arte e scienza
non sono nemiche o
indifferenti
è compagna della fisica
e dell’astronomia
vanno a braccetto
curiosità e voglia
di sapere
è al centro –
le sue emozioni
sono al centro
la vita a questo
per questo.
Sono sempre meravigliato quando cose di tempi ed ambienti diversi si incontrano così bene. Come nuove cose e nuove possibilità rendono presente una cosa antica. Una cosa non fatta per questo ma che trova inaspettato segmento espressivo in questa nuova possibilità.
Lo so, non ci avete capito niente. E avete ragione. Mi spiego con degli esempi. Tipo, ecco: l’algebra di Boole. Squisitamente teorica fino a quando non ci si è accorti che andava benissimo per i calcolatori. Anzi, era necessaria per i calcolatori. O tipo la poesia. Certa poesia. Come le poesie di Saffo. Frammenti brevi, istantanei. Antichissimi. Ma anche molto, molto moderni. Non so se vi capita di leggere Saffo e sentirla più moderna – poniamo – di un sonetto del Guinizzelli. Prendete Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo.
Intendiamoci, è molto bella. Ma ecco, facciamo un rapido (e certo non esaustivo) esperimento: accostiamo appena un verso del Guinizzelli
Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende
dove parla della “potenza” dello sguardo dell’amata, con un frammento di Saffo, sempre dedicato allo sguardo
Rapita
nello specchio dei tuoi occhi
respiro
il tuo respiro.
E vivo ……
Non sempre assai più moderna la seconda? Asciutta e diretta – e anche meno attenta nello stemperare l’effetto nella intelaiatura formale. Ovvero, libera dalle forme, con un contenuto che ti arriva addosso subito, e capisci a botto quello che vuol dire. Antica e modernissima, in un certo senso.
Più moderna di Guinizzelli, oserei dire.
O di un Foscolo, un Carducci. Per capirci.
Insomma, è moderna perché – come ci è arrivata a noi – è frammentata, diretta, decisa. Breve. Non è formale. Ed è moderna perché si sposa benissimo con il modo moderno di (uso una brutta parola) consumare l’informazione. In altre parole, è moderna (anche) perché si trova perfettamente a suo agio su di un libro come su di uno schermo dell’iPhone.
Come gli haiku, per dirne un’altra.
L’ho scoperto soltanto da poco, da quando ho iniziato a leggere (e scrivere) su Wattpad. Che detto tra noi, mi sembra sempre più un modo efficace e moderno di scrivere per dispositivi mobili (certo anche per computer, ma è sui tablet o sugli smartphone che rende al meglio).
leggere #haiku su @wattpad è probabilmente una delle cose più intelligenti per cui portarsi appresso uno smartphone
— Marco Castellani (@mcastel) 14 Settembre 2014
Sì, è così: l’ho capito bene soltanto oggi. Leggendo una raccolta di Haiku su Wattpad, tramite l’iPhone, appunto. Portandomela appresso e approfittando dei tempi morti per tornare a leggerla.
Ora, apriamo una piccola parentesi. Non so voi, io pur nelle giornate più convulse, incontro sempre dei tempi morti. Ovvero, dei momenti in cui sei un un posto A aspettando l’evento B (un incontro, l’apertura di un negozio, l’orario di una visita). Certo, puoi consultare Facebook. Spedire foto di appetitose pietanze su Instagram. Ma dopo un po’ rimane un senso di stanchezza, di tedio, perché rimani sempre su uno strato orizzontale. Non vai nel profondo. Come puoi fare con la letteratura, o la poesia.
L’arte affonda in verticale, è un balsamo. Deframmenta il tuo hard disk celebrale. Unisce. Guarisce.
Ormai si può leggere ovunque, in ogni momento…
Certo che nelle piccole pause di solito non apri Guerra e Pace oppure Il dottor Zivago, di solito (sopratutto su uno smartphone con schermo da quattro pollici): capace che prima che ritrovi il punto in cui stavi, l’attesa è finita. Poi comunque devi caricare in memoria una situazione, un antecedente, ricordarti cosa stava succedendo. Ma un haiku, o un frammento di poesia di Saffo, non ne hanno bisogno. Quelli in un istante ti possono dare accesso ad una dimensione verticale. Che ti radica più sul terreno, cioè in quello che fai.
In un certo senso la compattezza, la brevità, sono favorite dai nuovi media: ormai ragioniamo per serie di tweet. Però questo non vuol dire necessariamente rinunciare alla profondità. Sopratutto non vuol dire sempre consegnarsi inermi al processo continuo di frammentazione e centrifugazione informativa a cui siamo sottoposti.
Perché l’arte trova sempre un modo per raggiungerci. Anche forme antichissime d’arte: che inaspettatamente, si possono trovare a loro agio con la tecnologia più moderna.
E così l’ultimo, decisivo passo, è di nuovo a noi, alla nostra libertà. L’opzione di vivere distratti, o di trattarci bene, di avere cura di noi stessi. Anche, di lavorare su noi stessi (con delicata attenzione e una punta di simpatia).
Ovvero, di leggere poesia.
Le ho tenute lì per parecchio. Erano cresciute naturalmente, dopo aver chiuso l’altro libretto, “Per prima è l’attesa”, che per averlo messo insieme un po’ in fretta, si è rivelato capace di darmi soddisfazioni che non avrei osato mai sperare. La gioia più grande – una delle più grandi e più dolci in assoluto, per me – è stata quella di imbattermi in persone (in rete, ma soprattutto in carne ed ossa) che venivano da me per dirmi quanto avevano apprezzato le mie poesie. Non è una questione di orgoglio o di sentirsi chissà che: non sono certo come Ungaretti, che aveva una chiara coscienza del suo valore e se a suo tempo si proclamava il più grande poeta italiano, per quanto potesse apparire autocelebrativo ed anche un pelo irritante, era probabilmente vicino al vero.
A che quota volare per superare le nuvole…?
Ad un certo punto c’è stata anche una fase intermedia che è risultata la più critica. La più insidiosa. Impantanato nelle sabbie mobili del dubbio, rileggevo le poesie ogni tanto e non ero più sicuro, non ero più certo che volessero dire qualcosa, che riuscissero a dire qualcosa, a farsi quel ponte tra le persone che giustifica il fatto che vengano pensate, vengano scritte, che trovino spazio sulla carta o in una memoria di computer.
Insomma, non volavano più, in un certo senso. E io stesso non volavo, o volavo a quota molto bassa. Sul volare a quota molto bassa si è certamente detto e scritto molto, e non vale la pena affrontare qui una esposizione completa ed esaustiva del fenomeno. Per la qual cosa, mi limito a registrare qualche semplice evidenza rimandando, come si dice in questi casi, il lettore a più esaustive trattazioni.
Allora. Una prima cosa, è che a volare basso (dicono) si scappa ai radar. Questa informazione in un buon filmone sulla seconda guerra mondiale, compare sempre. Dunque deve essere vero. Cioè non ti vede nessuno, non ti identifica nessuno. A prima impressione potrebbe essere una cosa buona. Forse lo è, se sei in missione in un paese nemico con intenti non propriamente amichevoli. Però a ben pensarci, può non esserlo se stai tentando di esprimere la tua voce, la tua personalissima voce, trovarle un posto nel mondo. Devi rischiare di farti trovare, di farti leggere. Di farti anche criticare, persino deridere, in caso. Comunque devi esporti, smettere di nasconderti.
Una seconda cosa è che a volare basso prima o poi si sbatte da qualche parte. Non so, una parete, un’ostacolo qualsiasi. Un gatto addormentato, se voli proprio basso basso (non so perché mi è venuta proprio questa immagine, ma penso che renda l’idea). Insomma non sei libero di muoverti nell’immensità dello spazio, sei guardingo e temi diecimila imprevisti, ogni piccola asperità del terreno è un problema. Non sei sereno, non sei rilassato.
Essermi deciso a far leggere il manoscritto, permettere che vedesse la luce (sia pure per pochissimi occhi, ai quali sono grato) mi ha permesso di uscire dalla situazione di stallo, e riprendere quota. Ho ricominciato a lavorare con più convinzione a queste poesie, e come accade spesso in questi casi, dalla nuova convinzione sono scaturite anche nuove idee, nuovi tentativi, nuovi modi di miscelare queste parole, di renderle più adatte al volo.
Sembrerà curioso, ma l’ultimo ostacolo era il titolo. Quello provvisorio non mi soddisfaceva più (non lo svelo così me lo posso sempre rigiocare un’altra volta…), non era propulsivo quanto basta, non spingeva al salto, al salto da fare nel permettere che queste poesie potessero essere finalmente lette. Soprattutto, non parlava di me come sono adesso, dei miei desideri, dei miei bisogni. Del mio cuore.
Bruno Liljefors (Swedish, 1860-1939), “Trutar”.
Fino a che mi è arrivato in mente il verso di una canzone. Eccolo, eccolo il titolo della raccolta che arriverà, che sta per arrivare: In pieno volo (con il corrispondente hashtag #pienovolo).
E’ lui. E’ quello che cercavo. E’ lui.
Sono appena tre parole, estrapolate da una canzone di Victor Heredia, Ojos de cielo. Oltre ad essere una canzone bellissima, mi è cara per come è stata lanciata alla mia attenzione durante il mio personale volo nella ricerca di ciò che è essenziale. E se è entrata nella mia vita in un momento in cui il senso, il significato di tutto, subisce delle oscillazioni, in cui si avverto un doloroso sfocamento, in cui ricerco con più desiderio la mia personalissima ed unica ragione per vivere, forse non è per caso.
Ojos de cielo, ojos de cielo ,
no me abandones en pleno vuelo
Il fatto che non è più tempo di indugiare o di fantasticare il futuro. A quest’età uno si sente necessariamente in pieno volo. E dunque quando si sente incerto, insicuro, dubbioso, nasce l’esigenza essenziale di trovare qualcosa, qualcuno, degli occhi che lo sostengano proprio ora, proprio adesso: proprio nel pieno del volo.
E il volo è anche quello di abbandonare ogni esitazione e scrivere, con fiducia.
Finalmente.
A volte nel tentativo di essere adeguati e misurati però perdiamo il contatto con la meraviglia potenziale delle cose.Vediamo tutto a livello di superficie, e a quel livello – alla fine – niente sembra veramente interessante (questo lo dico di passaggio ma è veramente drammatico). Sarà perché siamo fatti per un livello diverso forse?
Photo Credit: eperales via Compfight cc |
Non serve nessuna preparazione particolare, non serve alcuna erudizione: provare per credere. C’è qualcosa di incredibilmente moderno in questa velocità. E insieme di antichissimo. E’ l’elaborazione di un senso – di un legame tra le cose e gli uomini, e tra gli uomini stessi – in una delle sue forme più pure, più facilmente assimilabili. Mi viene da parlarne come un farmaco, o forse – come è stato detto – come bene comune.
Il dolore felice/ di amare/ e non essere amati /nel cuore un immensa traccia/ apri di fronte al mare le braccia (gelosia #lamorenonègiusto)
— Davide Rondoni (@Daviderond) November 4, 2013
Perché tanto lei c’è.
E potrà sempre riaccadere.
Potrà sempre succedere che ritrovi quella strana meraviglia; che leggendo poesie – scorrendo i versi di un poeta o una poetessa magari a me sconosciuti – senta scendermi dentro quelle misteriosa e dolcissima tranquillità che tante volte mi manca, senta risuonare il mio cuore di una corrispondenza tanto incredibile quanto insperata, come un dono che superasse l’attesa.
E sarà di nuovo come affondare le mani in una meraviglia,
vicina ma spesso celata.
E sarò colpito.
Tanto che alzando gli occhi dal libro mi accadrà di nuovo, di vedere il mondo e gli oggetti consueti, con una luce diversa: più carica della incredibile bellezza di questa nostra imperfetta umanità…
Scrivere, è fare amicizia con il reale nel modo in cui ci è stato richiesto. |
“Ovunque io vada,vedrò una poesia abbracciarmi” (Adonis) |
In una società così votata all’apparenza della felicità nel nuovo, che ruolo potrà mai avere la poesia? Per lei non c’è più spazio tra le pagine delle maggiori pubblicazioni, né sui principali canali radio-televisivi, né tantomeno nei famosi caffé di una volta, e neppure nelle parole dei nostri idoli, della nostra classe dirigente. Se questa popolarità, questo indiscusso e riconosciuto ruolo di guida sociale è ciò a cui aspira la poesia, allora sì, è morta, forse per sempre. E a poco servirebbe condannarne gli assassini, perché ne saremmo tutti complici, di questo pubblico delitto… e non la farebbe comunque tornare in vita.
Essere più vicino a respirare,
ad avere un respiro fondo, regolare.
Bello alternare lavoro e riposo
e quasi senza accorgersene
tornare a progettare
fare progetti
di nuovo.
Come una vacanza o l’ipotesi di una casa
e gli esami della figlia oppure anche
i compiti della piccola
e il lavoro degli altri che è pur lavoro. Bello
sorridere perché appoggiati
a radici solide
sorridere per un briciolino di luce
uno scherzo di luna
per le radici e per il respiro.
Sentire addosso il tempo che passa
come un rivestimento più saldo
strato su strato
nell’attesa e nel guardarsi
indietro
senza timore
contando i passi del cammino.
E il bello è sempre davanti.
E la dolcezza di casa quando
si sprofonda nell’inverno sarà
sarà ancora maggiore
pioggia alle finestre e tuoni e fuori la consueta
dominante azzurra
mentre dentro casa
dentro
la calda gialla operosa e tranquilla
lieta luminosità
e sì farà freddo e qualcuno
dirà copriti e sarà come una gemma regalata
un segno di affetto come dire
non voglio che ti ammali
mi sei caro mi sei
non posso stare a vederti star male
sarà come una gemma respirata
e un vestito e un maglione pesante
e un sorriso leggero per
uscire aspettando con serena pazienza il rientro.
Sarà questo e sarà un anno azzurrossogiallo e quanti colori vuoi
sarà da piangere e da ridere e arrabbiarsi anche
e dire come, chi, perché
e anche chi me l’ha fatto fare
e correre sotto la pioggia con la borsa e trovare
il traffico
e avere preoccupazioni assortite e cose da
sistemare ma sapere
che vi sono radici profonde
– e siamo grandi e siamo bambini e potremmo
un giorno potremmo chissà
diventar vecchi e rimanere bambini –
e comunque niente più la vita piatta e niente più il niente ma
la vita, quella colorata
faticosa ma saporita
la vita.
Comunque, leggere #poesia dovrebbe essere una pratica quotidiana. Credo che il mondo ne guadagnerebbe
— Marco Castellani (@mcastel) Agosto 24, 2012
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