Noto anche come l’ammasso di Pandora, si chiama in realtà Abell 2744 e si trova a circa tre miliardi e mezzo di anni luce da noi.

La cosa intrigante è usarlo come lente gravitazionale. Gli astronomi hanno utilizzato questo fantastico effetto per osservare galassie primordiali che altrimenti sarebbero del tutto inosservabili. In particolare, nel caso di Abell 2744 si è evidenziata una galassia di sfondo, chiamata UHZ1, con un redshift (lo spostamento verso il rosso della luce, legato alla distanza da noi) che raggiunge l’incredibile valore di z=10.1.

L’ammasso di Pandora visto dalla combinazione dei satelliti Chandra e James Webb. Negli inserti le evidenze di un gigantesco buco nero, visto dai due strumenti.
Crediti: X-ray: NASA/CXC/SAO/Ákos Bogdán; Infrared: NASA/ESA/CSA/STScI; Image Processing: NASA/CXC/SAO/L. Frattare & K. Arcand

Stiamo dunque osservando un oggetto visto quando il nostro universo aveva appena il tre per cento dell’età attuale. In altre parole, stiamo maneggiano una cartolina che il cosmo ci ha spedito quando era veramente un bimbo. Innumerevoli le cose che possiamo comprendere da questi dati.

Studiamo l’infanzia del cosmo per capire come è arrivato fino qui, ma anche per capire se ci sono alternative al modello chiamato Lambda-CDM che pur essendo “la visione del mondo” più accreditata, mostra sempre più delle tensioni al suo interno (come i valori non riconciliabili della costante di Hubble, misurati con vari sistemi), per cui da più parti si inizia ad ipotizzare la necessità di un fresco irrompere di nuove teorie, o addirittura di una nuova fisica.

Del resto, è sempre stato così: un certo modello di mondo viene trattenuto fino a che l’irrompere continuo di dati sempre più precisi lo mette in crisi (così è stato per il sistema geocentrico ad esempio), una crisi che si fa via via più profonda fino a che il modello collassa nel momento stesso in cui un nuovo modello si rivela maggiormente capace di spiegare in modo semplice tutto l’insieme dei dati.

Noi ci affezioniamo ai vari modelli, come è anche giusto, però dimenticando che sono appena interpretazioni di quello che la realtà ci dice – sono modi di pensare il reale che ci costruiamo per la loro innegabile comodità – ma non sono la realtà. In tale guisa, possono e debbono essere sostituiti, quando non assolvono più bene alla loro funzione.

In tutto questo la scienza si allineerebbe semplicemente con tutte le altre discipline umane, che ravvisano la necessità – ed ormai proprio l’urgenza – di questo cambiamento. Così scriveva Andrea Bellaroto nel marzo dello scorso anno:

Vorremmo annunciare, con tutta la nostra forza, che stiamo vivendo (…) una straordinaria Transizione profetica: una specie di salto quantico della coscienza umana, di vera e propria svolta planetaria, che, come ogni grande passaggio, è anche una passione ardua e dolorosa, ma che possiede dentro di sé già la sua mèta: una figura di umanità più libera, più integra, e quindi più felice.

Siamo davvero sulla soglia di qualcosa di epocale?

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