Blog di Marco Castellani

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Piccole donne crescono

Mi è piovuto in testa venendo in osservatorio, stamattina. Si può benissimo chiamare così, l’articolo che voglio scrivere oggi: piccole donne crescono. Perché il nuovo logo appena diffuso dall’Ente Spaziale Europeo (ESA) per i dieci anni di attività del satellite Gaia in fondo fa pensare a questo. E per tale motivo lo trovo geniale.

Faccio un piccolo salto indietro. Non è soltanto perché ci lavoro, nel gruppo scientifico di Gaia, che il suo logo originale mi è sempre piaciuto moltissimo. Quella bambina che guarda le stelle e quasi vorrebbe afferrarle, mi appare come simbolo vivo e palpitante del desiderio di conoscenza e di più – di unione con il cielo. E un po’ mi fa pensare alla mia Anita, la protagonista dei due volumetti di racconti (Anita e le stelle, La saggezza di uno sguardo) che sono stati preziosissima occasione di rapporto e di confronto con ragazze e ragazzi delle scuole. Con stelle in formazione, dunque, vorrei dire.

E ci sarebbe tanta umanità da raccontare. Incontri, persone e momenti di persone. Però torno alla missione. Per chi non se lo ricordasse, ecco qui il logo originale della missione Gaia.

Il logo originale della missione Gaia.
Crediti: ESA

Siamo ormai vicinissimi ai dieci anni dal lancio di Gaia, ecco il motivo della ricorrenza. Gaia, che poi è una missione ad importante contributo italiano, cioè è una cosa anche nostra in cui l’esperienza e la genialità di tanti ricercatori del nostro paese ha trovato un terreno su cui misurarsi ed eccellere.

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Venticinque anni fa

L’oscurità dello spazio profondo e l’orizzonte terrestre, sullo sfondo della foto. Davanti, i moduli Unity costruiti in Russia (sinistra) e negli Stati Uniti (destra), dopo poco dopo aver lasciato la stiva di Endeavour. Era il dicembre del 1998. Era l’inizio dell’avventura chiamata Stazione Spaziale Internazionale. Era l’inizio, appunto: tutto il resto si sarebbe assemblato, con il tempo, attorno a questo nucleo essenziale.

L’inizio della Stazione Spaziale Internazionale
Crediti: NASA

I componenti dell’attuale stazione spaziale sono stati costruiti in vari paesi del mondo, con ogni pezzo che viene portato nello spazio e collegato agli altri da complessi sistemi di robotica e dall’abnegazione di umani protetti da tute spaziali: una testimonianza di un affiatato lavoro di squadra e di una grande coordinazione tra persone e tecnologie di varie culture.

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Senza condizioni?

Andiamo subito subito al dunque, senza girarci intorno. 

“Lui mi ama / senza condizioni.”

Leggo questa frase in una poesia di Marco Guzzi, riproposta proprio in occasione di questa Settimana Santa, e mi rimane addosso. Ci rimango addosso. 
Il significato che trasporta è dirompente, scardina ogni logica a cui il mio sistema di pensiero si è abituato. Questa frase presa sul serio, forse solo questa (o qualche frase che comunque esprima lo stesso equivalente concetto), può bucare la retorica dei discorsi d’occasione, solo il rilancio di questo perpetuo scandalo di ogni porzione benpensante in noi, questa ingiustizia bellissima. Questo svincolo soave dall’ansia di prestazione, dalle logiche di marcato, dal dare per avere. Avere gratis, furfanti come siamo. Questo è veramente qualcosa che interessa, che ancora desta curiosità.

Nella radicale delicatezza di una promessa di amore, si salvano le sfumature…
Avverte Don Giussani, nella frase che è stata posta nel volantone di Pasqua di quest’anno, che io resto quel povero cristo che sono, ma con Cristo sono certo, ricco.
Se ascolto il mio cuore, sento che è il suo desiderio più grande, più bello e più grande: essere amato senza condizioni. Le cinque parole più belle del mondo. Fatemi una frase più bella di così. Se ci riuscite. Io non riesco. Riprendo la poesia di Marco, perché mi fa respirare, e mi allargo, espando e riprendo le parole antecedenti, anteriori di quella bellissima frase…

“… posso amarlo senza paura,
abbandonarmi a Lui, alla Vita,
con tutto il cuore colmo di speranza,
perché Lui mi ama
senza condizioni.”

Questo è estremamente liberante, a pensarci già zampilla un inizio di gioia, già zampilla una nascosta Pasqua, può zampillare perfino tra le pieghe dolorose di un Venerdì Santo, dei tanti venerdì santi della mia inadeguatezza congenita ( e santa, in qualche modo, perché amata). Già c’è, lo sento. Perbacco! Essere amati senza condizioni è la buona novella, la più buona novella immaginabile. L’unica buona novella che ancora possa sorprenderci, l’unica buona novella in assoluto. L’unica novità perpetuamente più moderna del nostro sentirci moderni.
Ormai non abbiamo voglia di sentirci dire null’altro. Meno che mai ammonimenti morali. Ma per carità! 
Non abbiamo che voglia di persone (qualsiasi cosa credano) che ci ricordano  – prima ancora che con le parole, con il volto – la scommessa più alta in gioco, qui ed ora: la scommessa di un amore eterno e invincibile, inarrestabile ed immutabile.

Questo mette in salvo la mia vita, se ci credo, ammorbidisce le asperità, quando ci credo, e mi apre sempre, quando mi affido, un riposo di mille sfumature tutte da esplorare, da guardare, da accogliere. 

Come dice Santa Teresina,  tanto amata da Don Giacomo,

Che importa, mio Gesù, se cado ogni istante, in questo modo vedo la mia fragilità ed è per me un grande guadagno… Voi, in questo modo, vedete ciò che posso fare e sarete così più tentato di prendermi in braccio.

Essere presi in braccio. Essere amati, sempre e comunque. 
Custodisco questo pensiero, provo a giocarci un attimo, a nutrirmene.
No no attento, una parte di me dice no, c’è il trucco, si pretenderà pur qualcosa.
Devo essere all’altezza, devo cambiare.
E’ dura questa parte, è incattivita e rabbiosa. Va bene, la lascio essere, non devo essere cattivo con lei, chissà cosa ha sofferto. Che poi lo so, cosa ha sofferto, cosa ho sofferto. Decenni di separazione, di angoscia, di richiesta disperata d’amore, in me. Il vuoto addosso, e un grido d’amore, perfavore amami, ti prego, perfavore salvami.
Decenni, in me. Millenni, dietro di me, ancora dentro di me.
Va bene, ci lavoriamo. Dovrò amare anche il mio bisogno d’amore.
O piuttosto, lo dovrà amare Lui, io non posso. Non riesco, non capisco.
Capisco che Lui può, è la prova gustosa dell’Onnipotenza.
Che bello che Lui possa, amare ciò che io non riesco. Dà gusto.
Così io intanto riposo, avendo affidato a Lui il compito di amarmi.

Certo. C’è tutto un lavoro che dovrò fare,  che devo fare, di emersione dalla paura, di guarigione. Per capire, per lasciarmi insegnare, per lasciarmi guidare dai maestri, per ambientarmi, mettere casa nell’idea che niente, che non c’è da aver paura, non c’è troppo da aver paura. Ma capirlo con delicatezza, con limpida precisione. Già e non ancora, esattamente.

Riprendo il pensiero, lo guardo, come un dono.

Davvero, senza condizioni? Ma come può esserci qualcosa più bello, più bello di così? Quel senza condizioni allora è un proiettile, è un moto di rivoluzione (personale e sociale), è una alleanza mistica di parole, è un soffio, un’idea pazza, santamente pazza, che sgretola millenni di sensi di colpa e inadeguatezza. Ogni volta, ogni giorno, li sgretola di nuovo.
Se lui mi ama senza condizioni, quando io lo sento,
io sono il furfante, il brigante più leggero di tutti:
il più contento.
Auguri.
(Questo testo è la rielaborazione di un commento su un post del blog Darsi Pace)

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Il giorno del Pi

Benché un pochino in ritardo, non voglio lasciar passare il nostro giorno del Pi senza aver scritto qualcosa al riguardo. E’ oggi infatti il Pi Day, ovvero il Giorno del pi greco, a motivo del fatto che la data 14 marzo, nel mondo anglosassone, si può scrivere come 3.14, proprio le prime cifre del celeberrimo numero.

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Questo numero di infinite cifre ci dimostra facilmente come l’infinito è presente dovunque, di come la matematica ci scappa subito di mano, non si può contenere, non si può facilmente delimitare in uno steccato “conosciuto”.

Eh no.

Uno comincia con una cosa semplice, chessò, un cerchio. Cosa c’è di più semplice? Ecco, iniziamo a giocare con le cose fondamentali di questo cerchio: la lunghezza della circonferenza, poi… cosa possiamo trovare? Ah ecco, il suo diametro. La retta che lo taglia in due, passando per il centro. Beh, viene spontaneo pensarla, giusto?

E allora, chissà in che rapporto staranno queste due quantità, dico, la circonferenza e la retta che la taglia. Sarà certo una cosa semplice: partendo da costruzioni geometriche così semplici, dove vuoi che possiamo arrivare? In fondo, ci siamo tenuti molto elementari.

Ebbene, siamo già arrivati all’infinito.

Sì, perché il rapporto tra la circonferenza e il diametro (non ve lo devo mica insegnare io, mi permetto solo di farvici ripensare) è un numero che non conosceremo mai interamente, perché ha infinite cifre (in qualsiasi “base”, ovvero con qualsiasi sistema per indicare i numeri, che si possa mai ideare). Le prime cento suonano così:

3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 59230 78164 06286 20899 86280 34825 34211 7067…

E’ appunto pi grecoed è un numero che non finisce mai. Si chiama trascendente. I numeri trascendenti sono poi una particolare categoria di numeri irrazionali. Questi ultimi sono numeri che appunto, non finiscono mai, non c’è verso di capire come proseguono, e proseguono appunto all’infinito. I numeri trascendenti sono appunto un sottoinsieme di questi (non sono soluzioni di alcuna equazione polinomiale, per la precisione). Dettagli, ma insomma la faccenda rimane quella.

La faccenda è, già un semplice cerchio contiene qualcosa che ci sfugge. Già non lo possiamo capire interamente.

Non c’è bisogno di arrivare alla fisica quantistica, per capire che ci sono cose che non possiamo capire.

Così l’infinito è di casa, le più semplici costruzioni logiche si devono aprire all’irrazionale, all’imprevedibile, al non completamente conosciuto. Per far tornare i conti, lasciatemela mettere così, devono lasciare un po’ di spazio al mistero…

E ora vi lascio con un tributo a questo elusivo numeretto, ideato da una grande artista (grandissima, secondo me): Kate Bush ci canta, appunto, Pi

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Anche Google celebra i 20 anni di Hubble

Un veloce aggiornamento all’articolo precedente che si occupava del ventennale di attività del Telescopio Spaziale Hubble. Ebbene, era mai possibile che la ricorrenza potesse sfuggire al gigante dei motori di ricerca, il celeberrimo Google? Ecco infatti come salutava i visitatori della sua pagina nella giornata di oggi (la schermata l’ho acquisita oggi pomeriggio, ora sembra già tornata alla struttura “classica”)

Anche Google festeggia Hubble (Crediti: Google)

Al di là della simpatia dell’operazione, forse questo fa anche riflettere sul fatto che vi sono alcuni “grandi strumenti” – e Hubble è senz’altro uno di questi – che non solo hanno fatto (e stanno facendo) la storia della moderna astronomia, ma hanno anche un impatto assai deciso e chiaro in una cerchia ben più allargata dei normali “addetti ai lavori”.

Hubble fa ormai parte del patrimonio comune di chiunque sia curioso di cose c’è sopra la sua testa.. e questo è un grandissimo risultato, non meno importante della enorme quantità di dati scientifici che ha portato a terra in questi venti anni. Gli dobbiamo veramente tanto, della nostra moderna conoscenza del cielo.

Ancora complimenti, Hubble!! 😉

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Hubble, vent’anni sulla breccia…

È da 20 anni sulla cresta dell’onda e non accenna a tramontare. Anzi, al giro di boa del suo ventesimo compleanno (è stato lanciato esattamente il 24 aprile del 1990 a bordo dello Shuttle Discovery), l’Hubble Space Telescope è in forma più smagliante che mai. Pochi strumenti scientifici possono uguagliare una carriera così lunga, brillante e allo stesso tempo accidentata. Più volte sul punto di abbandonare il campo da gioco e ogni volta incredibilmente capace di tornare all’attacco e segnare in rete. Hubble ha fatto sognare. È per questo il più celebre e il più amato dei telescopi.

Colonne di gas e polvere, alte 3 anni luce, nella Nebulosa della Carena. Immagine scattata da Hubble. Crediti: NASA, ESA

L’Istituto Nazionale di Astrofisica celebra i primi vent’anni del Telescopio Spaziale Hubble dedicandogli un servizio speciale  con uno slideshow che raccoglie le immagini più belle e un servizio radiofonico che ne ripercorre la storia. Inoltre, in un video esclusivo i racconti degli astronauti che per l’ultima volta hanno fatto visita al telescopio.

Curioso oggi ripensare che quando è stato progettato quasi nessuno all’interno della comunità scientifica era favorevole a uno strumento così ambizioso e costoso, che avrebbe rischiato di catalizzare enormi quantità di denaro penalizzando le ricerche “a portata di mano” con i telescopi a Terra. Per chi, al contrario, aveva creduto nelle capacità senza precedenti di un telescopio spaziale ottico –  in grado per la prima volta di ammirare l’Universo oltre le nuvole, oltre la cortina di fumo dell’atmosfera –  fu pesantissima la batosta di accorgersi, una volta in orbita, che Hubble era nato difettoso: il suo specchio principale rifletteva immagini sfocate. Eppure, anche da quell’imprevisto scaturì del buono. Il sistema di primo soccorso per correggere le immagini, prima che il danno venisse aggiustato attraverso lenti correttive, fu un software di manipolazione digitale delle immagini che oggi trova comunemente impiego negli screening mammografici del tumore al seno.

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Padova, 7 gennaio 1610: Galileo scopre nuovi mondi

Erano all’incirca le sei di sera di domenica 7 gennaio quando dalla sua casa padovana di Via de’ Vignali Galileo puntò per la prima volta il telescopio verso Giove…

Una data e un’ora precisa che, contrariamente alle pur importanti osservazioni lunari condotte in precedenza, sono leggibili nella configurazione di quanto osservato e dichiarate dallo stesso Galileo. Ed è forse da questo che si origina, al di là della straordinaria importanza della scoperta che ne seguì, la magia esercitata da un evento che può senz’altro essere considerato uno dei punti chiave
della rivoluzione scientifica seguita all’invenzione del telescopio.

<…>
Nella tarda serata del 7 gennaio Galileo intinse la penna nel calamaio, riprendendo in mano l’abbozzo di una lunga lettera steso qualche giorno prima. Alla descrizione delle osservazioni lunari delle ultime settimane, effettuate con un “occhiale il quale me la rappresenta di diametro venti volte maggiore di quello che apparisce con l’occhio naturale” decise di aggiungere qualche riga anche sull’apparenza telescopica delle stelle fisse, e sull’esistenza di molte altre invisibili a occhio nudo. Gli antichi a dire il vero ne avevano già disquisito, ed era ben nota la tesi di Democrito che la Via Lattea fosse composta da un formicolio di minutissime stelle; per quanto importante e “meravigliosa” l’osservazione non aveva una straordinaria valenza filosofica, tuttavia proprio quella sera, puntando per la prima volta un buon telescopio su Giove, gli era sembrato di notare alcune curiosità degne di nota:

Et oltre all’osservationi della Luna, ho nell’altre stelle osservato questo. Prima, che molte stelle fisse si veggono con l’occhiale, che senza non si discernono; et pur questa sera ho veduto Giove accompagnato da 3 stelle fisse, totalmente invisibili per la lor picciolezza, et era la lor configurazione in questa forma né occupava non più d’un grado in circa per longitudine. I pianeti si veggono rotondissimi, in guisa di piccole lune piene, et di una rotondità terminata et senza irradiatione; ma le stelle fisse non appariscono così, anzi si veggono folgoranti et tremanti assai più con l’occhiale che senza, et irradiate in modo che non si scuopre qual figura posseghino.

Nell’immagine in alto il disegno della prima osservazione di Galileo, realizzato la sera del 7 gennaio verso le 18:00, messo a confronto con il reale aspetto della configurazione Giove-satelliti, calcolata per la stessa data. Come si può notare, Galileo vide solo tre delle quattro lune per il fatto che in quel momento due di esse (che oggi sappiamo essere Io ed Europa) si trovavano in una congiunzione così stretta (8” di distanza) da essere percepite come un unico punto luminoso a causa del limitato potere risolutivo del suo strumento.

di Ivano Dal Prete – Fonte: Coelum n.135 – Gennaio 2010
Ripubblicato (con adattamenti) per gentile concessione dal sito Coelum.org
 

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I 40 anni dell’Apollo 10

Oggi la NASA celevra il programma Apollo con il quarantesimo anniversario della Apollo 10, la quarta missione del programma con equipaggio umano a bordo.  Il giorno 19 maggio di un ormai lontano 1969, il gruppo formato da Gene Cernan, John Young e Thomas Stafford veniva lanciato dalla Terra, destinato a diventare il secondo equipaggio ad orbitare intorno al nostro satellite.

L’equipaggio dell’Apollo 10 (Crediti: NASA)

Per l’occasione, il sito NASA ha allestito un presentazione con foto, video e anche.. cartoni animati (!), tutto che ruota intorno alla missioni lunari svoltesi tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70. Non manca naturalmente il collegamento a Google Moon con l’indicazione del punto di arrivo della Apollo successiva, la prima a toccare il suolo lunare…

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