, dei millenni.

Finalmente vai a vela. Un’esperienza unica, nuova e familiare allo stesso tempo.
Sembra impalpabile, etereo, il vento. Sembra qualcosa che c’è e non c’è, come sospeso in una condizione instabile di semiesistenza. Il fatto è che anche tu sei moderno, nel bene e nel male: sei abituato a pensare che esiste solo ciò che tocchi, che manipoli. Fino a che non ti affidi a lui, all’impalpabile vento: lasci le tranquille certezze, spegni il motore, e vieni portato. Non ti accorgi di quanto è reale il vento, di quanto ti spinge, ti porta, fino a che non ti affidi.
E dunque non decidi tu, non stai più lì chino a regolare il motore. E’ una cosa più divertente. Certo, magari studi come sfruttare il vento, come far muovere la barca dove vuoi, sfruttando il vento che c’è. Muovi le vele apposta, se cambia il vento ti adegui, ti muovi di conseguenza. Vai di lasco, di bolina. Cambi mure. In ogni caso, qualsiasi sia la tua strategia, la tua rotta, è lui che ti spinge. Non sei tu che devi inventarti come andare, devi solo ingegnarti a lasciar fare, nel modo migliore.
Navigando nelle acque dell’Argentario…
La vela si gonfia e più è grande, più accoglie vento. Più sei disponile, più apri, più vieni portato. Lo ammetto: a volte mi sento così accartocciato su me stesso, che mi metto in modo tale da non raccogliere vento, da non farmi smuovere, da non farmi portare. Dico che non ho le vele perché le tengo tutte chiuse, ho paura quasi di vedere che ci sono, che si possono aprire, allargare. Allora sì che sto fermo, e ci sto male.
Che poi il vento non è che ti chiede niente, se non la disponibilità ad aprire le vele, aprirti. Non è che sta a vedere se sei stato buono o cattivo, se hai litigato con tua moglie o se tutti i tuoi desideri sono in regola, se stai vivendo come pensi sia giusto vivere o ti sei lasciato prendere da dinamiche differenti. A volte uno è incastrato a pensare a cosa ha fatto o non ha fatto, a inventarsi delle inutili autovalutazioni, a ruminare stupidamente su quanto sia lontano dall’ideale. E si dimentica della cosa più semplice ed importante. Aprire le vele.
E’ quando apri le vele che le cose accadono. Sempre. Non sei determinato dal tuo passato, il passato scompare veloce a poppa, proprio perché la barca sta andando. Il passato è passato ma qui te la giochi nel presente. Sei disponibile o no a fare il viaggio? Apri le vele o no? Il vento soffia e ci invita, sempre. In ogni momento. Ma la decisione rimane nostra, perché il vento invita e non obbliga. E ha un rispetto sacro della nostra libertà.
Di ciò che, veramente, ci fa essere uomini.

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Cefalù Meeting, appunti e impressioni

Una settimana a Cefalù (in Sicilia) per il meeting “Advanced Computational in Astrophysics“. Una settimana in cui sono successe tante piccole cose belle, che mi hanno fatto capire di aver fatto bene a vincere le mie resistenze, ad andare. Perché poi uno si fa prendere dall’inerzia, dalla paure di non essere abbastanza bravo, abbastanza  capace. Così non si mette in gioco. Sbagliando.

Meno male che sono andato. Il talk sulla web application VOGCLUSTERS è andato bene (qui ci sono le slides), ma la vera sorpresa è stata l’amicizia confermata con colleghi, con persone, che conoscevo più o meno bene. In un caso è stata una conoscenza nuova e un approfondimento di stima reciproca, gratificante. Il lavoro è stato non troppo faticoso ma continuato; e in questo contesto aver percepito un senso di fiducia verso di me, da parte della gente intorno, è stato veramente un balsamo, contro le insicurezze con le quali devo convivere.

Cefalù...
La piazza del Duomo, con la locandina del congresso in primo piano…


E dai momenti di sconforto nel giorno dell’arrivo (a stare senza la famiglia per una settimana, “affrontare” il problema di parlare in pubblico…), fino alla crescita di confidenza, pian piano, per le cose che succedevano – pur attraverso tutti i miei limiti – è stata una bella progressione. Da guardare, perché in fondo non dobbiamo fare nulla, se non guardare cosa fa Lui, nella nostra vita. Tutta la ribellione, o l’ansia di fare, alla fine deve approdare a questa sponda (e per certe cose, ragionavo, anche il senso di impotenza a migliorarsi in certi difetti, anche quello può servire, a capire che da soli non possiamo far nulla). La pretesa che diventa domanda, come leggevo proprio in questi giorni.

E’ un lavoro da riprendere sempre, ogni mattina. Niente di acquisito, niente da buttar dentro il perimetro delle cose “possedute”, per passare oltre. Qui non si tratta di passare oltre, si tratta di mettersi nell’atteggiamento giusto per camminare davvero, magari zoppicando, ma camminare davvero. Un lavoro da riprendere ad ogni istante: il supremo lavoro della nostra libertà. Cercando di leggere anche i segni dentro la nostra inquietudine, questa “inquietudine che nessuna cosa concreta riesce a colmare” (per usare le parole, così piene di realismo, che il papa ha pronunciato appena ieri)

Cefalù mare...
Le case che si affacciano sul mare…
Cefalù è splendida, una piccola gemma. E’ come un microcosmo in cui si trova tutto, il Duomo, il mare, la spiaggia, la stradina deserta e Corso Ruggero affollato di negozietti colorati, il lungomare con i ristoranti, la gente che si muove, chi vestito di tutto punto chi con costume, parèo e ciabatte da spiaggia.

Alcune cose succedono quando devono succedere (o forse tutte, ma di alcune si ha percezione più chiara), la settimana a Cefalù è probabilmente una di queste.

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Cinque giorni a Cambridge…

Così, eccomi per la seconda volta a parlare di un soggiorno a Cambridge, sempre per il progetto Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Stavolta c’era da fare parecchio, risistemare le procedure di riduzione dati in vista di una maggiore efficienza. Il giorno si stava all’Istituto di Astronomia, il pomeriggio e la sera si gironzolava per Cambridge, magari con una sosta in qualche pub.


A spasso per Cambridge… 🙂

Arrivare a Cambridge non è cosa da lasciare indifferente il mio cuore. E’ come un anticipo di autunno, ma dell’autunno che piace a me, dove i colori risaltano e si è come attratti da una prospettiva di intimità con il proprio cuore, dalla possibilità che risuoni con la natura, con i parchi verdi, l’aria tersa, che si allarghi nello spazio intorno…

Poi certo, c’è il lavoro, la sua sfida. Le conquiste e le tensioni. La soddisfazione di un attimo, il timore dell’attimo successivo. Discese ardite e risalite. E’ giusto il codice? Va cambiato? Il lavoro fatto finora è adeguato? Lo sto facendo sufficientemente bene? Tante volte mi sono risuonate in testa queste domande (e la risposta dipendeva dall’umore del momento….)

Poi le sere a parlare con i colleghi di Roma, compagni di questa buffa avventura. Capire che ogni persona è un universo, un insieme di giudizi e valutazioni e un punto unico sulla vita e sul mondo. Viene fuori meglio la sera parlando, quando magari si è a stretto contatto per una settimana, che nella routine lavorativa ordinaria. In orario di ufficio si è tutti più trattenuti.

Il contatto discreto con la moglie, come una cornice a tutto quel che succedeva. Due parole al telefono, la sera. I messaggini, più affettuosi del solito, segnali di riferimento per non perdere il tragitto. Seguire il sentiero. Parlavano, anche sotto le parole. Quel che per pudore non veniva scritto a lettere, era comunque chiaro. Dicevano io sono con te, stai tranquillo. 

La sera in stanza leggevo qualche pezzetto di Tracce e di una rivista di computer (il primo per farmi “sentire” sul cammino, il secondo per sgombrare la mente stanca dal giorno passato alle riunioni). Avevo anche La storia infinita ma sono andato avanti poco.
 

Alti e bassi. Ma la cosa di cui sono davvero grato, è che in ogni momento, in ogni giornata, c’erano sempre due o tre cose che capitavano, a volte anche piccole piccole, ma che sembravano arrivare con un significato specifico. Spesso usando la posta elettronica (ma il mezzo è quanto mai ininfluente). Una cara amica che si faceva sentire, un apprezzamento inatteso di un lavoro di qualche tempo fa… Come dire, ecco dove puoi guardare oggi, per sentirti confortato. E’ ragionevole ma non viene imposto. A te la scelta….  

Senza forzare la  libertà, ma come suggerendo delicatamente…

Su tutto, la sensazione che malgrado tutte le debolezze, i limiti, esista una strada, che si può percorrere…

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Il viaggio…


journey
Inserito originariamente da Manang Epil

E’ bello trovare, ogni tanto, il senso dell’essere in viaggio. Pensarsi viaggiatori anche su questa terra, allentare la pressione su persone e cose perché appunto, in fondo siamo di passaggio.

E’ bello anche pensare che le cose non si ottengono subito, ma pian piano, camminando.

Non abbiamo già ora tutto quello che vogliamo. Non abbiamo la felicità (pur avendo tante cose). Però c’è una strada, e per questo il cuore – pur in mezzo alle tempeste della vita – può esser più leggero, quasi sollevato. Non sospeso al vuoto, ma appoggiato “su un pieno”, una pienezza…

« È bella la strada per chi cammina, è bella la strada per chi va,
è bella la strada che porta a casa e dove ti aspettano già. »

(Claudio Chieffo, La strada)

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Cambridge (e Londra), quinto giorno


In London
Inserito originariamente da mcastellani

E’ il giorno della partenza, del ritorno a Roma.

Ci alziamo e facciamo come di consueto colazione all’inglese nel “nostro” Bed & Breackfast (dopotutto, ci siamo solo noi…). Salutiamo il padrone di casa che viene la mattina a prepararci la colazione (specificando a sua domanda che siamo entrambi della Roma: no no, non della Lazio). Poi ci avviamo a piedi verso la stazione dei trani di Cambridge. Non è molto vicina ma ne approfittiamo per ripercorrere un pò tutto lo scenario che ci ha fatto compagnia in questi giorni.

Il treno ci porta a King’s Cross. Poi ci dobbiamo spostare a London Bridge perchè il weekend la tratta per l’aeroporto è spostata in questa stazione, così ci immergiamo nella celebre metropolitana londinese, ovvero entriamo dentro la mitica The Tube (anche se solo per poche stazioni).

Usciamo in superficie e ci troviamo come catapultati in mezzo alla metropoli, a due passi proprio dal Tamigi. Sul ponte si gode una skyline incredibile, l’occhio spazia su una estensione di palazzi e monumenti e costruzioni davvero ampia. E’ come un colpo d’occhio globale, ancor più prezioso per noi che non possiamo permetterci il tempo di addentrarci nella città.

Ci facciamo fare una foto sul ponte da due turiste, poi ci avviamo su una stradina che costeggia il fiume. Dopo poco troviamo un pub dall’aria sfacciatamente inglese, ed entriamo per una birra. Dentro l’atmosfera calda tipica di questi posti, colori scuri, abbondante uso del legno. Molto congeniale al mio carattere, per quanto mi conosca. Lo trovo piacevole e riposante, infatti.

Il tempo è poco e dopo la birra siamo costretti a ritornare verso la stazione. Arriviamo ai treni e troviamo quello che parte per l’aereoporto. Ci mettiamo sul treno e rimaniamo un po’ tranquilli, ognuno con i suoi pensieri. Il bello di andare con il treno è che si può pensare; anzi, se le condizioni di viaggio lo permettono, è il luogo ideale per riflettere: insomma, sei sganciato dalle contingenze geografiche-relazionali, per così dire. Scorri tra le varie situazioni, sicchè hai più gradi di libertà e puoi meglio pensare, fare connessioni; puoi vedere da una prospettiva più allargata anche, a volte, la tua situazione di vita; allarghi la mappa e vedi meglio il punto che dice “voi siete qui”.

In aereoporto ci concediamo un piccolo pranzo in un fast food. Guardo le persone, le cose, con la consapevolezza che tra poco sarò sbalzato in un ambiente e un posto completamente diverso; come ho capito, fa parte dei “pros and cons” dei viaggi in aereo. L’aereo ti collega rapidamente, troppo rapidamente, tra due punti distanti, tra due situazioni di vita diverse. Mondi di abitudini e stili di vita spesso profondamente diversi. Rimane poi alla tua mente cercare di ricucire, interpolare: creare una traiettoria logica e sensata da A a B. Ma è vero, il nostro cervello fatica ad abituarsi al mondo moderno che noi stessi abbiamo creato (come imparo leggendo l’intrigante libro Risk di Dan Gardner, acquistato proprio in aereporto).

Arrivati a Fiumicino ci portiamo rapidamente alla stazinone dei treni. Càspioli, ci è sfuggito appena il trenino giusto, dobbiamo aspettare un pò per il prossimo. Allora ci portiamo in un baretto per mangiare qualcosa. Si parla del lavoro da fare, come organizzarsi al meglio, come raccontare quello che abbiamo fatto ai colleghi rimasti a Roma. Il giorno ormai sta volgendo al termine. Solo stamattina stavo a Cambridge, poche ore fa camminavo a Londra presso il Tamigi. Ora sono vicino Roma.. tutto in un giorno. Mi sento stanco, ma anche parte di qualcosa, con l’inestricabile miscuglio di gratificazioni e responsabilità che questo sempre comporta.

Il treno ci consegna a stazioni diverse, così il nostro viaggio di ritorno ormai ci divide, riconducendo ognuno di noi alla sua vita ordinaria, alla situazione normale che si è costruita – o che gli si è sedimentata intorno, col tempo. Confesso che un pò mi dispiace uscire dallo stato di “eccezionalità” che questo breve viaggio comporta. Fatico a rientrare nel mio stato normale, una voglia di novità mi serpeggia dentro rendendomi inquieto, ed è particolarmente pungente quando inizia a venir appena soddisfatta, come in questo caso. Devo razionalizzare, capire quanto è importante l’umile stare in famiglia; il semplice esserci. D’altra parte, è proprio il semplice atto di essere presente, che più viene apprezzato. Nessuna guittezza, niente da inventare. Stare, qui.

Tornare, insomma. Eccomi qui; il giro si è completato, l’anello si è richiuso sul punto di partenza. Ma non è un viaggio a misura nulla: un progetto che avanza, un timido passo in più per una maturità di vita, di lavoro, di rapporto con i colleghi. Qualcosa riporto, a casa.

Ed eccomi, finalmente, a casa. Home, home again…

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Cambridge, quarto giorno

Ultima giornata di lavoro a Cambridge per la pipeline di Gaia.

La giornata lavorativa si è aperta con la teleconferenza con gli altri capoccioni di Gaia della nostra unità CU5. Tale incombenza ci ha preso gran parte della mattinata, ma era comunque una cosa che andava fatta.

Un eccitante intermezzo è stato il pranzo per il quale ci hanno accompagnato a Grantchester, una piccola località a pochi minuti di macchina da Cambridge. In se la cosa non mi diceva niente, fino a quando Francesca ha detto una qualcosina del tipo “Per caso a qualcuno di voi piacciono i Pink Floyd? Perche’ proprio da queste parti si sono conosciuti…”

E mi si è accesa una lucina in testa, il pensiero è andato alla mitica Grantchester Meadows, i prati di Grandchester, ovvero proprio i prati che stavo osservando in quell’istante! Il resto della comitiva si è divertito di fronte alla mia palese eccitazione… Ma no, in questo caso non potevo davvero contenermi: i prati di Grantchester, dunque, non sono (erano) solo una traccia su un antico disco di vinile. Ci sono, realmente. Ci stavo praticamente sopra.

Ad onor del vero, devo tuttavia specificare che in mancanza di tale informazione mi sarebbero sembrati prati assolutamente normali: ma tant’è, ormai vedevo tutto con un occhio diverso…

Grantchester Meadows

I prati di Grantchester… sembrano prati come gli altri, non trovate?
Non però per chi è cresciuto col classic rock dei seventies…

Pomeriggio trascorso a lavorare ancora cercando di fissare alcuni punti sulle procedure che dovremo scrivere o modificare. Avanti con pazienza: “inesorabili”…

La sera siamo andati a mangiare al ristorante spagnolo, e poi ci siamo infilati, io e Luigi, in un cinema. Certo non è facilissimo per me comprendere i dialoghi in inglese, anche perchè il film lattiginoso (guess?) affrontava temi sociali e politici piuttosto impegnati (oh… io invece cercavo una commedia leggera ma stavolta ho toppato in pieno!) e i dialoghi avevano davvero una importanza centrale. Comunque è stata un’esperienza; credo che con un pò di allenamento anche il parlato inglese può diventare progressivamente più intellegibile…

Ma il bello è arrivato all’uscita del cinema, alle undici circa, la sorpresapieno pieno pieno di ragazzi e ragazze in giro, molti dei quali che palesemente entravano o uscivano da delle feste, alcuni dai locali. Siamo rimasti ambedue basiti, davvero: dov’era mai finita quella fin troppo tranquilla cittadina alla quale ci eravano ormai abituali, nei giorni addietro? Assolutamente trasformata, completamente diversa! E le ragazze, alcune davvero (ehm…) molto graziose, che sfidavano allegramente il clima invernale con un abbigliamento succinto, e con quelle gonne così corte…

Insomma, mentre eravamo all’interno del cinema, fuori era avvenuta una sorte di mirabile metamorfosi. Ed era tutto uno splendore di vita quello che sfilava gagliardo davanti ai nostri occhi, mentre noi passeggiavamo, sorpresi e tutti intabarrati nei nostri cappottoni!

Well, con questo la trasferta inglese è praticamente terminata. Domani si riparte: trenino per Londra, poi verso l’aereoporto. Domani sera siamo a Roma. Arrivederci Cambridge, speriamo di poterci rincontrare, non troppo in là…

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Cambridge, terzo giorno


From my window…
Inserito originariamente da mcastellani

Giornata piena anche oggi. Nottata un pò tormentata da alcuni randomici risvegli, ma nel complesso sono riuscito a dormire il tempo sufficiente.

Arriviamo all’istituto dopo aver imboccato per errore una strada che ci portava dritti dritti in un allevamento di bovini. Dopo un bel pò di “muuu.. muuuu…” che io intendevo come “Guarda capo che te stai a sbaglià! Non è questa la strada!” ci siamo corretti e siamo arrivati finalmente alla meta.

La giornata è trascorsa in maniera per me psicologicamente piuttosto altalenante, tra gli attimi di micro-sconforto per come mi accorgevo di non padroneggiare ancora adeguatamente la complessa e intricata materia, ad altri di confidenza e maggior sicurezza, allorquando la discussione si portava su cose in cui mi sembrava di essere riuscito a fare un pò di luce, o meglio ancora quando a domanda diretta, mi trovavo a spiegare cosa sono le classi astratte e quando si devono usare.

Ok, ho ancora molta strada davanti, nel mio prefissato obiettivo di prendere tutte le cose con calma e ponderatezza. Forse non sono abbastanza umile: vorrei sempre portare subito il mio contributo, mostrare le mie qualità, evidenziare una mia confidenza. E non è sempre possibile. Poi certo, magari basta che capisco qualcosa e mi rassereno immediatamente. Lo confesso, alcune volte vorrei avere un distacco maggiore, sono certo che gioverebbe anche e proprio al lavoro da svolgere. Questo sul piano ideale, nell’ottica del lavoro su se stessi. In ogni caso, stavolta non demordo. Le cose fatte non son affatto zero; e quelle non ancora chiare, si chiariranno: dopotutto, come dice il mio collega, non c’è nessuna fisica particolarmente complicata dietro.

Intanto stiamo facendo un lavoro che penso abbia una sua importanza, ed è importante anche che noi questi giorni si stia qui.

Cena al pub con Luigi, la borsista rumena conosciuta ieri, poi Marco, Francesca e il loro bimbo Martino, che curiosissimo andava avanti e indietro ad esplorare l’ambiente, Mi ha fatto pensare a qualche anno fa, quando avveniva lo stesso con i bimbi miei. Com’è che mi capita più spesso di pensare al tempo che passa, ultimamente? A volte anche con un attimo di sbigottimento, non posso negarlo. Questo è stato praticamente anche il tema dominante della conversazione avuta con Luigi, rientrati in un quieto Bed and Breackfast tutto per noi, dopo la cena.

Eppure c’è qualcosa. che mi dispiace non riuscire a portare in superficie nei discorsi. Sì, mi dico. C’è una risposta al passare del tempo, si può trovare. O forse – meglio – ci si può lasciar trovare. Consentire appena di essere amati, dire di sì. Lasciarsi abbracciare, consolare, consolare fino in fondo, di tutte le amarezze umane, lasciarsi lenire le ferite …. E lasciarsi pure perdonare tutti i dubbi, tutta la poca, troppo piccola fede, la così minuscola fiducia, i piccoli e grandi tradimenti…

Quanto è dolce, quando viene, la certezza di essere amati tanto, così tanto. E’ di qualche momento, magari di qualche attimo fugace. Possiamo solo domandarla. Ma quando accade, quando ri-accade, mamma mia com’è contento il cuore, e giovane, giovane, sempre giovane, come quello di un bambino che gioca… forse perchè è quello che cerca, forse perchè non cerca nulla di meno…

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Cambridge, secondo giorno


21012009798
Inserito originariamente da mcastellani

Guarda tu, se gli uccellini a Cambridge devon essere così mattinieri!

Potevo dormicchiare un altro pò, ma di buon mattino un “simpatico” volatile – strategicamente appostato nei pressi della mia finestra – ha cominciato con buona insistenza a fare “Marco svegliati! Marco svegliati!” e così avanti…

Che fare? Per non contrariarlo troppo, alla fine mi sono alzato. Nonostante la doccia facesse le bizze (tipo, appena mi avvicinavo si spegneva il flusso dell’acqua e quanto mi allontantavo si riapriva), la colazione è stata tale da ricompensare le piccole contrarietà: uova, pane tostato, kellogs, latte e caffè, burro salato..

La camminata fino all’istituto è stata lunghetta ma salutare. Non è affatto sgradevole il posto; sono davvero godibili gli scenari con le piccole casette, i parchi verdi ricoperti da uno strato di sottile ghiaccio (il tutto così irresistibilmente “inglese”), l’aria pungente ma non troppo, nel complesso, la sensazione di stare in un posto raccolto ma al medesimo tempo niente affatto angusto.

La giornata è passata lavorando con Francesca e Giorgia, che si sono messe gentilmente a nostra disposizione. Le cose apprese sono state diverse, e importanti per il nostro lavoro. Ancor più abbiamo capito come effettivamente sia necessario spostarci, muoverci, andare a chiedere e ad apprendere là dove vi sono le persone competenti. No no, non si puà far tutto dalla propria scrivania, malgrado le tecnologie più raffinate a volte inducano a pensare il contrario: il contatto con realtà e persone è ancora una cosa insostituibile.

La giornata si è conclusa in maniera ottima, con una godibilissima cena al ristorante indiano, ove io e Luigi siamo entrati quasi per caso, mentre giravamo in cerca di un posto per mangiare.

Contrariamente ai nostri timori, con poco più di trenta sterline abbiamo onorevolmente mangiato in due, ed anche in maniera soddisfacente. Era davvero tantissimo che non mangiavo al ristorante indiano; i sapori mi hanno sorpreso, ma in senso gradevole. L’appetito è venuto mangiando una specie di antipasto fatto da sottili sfoglie di qualcosa tipo pane, condibile a piacere con salsette varie. A questo è seguito un piatto di carne arrostita, e una doverosa insalata.

Rientrati alla magione, si buttan giù queste due piccole note. Oggi è Sant’Agnese, perccato solo non poter fare gli auguri di persona alla piccolina a casa. Comunque, tra poco a nanna, domani si continua su Java!

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